Come funziona un meccanismo di isolamento riproduttivo postzigotico
Secondo la più classica delle definizioni biologiche di specie, queste sono identificate dalla presenza di meccanismi di isolamento riproduttivo, ossia “proprietà biologiche individuali che impediscono l’incrocio fra popolazioni effettivamente o potenzialmente simpatriche”. Un’idea classica dell’evoluzionismo novecentesco derivata da questa è che la formazione di una nuova specie avvenga in un primo tempo con l’insorgenza di meccanismi postcopulativi (cioè quelli che […]
Secondo la più classica delle definizioni biologiche di specie, queste sono identificate dalla presenza di meccanismi di isolamento riproduttivo, ossia “proprietà biologiche individuali che impediscono l’incrocio fra popolazioni effettivamente o potenzialmente simpatriche”. Un’idea classica dell’evoluzionismo novecentesco derivata da questa è che la formazione di una nuova specie avvenga in un primo tempo con l’insorgenza di meccanismi postcopulativi (cioè quelli che intervengono dopo l’accoppiamento, come ad esempio l’inferiorità degli ibridi), di solito considerati come un sottoprodotto della divergenza genetica causata da separazione geografica. In un secondo tempo, quando le “specie” neoformate rientrino in simpatria si ha un rafforzamento dei meccanismi di isolamento (a causa dell’inferiorità degli ibridi) con formazione di meccanismi di isolamento precopulativi (tipicamente, negli animali, quelli connessi con il riconoscimento specie-specifico).
Negli ultimi anni molti ricercatori che lavorano sulla speciazione hanno concentrato la loro attenzione sui fattori ecologici che accompagnano la formazione di una nuova specie: l’idea è che l’adattamento a certe nicchie possa di per sé costituire isolamento, rendendo quindi l’isolamento geografico non più indispensabile come punto di partenza per un fenomeno di speciazione. Carolyn McBride e Michael Singer hanno lavorato su una farfalla relativamente sedentaria, Euphydryas editha (famiglia Nimphalidae), che vive nell’Ovest del Nord America. Essa forma popolazioni separate nelle foreste di conifere aperte del versante ovest delle Montagne Rocciose. Le diverse popolazioni di questa farfalla usano per deporre le uova (e fornire cibo ai bruchi che ne derivano) l’una o l’altra di due piante ospiti, la scrofulariacea Pedicularis semibarbata, o la plantaginacea Collinsia torreyi. Sebbene in molte località siano presenti entrambi gli ospiti, le singole popolazioni “locali” di Euphydryas editha usano, in ciascuna località, anche vicine, solo uno dei due. Fra le varie popolazioni è presente una considerevole variabilità genetica, tuttavia precedenti tentativi di attribuirla alla scelta dell’ospite sono falliti: la divergenza genetica fra le diverse popolazioni è stata indagata usando sia il DNA mitocondriale che quello nucleare, e non è stato possibile raggruppare da una parte le popolazioni che usano Pedicularis semibarbata e dall’altra quelle che usano Collinsia torreyi. Per giunta, le farfalle non si accoppiano sull’ospite, ma in luoghi più o meno distanti da esso, nei quali i due “ecotipi” si incrociano liberamente. Dunque, gli autori ritengono di avere a che fare con un’unica specie. Sfruttando questa caratteristica, essi hanno prima studiato in cosa differisce l’uso dell’ospite nelle due forme, identificando sei variabili ecologiche: la performance delle larve in crescita; l’altezza rispetto al suolo delle piantine alla quale si alimentano; la preferenza per l’una o l’altra delle specie; la scelta di piantine giovani o vecchie; l’altezza rispetto al suolo alla quale vengono deposte le uova; infine il numero di uova per ogni deposizione. Le due forme ecologiche di Euphydryas editha sono differenziate abbastanza nettamente in ciascuna delle sei variabili.
Ma, come già detto, le due forme possono ibridare. Allora gli autori si sono chiesti: ma che ne è degli ibridi? Hanno fabbricato una gran quantità di ibridi e li hanno esposti – in campo – all’una o all’altra delle piante ospiti per scoprire che il comportamento degli ibridi è, come ci si deve aspettare, intermedio fra quello delle forme parentali, in modo che essi risultano sfavoriti sia sull’uno che sull’altro degli ospiti. Ma i bravi ricercatori americani non si sono limitati a constatare le differenze ecologiche e i loro effetti: hanno anche misurato in termini di differenze di fitness il successo differenziale delle forme parentali e degli ibridi, e coi numeri hanno costruito un paesaggio adattativo. E per una volta si tratta di un paesaggio adattativo nel quale le grandezze sono reali e non metaforiche.
E’ questo un “esperimento” sulla speciazione? E’ noto che questo è un settore dell’evoluzionismo nel quale l’esperimento è giocoforza vincolato dalla dimensione temporale: uno sperimentatore non può rifare “in laboratorio” un evento di durata epocale. Tuttavia lo studio sperimentale e dettagliato del funzionamento di un meccanismo di isolamento riproduttivo postzigotico è un evento abbastanza nuovo. Altra sfida sarà poi capire come gli ecotipi si siano formati: in ogni caso, il fatto che ecotipi uguali, ma distanti geograficamente, siano fra loro più interfecondi che non ecotipi diversi con localizzazioni vicine potrebbe essere un nuovo tassello a favore della speciazione ecologica.
Riferimenti:
McBride CS, Singer MC (2010) Field Studies Reveal Strong Postmating Isolation between Ecologically Divergent Butterfly Populations. PLoS Biol 8(10): e1000529. doi:10.1371/journal.pbio.1000529
Singer MC, McBride CS (2010) Multitrait, host-associated divergence among sets of butterfly populations: implications for reproductive isolation and ecological speciation. Evolution 64: 921–933.
È stato Professore Ordinario di Evoluzione Biologica presso l’Università degli Studi di Milano. Ha svolto ricerche nel campo della riproduzione e filogenesi in diversi gruppi di invertebrati. È stato presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica e si è occupato attivamente della divulgazione di temi evoluzionisti e di traduzioni di testi di autori importanti. Ha curato il testo “Evoluzione, modelli e processi” per Pearson Italia. Ha diretto per 20 anni la Biblioteca Biologica dell’Università