Dalla terra alle acque
La transizione tra un ambiente e un altro comporta notevoli cambiamenti fenotipici nel corso dell’adattamento alle nuove condizioni di vita. A questo proposito, basta pensare ai cetacei, mammiferi perfettamente adattati alla vita acquatica, che presentano una struttura corporea idrodinamica, anche grazie alla perdita degli arti posteriori e alla modificazione di quelli anteriori in natatoie utili al nuoto.Il modello che descrive […]
La transizione tra un ambiente e un altro comporta notevoli cambiamenti fenotipici nel corso dell’adattamento alle nuove condizioni di vita. A questo proposito, basta pensare ai cetacei, mammiferi perfettamente adattati alla vita acquatica, che presentano una struttura corporea idrodinamica, anche grazie alla perdita degli arti posteriori e alla modificazione di quelli anteriori in natatoie utili al nuoto.
Il modello che descrive i cambiamenti evolutivi prevede che l’evoluzione di un adattamento complesso avvenga in modo graduale e per questo sia preceduta da numerosi stadi intermedi. Una modificazione troppo accentuata di una struttura, infatti, se comparsa nei primi stadi evolutivi, potrebbe risultare più dannosa che utile nel processo di adattamento, in quanto non supportata da altre adeguate. Per questo motivo, ci si attende una lunga serie di piccoli cambiamenti direzionali, promossi dalla selezione naturale, che ne favoriscono l’insorgneza di altri, incrementando complessivamente la fitness.
Questo discorso vale anche per il passaggio dall’ambiente terrestre a quello acquatico: ad esempio, la comparsa di una struttura utile per il nuoto in un organismo che divide la propria vita tra il mezzo acquoso e la terra ferma potrebbe imporre un costo nella deambulazione terrestre, ma, qualora consentisse la conquista di una nicchia ecologica vuota e aumentasse così la fitness, potrebbe innescare una serie di modificazioni, fino al completo passaggio da un ambiente all’altro.
Un gruppo di ricercatori della University of Sydney ha effettuato un semplice ma interessante esperimento sui serpenti tigre australiani (Notechis scutatus), animali che vivono in zone paludose e sono in grado sia di nuotare che di strisciare sulla terra. Sull’estremità della coda sono stati impiantati delle strutture simili a remi, di differente forma e dimensione, e quindi sono state valutate le nuove capacità di nuoto e deambulazione terrestre. E’ noto infatti che le specie di serpenti acquatiche, contrariamente a quelle terrestri, hanno l’estemità caudale appiattita, in modo tale da favorire il nuoto.
I risultati, pubblicati sulla rivista Functional Ecology, indicano che i remi di piccole dimensioni incrementano del 25% la velocità di nuoto, tuttavia impongono un rallentamento pari al 17% negli spostamenti terrestri. I remi di dimensioni più grandi, al contrario, sembrano essere più da ostacolo ai serpenti piuttosto che garantire un reale vantaggio nel nuoto, probabilmente perchè questa specie non presenta l’apparato muscolare lungo la coda adatto al movimento di una così ingombrante struttura.
Solo dopo lo sviluppo di un adeguato sistema di muscoli scheletrici e a una serie di modificazioni di carattere fisiologico, un remo caudale molto pronunciato potrebbe garantire un effettivo e, a questo punto importante, vantaggio nel nuoto e favorire l’eventuale transizione, a piccoli passi, dalla terra all’acqua.
Andrea Romano
Fonte dell’immagine: © 2008 Functional Ecology
Ecologo e docente di Etologia e Comportamento Animale presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università di Milano. Ha scritto di animali ed evoluzione su Le Scienze, Mente e Cervello, Oggiscienza e Focus D&R . Collabora con Pikaia, di cui è stato caporedattore dal lontano 2007 al 2020.