Dal gene egoista al ribosoma egoista?

Ribosome

Secondo un nuovo studio i ribosomi potrebbero essere stati lo stadio intermedio dalle macromolecole alle prime cellule


«L’unica specie di entità che deve esistere perché esista la vita, in qualunque parte dell’universo, è il replicatore immortale». Così si chiude Il gene egoista, il celebre saggio del 1976, scritto da Richard Dawkins, che rese celebre non solo l’autore ma anche quella metafora, contenuta nel titolo, diventata quasi un’icona della biologia evolutiva contemporanea. Con Il gene egoista, e altre opere successive come Il fenotipo esteso, Dawkins ha reso popolare una visione dell’evoluzione di tipo gene-centrica, sulla base di teorie elaborate in precedenza da altri biologi. Secondo questa visione, il gene, il «replicatore immortale», è l’unità della selezione e gli organismi «macchine per la sopravvivenza» assemblate attorno ai geni.

Per Dawkins l’esistenza di un replicatore è una precondizione necessaria alla nascita e allo sviluppo della vita. I concetti di “replicatore immortale” e di “gene egoista” rimandano, dunque, al problema dell’origine stessa della vita e di come si sia svolta l’evoluzione molecolare che ha portato alla formazione delle prime cellule, il cosiddetto LUCA (Last Universal Common Ancestor), a partire dalle prime macromolecole organiche fondamentali. Il problema non è ancora del tutto risolto sebbene esistano diverse ipotesi concorrenti come quella del “mondo a RNA”, oggi forse la più condivisa. Ipotesi che nel complesso, comunque, forniscono un quadro di insieme di ciò che deve essere successo sulla Terra primordiale.

Ma se il replicatore originario andasse ricercato, nelle cellule di oggi, al di fuori del nucleo che contiene il DNA, quindi i geni? «I geni potrebbero essere il prodotto di “ribosomi egoisti”, invece che la loro origine» ? La citazione, trasformata qui in una domanda, è tratta da una ricerca appena pubblicata sul Journal of Theoretical Biology. Secondo gli autori di questo studio «i ribosomi “egoisti” forniscono un potenziale intermedio nel processo di evoluzione dalle prime macromolecole alle cellule». I ribosomi, presenti sia nei batteri che nelle cellule eucariote, sono una sorta di macchine molecolari che provvedono alla sintesi delle proteine. Sono i ribosomi a tradurre, secondo il codice genetico, l’informazione contenuta nei geni, che viene utilizzata come istruzione per la sintesi della proteina corrispondente a partire dai singoli amminoacidi. L’informazione trascritta dal gene nell’RNA messaggero (mRNA) viene inviata al ribosoma dove il messaggio viene letto e dove si svolge la sintesi della catena proteica, attraverso altri RNA detti “transfer” (tRNA). A ogni tRNA è legato un particolare amminoacido che deve essere inserito nella proteina in via di formazione. I ribosomi sono formati da due subunità, una maggiore e una minore, ciascuna composta da alcune proteine e da un terzo tipo di RNA, l’RNA ribosomale (rRNA). 

L’intermedio di transizione tra i primi polimeri organici e il LUCA, avrebbe dovuto essere in grado di auto-organizzarsi e di replicare se stesso e le istruzioni per il proprio assemblaggio e funzionamento. Il ribosoma, per le sue caratteristiche, potrebbe essere un buon candidato per questo ruolo. Per testare questa ipotesi si dovrebbe verificare se le sequenze degli RNA ribosomali contengano qualche tipo di informazione, a dispetto della visione corrente che considera gli RNA ribosomali come elementi solo strutturali. Gli autori hanno analizzato gli rRNA del batterio Escherichia coli K12 e hanno riscontrato la presenza di sequenze omologhe a quelle dei tRNA, di frammenti di sequenze per la sintesi delle proteine strutturali del ribosoma e anche di enzimi, come quelli necessari alla formazione del legame tra ogni tRNA e l’amminoacido che trasporta. Inoltre, è stata rintracciata la presenza di sequenze codificanti per altri enzimi, come le sintasi e le polimerasi, che avrebbero potuto essere utilizzate per produrre copie degli rRNA.

Queste sequenze all’interno degli rRNA di E. coli K12 potrebbero essere vestigia, ciò che rimane di un genoma primordiale un tempo capace di replicarsi ma ora non più funzionante. L’analisi è ristretta, nel dettaglio, a una sola specie batterica, cosa che potrebbe rendere i risultati, come si legge nello studio, «aberranti». Tuttavia, anche da alcuni confronti preliminari con altre specie, gli autori ritengono che questi risultati possano essere replicati.

Lo studio apre a uno scenario suggestivo, già suggerito del resto da altre ipotesi come quella del “mondo a RNA”, ma che in questo contesto assume un nuovo significato. Il DNA potrebbe essere stato un sottoprodotto della replicazione dell’RNA, fornendo il vantaggio evolutivo di una maggiore stabilità per la replicazione, quando l’RNA fosse stato reso instabile da cambiamenti chimici o fisici nell’ambiente.


Riferimenti:
Meredith Root-Bernstein, Robert Root-Bernstein. The ribosome as a missing link in the evolution of life. Journal of Theoretical Biology, 2015; 367: 130

Immagine da Wikimedia Commons