Confini aperti – terza puntata

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Pikaia ha parlato qui del convegno Confini Aperti: sul rapporto esterno / interno in biologia (Roma, 11-12 febbraio 2011). Qui invece la prima puntata del racconto e qui la seconda.Almeno il concetto di sviluppo è in grado di stabilire confini netti fra un inizio e una fine (l’uovo e la gallina), fra le cause interne e le cause esterne del […]

Pikaia ha parlato qui del convegno Confini Aperti: sul rapporto esterno / interno in biologia (Roma, 11-12 febbraio 2011). Qui invece la prima puntata del racconto e qui la seconda.

Almeno il concetto di sviluppo è in grado di stabilire confini netti fra un inizio e una fine (l’uovo e la gallina), fra le cause interne e le cause esterne del cambiamento? Non sempre, come Alessandro Minelli mostra smontando e rimontando la definizione canonica di sviluppo, come prerogativa dei pluricellulari (anche gli unicellulari hanno stadi – perché no? – di sviluppo) o degli animali (la pianta di Goethe non ha forse piantine figlie? Kalanchoe pinnata). Interessante il caso dei ciliati nei quali l’informazione si conserva come modello – ereditato – per generazioni, in virtù di uno scambio a livello di nucleo che non coinvolge l’«aplomb» ciliare di superficie: non è sessualità anche questa? Lo sviluppo rimane pur sempre l’attuazione di un programma inscritto nei geni attraverso ordinati stadi successivi. Nemmeno questo è sempre vero. Che ne è, allora, dell’aumento di complessità nella maturazione? Chiedetelo a quei parassiti di crostacei, parenti sttretti della famosa Sacculina carcini che da grandi si riducono a una «polvere di cellule», come dice Minelli. Questi casi devono suggerirci che le regolarità nello sviluppo costano meno delle rotture: finché non c’è una divergenza dalla simmetria le cellule embrionali sono specializzate allo stesso modo (anche i geometrici arabeschi delle alghe verdi disegnate da Ernst Haeckel costano poco!). Lo sviluppo minimo richiede solo moltiplicazione e divisione, in una proliferazione cellulare indeterminata e autoreplicativa (negli anellidi, forse, costa più il segnale di stop che la produzione in sequenza dei segmenti). Alcuni mammiferi – ad es. i canguri – hanno una crescita indeterminata finché non muoiono; perché mai dovrebbero essere loro le eccezioni alla regola? Le deviazioni da quella che Minelli battezza col nome di inerzia dello sviluppo, sono le irregolarità che la biologia dello sviluppo si propone di spiegare: a dare la caccia alle regolarità ingegneristiche degli adattamenti, ci pensano già in tanti. La definizione di un “modello zero” in biologia dello sviluppo (analogo all’equilibrio di Hardy-Weinberg per le popolazioni) è allora una comoda, esclusivamente nostra, ma indispensabile astrazione, così come lo è la distinzione dei confini fra segmenti o fra individui.

Si prepara dunque il campo all’argomento della simbiosi, l’interazione tra organismi di specie diverse, in contatto fisico nel tempo, per almeno uno stadio del loro ciclo vitale (difficile stabilire un limite temporale). La triplice simbiogenesi alla radice delle ramificazioni degli eucarioti (protisti; animali e funghi; piante), dimostra l’importanza del concetto di simbiosi per la macroevoluzione, e per la nostra esistenza. Pietro Ramellini pone l’accento sul potere unificatore di questo concetto nello spiegare fenomeni i cui confini si assottigliano come il parassitismo e la simbiosi, concetti uniti in un continuum poiché è difficile calcolare vantaggi e svantaggi quando più organismi diversi vivono insieme, come afidi e batteri simbionti o, a un altro livello gerarchico, afidi e formiche o afidi e piante; inoltre, se chiamiamo organismi i virus, anche il loro rapporto con l’ospite potrebbe essere un tipo di simbiosi. Qualche dubbio sorge quando il tema della simbiosi contagia altre discipline (teoria dei cyborg, bio-filosofia, psicologia, scienze sociali, medicina, arti e geografia), ma Ramellini precisa che si tratta di un’estensione solo analogica, non di una colonizzazione epistemologica.

L’estensione gerarchica del concetto di simbiosi si può protrarre, dal nostro intestino – dove regna una quantità di microrganismi che ammonta a 10 volte il totale delle cellule umane in noi (come Maurizio Casiraghi ci ha spiegato al convegno sulla Sintesi Estesa) – fino al livello degli ecosistemi: molte nicchie ecologiche non sono il risultato della competizione, bensì di una serrata cooperazione fra specie viventi. Manuela Giovannetti ci informa che 6.000 specie di funghi e 240.000 specie vegetali sono in un rapporto di associazione simbiotica mutualistica, detta micorriza. Alcun individui si mantengono tali proprio costruendo delle reti di filamenti (wood wide web) che connettono diversi tipi di piante, in modo tale che quando una di esse è in difficoltà può attingere nutrienti senza che ciò comporti uno squilibrio per l’ambiente circostante, poiché le altre piante lavorano di più per sopperire a quella mancanza.

(Continua…)


Irene Berra

Foto di Cristiano Corsini in licenza creative commons non commerciale.