Dawkins anticipato da uno scrittore
La storia è semplice: in un recesso della Nuova Guinea una spedizione di antropologi scopre una popolazione di scimmioni antropomorfi molto più “avanzati” degli altri, insomma, degli ominidi dotati di una certa cultura, che usano il fuoco e comunicano in modo abbastanza sofisticato.Galvanizzati dalla scoperta, li studiano per un po’, poi ne portano alcuni al Museo di Sidney per studiarli […]
La storia è semplice: in un recesso della Nuova Guinea una spedizione di antropologi scopre una popolazione di scimmioni antropomorfi molto più “avanzati” degli altri, insomma, degli ominidi dotati di una certa cultura, che usano il fuoco e comunicano in modo abbastanza sofisticato.
Galvanizzati dalla scoperta, li studiano per un po’, poi ne portano alcuni al Museo di Sidney per studiarli meglio. Ma qui cominciano i guai: esiste una Società che ha i diritti di sfruttamento della regione nella quale sono stati trovati i tropi (così sono stati famigliarmente battezzati gli antropoidi). La società eccepisce che si tratti di un indebito furto di fauna, e anzi avanza trattative con fabbriche tessili per mettere i tropi ai telai (d’altra parte: non si fanno lavorare asini, cavalli, buoi, piccioni ed altri animali da tempo immemorabile??).
Il protagonista del romanzo, che naturalmente sta dalla parte dei tropi, scrive sconsolato alla sua fidanzata:
“II museo ha ricevuto, per via legale, un’ingiunzione di restituire alla Società la proprietà dei 30 tropi “così come della progenie presente e futura” precisa l’ingiunzione “indebitamente sottratti alla fauna di una regione concessa pienamente e senza riserve alla Società Agricola”. E’ con tutta evidenza il tentativo di trascinarci in un processo: non è ciò che cerchiamo? Ma inizierebbe ben male per noi, o piuttosto per i tropi. Con le leggi attuali, l’affare verrebbe discusso dal Tribunale Civile, sul terreno commerciale, un terreno sul quale la Società Agricola vincerebbe facilmente la causa. Non avevamo alcun diritto di portare via degli animali dal Takoura, né di farne dono al Museo. Bisognerebbe dunque trasportare l’affare sul nostro terreno, arguire che i tropi non sono pernulla una fauna, ma una popolazione. Ma allora il Museo si autoaccuserebbe nello stesso tempo del crimine di ratto e sequestro, e voi capite bene che si farebbe in modo di tirarci tutti dentro; non è certo in una simile atmosfera di scandalo e farsa che si potrebbe arrivare ad una verità obbiettiva. Si ritorcerebbe troppo facilmente sul Museo di non poter seriamente definire umani i Tropi: il posto degli umani è certamente meno nelle gabbie di ferro che davanti ai telai…” (p. 90)
Ma c’è di peggio: un antropologo di dubbia reputazione venale scrive un articolo sui tropi che il protagonista, sempre nella lettera alla fidanzata, definisce machiavellico:
“… la scoperta del Paranthropus greamiensis […il nome scientifico dei tropi…] non solo conferma le nostre conoscenze sulle origini dell’uomo, ma addirittura fa piazza pulita delle nozioni che abbiamo sull’uomo stesso, o piuttosto, scrive, delle diverse specie che noi inglobiamo in quest’unico termine. Egli dimostra che classificare Paranthropus nella specie homo, è come ammettere che questa specie possa comportare individui quadrumani (senza contare gli altri attributi scimmieschi); se d’altra parte (come sembra alcuni vogliano fare) gli si nega l’appartenenza alla specie homo, con che diritto si chiama “uomo” il fossile di Heidelberg, con la mandibola da scimpanzè, e quello di Neanderthal, che non differisce dai tropi che per qualche dettaglio di struttura? E così, avvicinandoci sempre più, perché chiamare uomo il fossile di Grimaldi, che non differisce dal precedente che per qualche dettaglio, quello di Cro-Magnon, e infine i Pigmei africani, i Veddah di Ceylon o i Tasmaniani la cui scatola cranica è meno sviluppata di quella di Cro-Magnon, e i cui premolari mostrano un quinto denticolo come nelle grandi scimmie? L’apparizione dei tropi prova l’inanità della nozione semplicistica della specie umana. Non vi è una specie umana, non c’è che una vasta famiglia di ominidi, che scende la scala dei colori, al culmine della quale c’è il Bianco – il vero uomo – per andare a finire, dall’altra parte, ai tropi e agli scimpanzè. Occorre abbandonare le nostre vecchie concezioni sentimentali, e stabilire infine scientificamente la gerarchia dei gruppi intermedi “abusivamente detti umani””.
La faccenda si sviluppa poi in un modo sorprendente: i tropi in effetti sembrano essere interfecondi con le antropomorfe, e riesce anche un esperimento di fecondazione artificiale con sperma umano (appartenente al protagonista). Ma a questo punto…
Marco Ferraguti
È stato Professore Ordinario di Evoluzione Biologica presso l’Università degli Studi di Milano. Ha svolto ricerche nel campo della riproduzione e filogenesi in diversi gruppi di invertebrati. È stato presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica e si è occupato attivamente della divulgazione di temi evoluzionisti e di traduzioni di testi di autori importanti. Ha curato il testo “Evoluzione, modelli e processi” per Pearson Italia. Ha diretto per 20 anni la Biblioteca Biologica dell’Università