Come l’ambiente può influenzare la cognizione: il caso dei guppy

guppy plasticità cognitiva

Esperimenti condotti sui piccoli pesci guppy dimostrano come la variabilità individuale nelle abilità cognitive possa essere spiegata dalla plasticità cognitiva adattiva.

Consultando la letteratura scientifica (e considerando le nostre esperienze personali), risulta evidente che una variabilità individuale nelle abilità cognitive esista e sia importante. Il fatto che ciascun singolo individuo sia più capace in determinati compiti e più carente in altri, anche all’interno di una stessa popolazione, è ormai dimostrato da casi di studio appartenenti ai gruppi più svariati, dai mammiferi agli insetti, passando per i pesci. Ma qual è il meccanismo biologico che produce questa diversità? Una possibile spiegazione, vagliata dai biologi evolutivi Tyrone Lucon-Xiccato, Giulia Montalbano e Cristiano Bertolucci dell’Università di Ferrara in uno studio pubblicato di recente su Proceedings of the Royal Society B, è il contributo della plasticità fenotipica cognitiva. Per plasticità fenotipica si intende la capacità di un carattere fenotipico di svilupparsi in maniera diversa in risposta a stimoli ambientali diversi, senza l’intervento di variazioni a livello genetico (l’argomento è già stato trattato da Pikaia, per esempio qui). Di conseguenza, la plasticità cognitiva rappresenta il potenziale delle abilità mentali di un animale di variare in relazione alle condizioni ambientali incontrate durante i processi di sviluppo. L’idea degli autori è che, nei piccoli pesci ossei della specie Poecilia reticulata (anche detti guppy, familiari ai possessori di acquari), la variabilità cognitiva individuale sia riconducibile proprio alla plasticità fenotipica. E, poiché uno degli aspetti fondamentali della vita animale consiste nel reperimento di cibo, i ricercatori hanno provato a verificare se una variabile ambientale legata a quest’ambito potesse indurre delle risposte cognitive plastiche. Più in particolare, si sono concentrati sul livello di prevedibilità nella somministrazione del cibo. Per farlo, hanno messo a punto due regimi alternativi: uno prevedibile, in cui gli alimenti erano forniti sempre allo stesso orario e nella stessa posizione di un acquario, e uno imprevedibile, in cui gli alimenti venivano forniti in orari e posizioni sostanzialmente casuali. L’ipotesi dei ricercatori era che i guppy cresciuti in un ambiente con forniture di cibo prevedibili avrebbero sviluppato una maggiore capacità di apprendimento e che, al contrario, quelli cresciuti in un contesto imprevedibile avrebbero alla fine mostrato una maggiore flessibilità e capacità di inibizione a determinati stimoli. Vediamo più nel dettaglio in che modo si è cercato di verificare queste previsioni sperimentalmente.

