Come cambiano le dimensioni del cervello nei mammiferi?
La domesticazione e la socialità influenzano l’evoluzione della taglia del cervello nei mammiferi, mentre l’insularità sembra meno incisiva in questo senso. Lo racconta una ricerca pubblicata sul Biological Journal of the Linnean Society
Riadattando una celebre frase di Spider-Man: “da grandi cervelli derivano grandi consumi energetici”. Per questo, contrariamente al pensare comune, avere un grande cervello è solo relativamente auspicabile, a seconda del contesto naturale in cui si vive, e mai da considerarsi il fine ultimo dell’evoluzione. È ben concreta, infatti, la possibilità che le sue dimensioni nell’evoluzione aumentino come che, al contrario, diminuiscano, anche perché la dimensione del cervello non indica necessariamente maggiore o minore intelligenza. Indagare quali condizioni abbiano selezionato le dimensioni dell’encefalo nel tempo nelle varie specie può farci superare questo bias avvicinandoci ad una maggiore comprensione.
Uno studio condotto da una squadra internazionale di ricercatori dell’Università di Napoli Federico II e delle Università di Liverpool, del Molise, di Firenze e del New England, in Australia, ha indagato il ruolo della domesticazione, della socialità e dell’insularità sulle variazioni nel tempo delle dimensioni del cervello nei mammiferi su scala macroevolutiva. Gli autori hanno costruito un albero filogenetico che include 426 differenti taxa, includendo specie selvatiche, razze domestiche, e in alcuni casi animali estinti. L’analisi ha escluso determinate categorie a seconda dei fattori considerati. Per esempio, non per tutte le specie domestiche esistono oggi omologhi selvatici, cioè geneticamente ben distinti (un caso è quello dei i cavalli), e in altri casi il loro ridotto numero offre dati poco rappresentativi. Nell’indagine si è poi tenuto conto sia di un criterio filogenetico, supponendo che animali simili abbiano dimensioni simili, sia della relazione tra la taglia dell’organismo adulto e del relativo encefalo poiché, solitamente, i cervelli più grandi sono presenti negli animali più grandi.
Tra tutti gli organismi lo studio si è concentrato sui mammiferi perché in generale denotano mediamente dimensioni del cervello superiori agli altri, un fatto ricondotto a una grande varietà di fattori incluse un’alimentazione molto nutriente, la vita in habitat in rapida evoluzione, una prolungata gestazione e alti livelli di socialità. Fattori che possono però variare significativamente anche invertendo la crescita dell’encefalo e favorendone dimensioni più efficienti dal punto di vista energetico, a seconda dell’ambiente in cui ciascuna specie e ciascun individuo vive.
Secondo i ricercatori, tra i tre fattori considerati, addomesticamento e socialità avrebbero un’influenza notevole sulle dimensioni cerebrali, accelerata dalla selezione artificiale operata dall’uomo su molte specie. Per un aumento di taglia cerebrale, oltre al numero di interazioni sociali, conterebbe molto anche la loro complessità e questo può dipendere anche dal numero di individui in cui normalmente si raggruppa ciascuna specie nei vari habitat. Hanno così analizzato il tasso di variazione delle dimensioni cerebrali tra i taxa a seconda che gli individui di una specie siano soliti vivere isolati, in coppie, in famiglie, in gruppi di massimo venticinque individui o addirittura in numero superiore. Ne emergerebbe che le condizioni più stimolanti si presentino nei gruppi medio-piccoli, con variazioni molto più lente per i grandi gruppi o per individui isolati. Nel confronto, per esempio, tra tigri e leoni, entrambi predatori carnivori, pur riconoscendo alle tigri un encefalo più grande parrebbe che nei leoni, felini che vivono in branchi, il cervello si accresca più velocemente nell’evoluzione.
I ricercatori segnalano invece una generale diminuzione nelle dimensioni dell’encefalo negli artiodattili (ovini, bovini, suini, ecc.) spesso riuniti in mandrie e greggi e più numerosi. Una riduzione accentuata in condizioni di allevamento per scopi commerciali, spesso in ambienti fortemente circoscritti, dove molti individui non raggiungono nemmeno l’età adulta. Al contrario un aumento significativo di taglia può essere notevolmente influenzato dall’interazione con l’uomo (Pikaia ne ha parlato qui), evidente tra gli animali domestici, come cani e gatti, che può aumentare gli stimoli esterni e favorire cervelli più grandi rispetto ai loro parenti selvatici.
L’insularità, invece, apparrebbe, secondo i ricercatori molto meno incisiva sul tasso di evoluzione del cervello degli organismi. Secondo studi precedenti la presenza di ecosistemi meno complessi nelle isole favorirebbe la presenza di grandi erbivori e l’assenza di grandi carnivori, spesso assenti. In tali condizioni gli erbivori tenderebbero così a perdere comportamenti antipredatori con una riduzione delle dimensioni cerebrali ed un minor consumo energetico. Tuttavia, i ricercatori si pongono in contrasto con l’idea che questi fattori possano influenzare linearmente lo sviluppo del cervello, evidenziando come non sempre decresca. A sostegno della loro tesi ci sarebbero, infatti, eccezioni come per gli elefanti nani siciliani del genere Paleodoxon o per l’Homo floresiensis, l’ominino più piccolo oggi noto, dove, secondo i ricercatori, le specie insulari non subiscono pressioni selettive statisticamente diverse dai loro parenti continentali e nemmeno, nel caso dei mammiferi, hanno una maggiore o minore tendenza di questi ad estreme variazioni di taglia.
Riferimenti: Castiglione, Silvia, et al. “The influence of domestication, insularity and sociality on the tempo and mode of brain size evolution in mammals.” Biological Journal of the Linnean Society, vol. 132, no. 1, 1 Jan. 2021, pp. 221-31, doi:10.1093/biolinnean/blaa186.
Immagine: CNX OpenStax, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons