Come salvaguardare il genoma dai trasposoni? Semplice, usando i trasposoni stessi.

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Il genoma di tutti gli eucarioti contiene sequenze di DNA, denominate trasposoni e retrotrasposoni, in grado di spostarsi autonomamente nel genoma. Data questa loro capacità, gli elementi genetici mobili hanno rappresentato un’importante fonte di riarrangiamento del genoma eucariotico. Come può però essere intuitivo immaginare,  i riarrangiamenti indotti da trasposoni possono avere effetti negativi e portare alla perdita dell’espressione di alcuni […]

Il genoma di tutti gli eucarioti contiene sequenze di DNA, denominate trasposoni e retrotrasposoni, in grado di spostarsi autonomamente nel genoma. Data questa loro capacità, gli elementi genetici mobili hanno rappresentato un’importante fonte di riarrangiamento del genoma eucariotico. Come può però essere intuitivo immaginare,  i riarrangiamenti indotti da trasposoni possono avere effetti negativi e portare alla perdita dell’espressione di alcuni geni o ad una loro espressione non controllata.

Per ovviare a questo problema, la cellula eucariotica ha acquisito nel corso dell’evoluzione strumenti sempre più efficaci nel controllare trasposoni e retrotrasposoni allo scopo di assicurare la massima stabilità del genoma. Questa necessità è divenuta sempre più forte all’aumentare della complessità del genoma, in virtù del fatto che genomi complessi per funzionare si basano sull’interazione tra numerosi ed indipendenti network genici il cui funzionamento potrebbe essere compromesso da riarrangiamenti genetici dati da trasposoni.

Un sorprendente meccanismo di controllo di trasposoni e retrotrasposoni è stato recentemente pubblicato in anteprima dalla rivista Nature. In particolare, il gruppo di ricerca coordinato da Shiv I. S. Grewal (Laboratory of Biochemistry and Molecular Biology, National Cancer Institute, USA) nell’articolo intitolato “Host genome surveillance for retrotransposons by transposon-derived proteins” mostra che porzioni di un trasposone sono state utilizzate per sviluppare meccanismi di controllo per altri elementi genetici mobili.

Già in precedenza era stata dimostrata la possibilità che tratti di trasposoni venissero “riciclati” per svolgere altre funzioni, ma questa è la prima volta in cui viene riportato che parte di un elemento genetico mobile è stata riutilizzata per favorire il silenziamento di altri trasposoni. Nel lavoro condotto dall’equipe del Prof. Grewal viene, infatti, mostrato che nel lievito Schizosaccharomyces pombe la proteina centromerica CENP-B, che deriva da una porzione di un trasposone (e nello specifico del trasposone pogo), è in grado di favorire il silenziamento di trasposoni della famiglia Tf2.

La proteina CENP-B è, infatti, in grado di riconoscere e legare copie del trasposone Tf2 presenti nel genoma e di favorirne il silenziamento tramite deacetilazione, ovvero ricorrendo ad una modificazione epigenetica che porta alla condensazione della cromatina e quindi al suo silenziamento.

Il lavoro di Grewal mostra quindi come l’evoluzione abbia realmente agito da bricoleur (come suggerito da Francois Jacob in Evoluzione e bricolage) ovvero riutilizzato ciò che aveva a disposizione per realizzare “oggetti” nuovi e nel caso specifico un modo nuovo per controllare i trasposoni usando i trasposoni stessi come “materia prima”.

 

Mauro Mandrioli

 

Hugh P. Cam, Ken-ichi Noma, Hirotaka Ebina, Henry L. Levin & Shiv I. S. Grewal (2007) Host genome surveillance for retrotransposons by transposon-derived proteins. Nature, in stampa. doi:10.1038/nature06499.

 

Ulteriori approfondimenti:

Mauro Mandrioli: Anche l’evoluzione ricicla: un esempio di riciclaggio creativo a livello genomico, notizia del 26/10/2007.

Kazazian, H. H. Jr. Mobile elements: drivers of genome evolution. Science 303, 1626–1632 (2004).

Jordan, I. K., Rogozin, I. B., Glazko, G. V., Koonin, E. V. Origin of a substantial fraction of human regulatory sequences from transposable elements. Trends Genet. 19, 68–72 (2003).

Whitelaw, E., Martin, D. I. Retrotransposons as epigenetic mediators of phenotypic variation in mammals. Nature Genet. 27, 361–365 (2001).

 

Fonte immagine: Universite Paris-Sud XI