Definizioni in evoluzione
La scienza si basa sull’utilizzo di definizioni il cui significato può andare cambiando nel tempo in base alle nuove scoperte scientifiche. In alcuni casi, può tuttavia non esservi accordo all’interno della comunità scientifica sulla necessità di introdurre nuove definizioni o può non esservi consenso sulla valenza assunta da un determinato termine. Un esempio è rappresentato dal termine epigenetica che oggi […]
La scienza si basa sull’utilizzo di definizioni il cui significato può andare cambiando nel tempo in base alle nuove scoperte scientifiche. In alcuni casi, può tuttavia non esservi accordo all’interno della comunità scientifica sulla necessità di introdurre nuove definizioni o può non esservi consenso sulla valenza assunta da un determinato termine. Un esempio è rappresentato dal termine epigenetica che oggi viene usato in modo generale per indicare tutte quelle modificazioni chimiche che la cromatina può subire e che ne alterano i livelli di condensazione (e quindi la possibilità per i geni di essere trascritti), andando quindi a sostituire una definizione precedente di epigenetica in cui si indicava una variazione ereditabile nello stato di espressione di un gene. E’ sbagliato modificare il significato che le “parole” hanno o questo semplicemente riflette nuove necessità ed un nuovo modo di vedere alcuni processi?
Per rispondere a questo quesito, la rivista Nature dedica un articolo ad alcune definizioni oggi di frequente utilizzo nei testi scientifici, ma che possono essere di difficile interpretazione per i non esperti. In particolare, l’elenco delle “parole” descritte è molto intrigante è comprende termini quali “paradigm shift”, epigenetica, complessità, razza, “tipping point”, cellule staminali e coscienza.
Alcuni di questi termini hanno una particolare importanza in biologia evoluzionistica per cui può essere importante valutare come il loro significato è andato mutando. Tra questi vi è indubbiamente il concetto di “paradigm shift” o di cambiamento di paradigma, introdotto per la prima volta da Thomas Kuhn per indicare cambiamenti di grande portata nel modo di interpretare sistemi complessi. Esempi di cambiamento di paradigma sono state la rivoluzione copernicana e la proposta della teoria dell’evoluzione. Oggi si tende invece ad usare questa espressione per indicare cambiamenti nel modo di vedere singoli fenomeni che in realtà non modificano in modo significativo la teoria generale a cui fanno riferimento. Un esempio: le recenti scoperte in materia di evo-devo hanno sicuramente introdotto concetti nuovi in biologia evoluzionistica, ma non tali da rendere necessario un cambiamento di paradigma ovvero sempre restando all’interno del paradigma iniziale definito da Darwin.
Tra i concetti illustrati vi è anche quello di complessità che in biologia ( e non solo!) ha una difficile definizione e che come “irriducibile complessità” è divenuto il cavallo di battaglia dei sostenitori dell’intelligent design. Purtroppo la descrizione di questo concetto è un po’ deludente ed alla fine (in modo a mio avviso scorretto) complesso e complicato sembrano divenire sinonimi.
L’ultima definizione che ha colpito la mia attenzione è quella di razza. E’ infatti ormai acquisito all’interno della comunità scientifica (o per lo meno io pensavo lo fosse) che il termine razza non ha alcuna valenza scientifica (chi è interessato a questo argomento può leggere l’ultimo libro di Guido Barbujani e Pietro Cheli dal titolo “Sono razzista ma sto cercando di smettere“, edito da Laterza, 2008). Con sorpresa ho trovato nella definizione di razza scritta da Erika Check Hayden la seguente frase “Esiste un buon consenso tanto nelle scienze biologiche che in quelle sociali sul fatto che (…) i gruppi di esseri umani sono molto simili l’uno con l’altro piuttosto che differenti. Questo non significa tuttavia che le razze non esistano o siano prive di significato nella società. Questo indica semplicemente che le razze non sono indicatori particolarmente utili o predittivi per specifici tratti biologici o predisposizioni per specifiche malattie”. Ma le scienze biologiche dicono veramente questo? Secondo questa definizione le razze non esistono perché non servono, ma non è un po’ contorto come ragionamento? Le razze non esistono perché semplicemente non vi sono prove a sostegno della loro esistenza a livello biologico.
Quest’ultimo esempio ci mostra un aspetto importante ovvero come sia spesso difficile trovare definizioni uniche in ambiti diversi, motivo per cui gli stessi termini possono avere sfumature o significati abbastanza diversi in contesti diversi ed indubbiamente questo non facilità la vita di chi si avvicina alla scienza cercando punti fermi o definizioni precise di specifici fenomeni.
Mauro Mandrioli
Fonte immagine: illustrazione di N. Dewar apparsa sull’ultimo fascicolo di Nature
Biologo e genetista all’Università di Modena e Reggio Emilia, dove studia le basi molecolari dell’evoluzione biologica con particolare riferimento alla citogenetica e alla simbiosi. Insegna genetica generale, molecolare e microbica nei corsi di laurea in biologia e biotecnologie. Ha pubblicato più di centosessanta articoli su riviste nazionali internazionali e tenuto numerose conferenze nelle scuole. Nel 2020 ha pubblicato per Zanichelli il libro Nove miliardi a tavola- Droni, big data e genomica per l’agricoltura 4.0. Coordina il progetto More Books dedicato alla pubblicazione di articoli e libri relativi alla teoria dell’evoluzione tra fine Ottocento e inizio Novecento in Italia.