Gli esperimenti condotti

In primo luogo, un gruppo composto da alcune decine di guppy appena nati è stato suddiviso in diversi gruppi più piccoli. Metà dei gruppi è stata destinata, per venti giorni, ad acquari con condizioni prevedibili, l’altra metà ad acquari con condizioni imprevedibili. Dopo questa prima fase, ciascuno dei pesciolini è stato sottoposto a una serie di “test attitudinali”, per verificare se le diverse condizioni ambientali avessero influito sulle sue abilità cognitive. Diagramma dell’apparato sperimentale. Immagine: dalla pubblicazione. Il primo test riguardava l’apprendimento, e consisteva nello scegliere il colore corretto tra due colori diversi, ciascuno dei quali impresso su una carta posta all’interno di un acquario. Solo uno dei colori, infatti, era associato a una ricompensa in cibo. Ciascun pesce è stato sottoposto, per più giorni, a ripetute prove di questo tipo. Il secondo test, incentrato sulla flessibilità, era identico in tutto al precedente, con la sola differenza rilevante che era stata fatta un’inversione nel colore associato alla ricompensa. Il terzo test era dedicato al controllo inibitorio: all’interno dell’acquario veniva inserito un tubo di vetro con prede vive (larve di piccoli crostacei comunemente noti come “scimmie di mare”) e, per venti minuti, venivano monitorati i tentativi di ciascun guppy di mangiare le prede. Ogni volta che un pesce colpiva il vetro con il proprio muso, i ricercatori segnavano un errore in più a carico di quel pesce. Infine, il primo dei due test comportamentali successivi consisteva nell’inserire i pesci in un acquario privo di scompartimenti, per permettere loro di esplorarlo liberamente e osservare quanto tempo spendessero nei pressi del centro dell’acquario e quanto vicino ai margini. Questo approccio è utile perché permette di distinguere i guppy in base al loro carattere: gli individui più ansiosi, infatti, difficilmente stanno al centro, in quanto quella posizione è percepita come più esposta a possibili predatori. Nel secondo test comportamentale, ciascuno dei soggetti veniva posto nel settore centrale di un acquario diviso in tre settori. Uno dei due settori alle estremità era vuoto, mentre l’altro conteneva altri guppy. In questo caso, l’idea era quella di monitorare quanto tempo ciascun pesciolino impiegasse in prossimità dei propri simili e quanto, invece, in solitudine, per determinare il suo grado di socievolezza. I risultati ottenuti da questa serie di prove, nel complesso, hanno confermato l’ipotesi iniziale degli autori: i guppy cresciuti nell’ambiente prevedibile erano più veloci a ridurre il numero di errori commessi nel corso del tempo quando si trattava di dirigersi verso il colore giusto, ma più lenti quando il colore associato alla ricompensa veniva invertito. In questo compito, così come in quello che riguardava la capacità di trattenersi da un attacco alle scimmie di mare, i pesci cresciuti nell’ambiente imprevedibile si sono dimostrati più efficienti. In quest’ultimo caso, in particolare, hanno fatto complessivamente meno tentativi di attacco rispetto ai pesci dell’altra “squadra” (tutti andati a vuoto, ovviamente). Per quanto riguarda l’ansia da predatori e la socievolezza, invece, l’essere cresciuti in ambienti alternativi non ha influito su questi aspetti caratteriali.

Come l’ambiente plasma le abilità cognitive: anche questo è adattamento

Una conclusione davvero suggestiva di questi esperimenti è la constatazione che perfino dei pesciolini siano in grado di sviluppare una grande diversità individuale dal punto di vista del fenotipo cognitivo, e che questa diversità possa essere indotta dalle loro esperienze pregresse. Come ipotizzato dagli autori, infatti, i guppy che provenivano da un ambiente prevedibile hanno sviluppato maggiori capacità di apprendimento, mentre quelli provenienti dall’ambiente imprevedibile erano dotati di maggiore flessibilità e capacità di inibizione del comportamento predatorio. Questi risultati costituiscono un prezioso tassello in più a supporto dell’esistenza e dell’importanza della plasticità cognitiva nei pesci ossei. Tra gli aspetti più interessanti che potrebbero essere approfonditi in futuro, resta ancora da capire se le caratteristiche cognitive indotte dall’ambiente siano stabili nel corso della vita dell’individuo o se, invece, possano continuare a essere plasmate, nel caso in cui l’ambiente subisca dei cambiamenti. Un ultimo aspetto di grande rilevanza che emerge dallo studio è il fatto che la plasticità cognitiva osservata nei guppy sia adattiva, e che sia dunque correlata a una maggiore probabilità di riprodursi da parte degli organismi che ne fanno esperienza. Da un lato, infatti, potenziare abilità come l’apprendimento e la memoria risulta vantaggioso in ambienti prevedibili, mentre dall’altro rafforzare la flessibilità e la capacità inibitoria apporta più benefici agli individui che hanno bisogno di far fronte a risorse la cui disponibilità varia nello spazio e nel tempo. L’aver scoperto che caratteristiche comportamentali cruciali come quelle citate siano così ricettive a degli stimoli esterni non fa altro che confermare, ancora una volta, come la plasticità fenotipica si riveli spesso una soluzione davvero eccellente per far fronte alla mutevolezza dell’ambiente. Riferimenti: Lucon-Xiccato T., Montalbano G. e Bertolucci C. 2023. Adaptive phenotypic plasticity induces individual variability along a cognitive trade-off. Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences 290: 20230350.
Immagine: 5snake5, CC0, via Wikimedia Commons