Come evolvono i geni? La biologia evoluzionistica funzionale ci aiuta a dare una risposta

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Per molto tempo la comunità scientifica si è divisa tra genetisti, che studiavano la sequenza ed i livelli di espressione di determinati geni, e biologi evoluzionisti, che usavano tali dati per fare ipotesi su come e perchè i geni si fossero evoluti. Dalla fusione di questi due approcci è oggi nata quella che Antony M. Dean e Joseph W. Thorton […]

Per molto tempo la comunità scientifica si è divisa tra genetisti, che studiavano la sequenza ed i livelli di espressione di determinati geni, e biologi evoluzionisti, che usavano tali dati per fare ipotesi su come e perchè i geni si fossero evoluti.

Dalla fusione di questi due approcci è oggi nata quella che Antony M. Dean e Joseph W. Thorton hanno battezzato la sintesi funzionale della biologia evoluzionistica. In particolare Dean e Thorton nell’ultimo numero della rivista Nature Review in Genetics propongono numerosi esempi per mostrare come dalla sinergia della genetica molecolare con la biologia evoluzionistica sia nato un approccio funzionale utile per permettere ai ricercatori di dimostrare sperimentalmente i processi evolutivi e capire perché un gene abbia subito determinate mutazioni.

Tra i numerosi esempi citati, uno dei più significativi è l’evoluzione della resistenza agli insetticidi. In particolare, in molti insetti la resistenza agli insetticidi insorge a seguito della comparsa di mutazioni che riducono l’affinità tra l’insetticida ed il suo target molecolare (quale ad esempio l’acetilcolinesterasi).

A seguito di tali mutazioni, l’acetilcolinesterasi mutata non può più essere bloccata dall’insetticida e l’insetto diviene quindi resistente. Dati tali presupposti sperimentali, i biologi evoluzionisti avevano ipotizzato che la resistenza si fosse evoluta andando a modificare i geni codificanti i target degli insetticidi, in modo da modificare gli aminoacidi specificatamente implicati nel legame con l’insetticida stesso.

Grazie alla biologia funzionale possiamo oggi dimostrare questa ipotesi di lavoro e creare insetti transgenici che portano geni chimerici in cui l’operatore ha modificato a proprio piacere i geni implicati nella resistenza per poi verificare se, quanto ipotizzato dai biologi evoluzionisti, è vero anche da un punto di vista sperimentale.

Questo significa quindi che oggi possiamo creare in laboratorio geni chimerici in grado di aiutarci nel capire come alcuni geni si sono evoluti. E’ però evidente che questo approccio non si presta solo a ricostruire la storia passata di un gene, ma apre anche nuove strade per sviluppare strategie per modificare geni codificanti per proteine di interesse industriale o medico la cui attività potrebbe essere aumentata andando a modificare specifiche porzioni di interesse.

Infine, la biologia funzionale ci può dare prove sperimentali per comprendere i fenomeni di convergenza a livello molecolare, ovvero perché organismi filogeneticamente non correlati abbiamo acquisito mutazioni nelle stesse posizioni in geni ortologhi. In questo caso, infatti, la biologia funzionale ci mostra come la convergenza sia il frutto di un comune (o chimicamente simile) agente di selezione a cui i diversi organismi hanno risposto nello stesso modo: modificando quegli aminoacidi che l’agente di selezione (antibiotico, insetticida, tossico ambientale, ….) “usava” per interagire a livello cellulare con il proprio target endogeno.

Mauro Mandrioli

 

A. M. Dean, J. W. Thorton. Mechanistic approaches to the study of evolution: the functional synthesis. Nature Review in Genetics 8: 675-687. 2007.

 

Fonte immagine: University of Bath