Le nostre pupille sono una finestra sul funzionamento del cervello

Piccolissime variazioni del diametro pupillare rivelano processi di apprendimento involontario
Si dice che gli occhi siano “lo specchio dell’anima”. Guardando negli occhi ci si esprime, ci si comprende, ci si riconosce, e talvolta ci si innamora. Un nuovo studio internazionale pubblicato su Current Biology ha però approfondito quello che negli occhi, a prima vista, non è possibile osservare. Micrometriche variazioni del diametro della pupilla, che rivelano processi di apprendimento automatici e al di là della nostra volontà e della nostra attenzione.
Il diametro delle pupille non cambia solo per la luce
Lo studio, condotto da gruppi di ricerca delle Università di Pisa, Sydney, Firenze e del Salento, è stato guidato da Paola Binda, professoressa associata al dipartimento di ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa.
“Tutti sappiamo che il diametro pupillare si modifica: quando ci spostiamo sulla spiaggia ad agosto le pupille si restringono; entrando in una cantina buia, viceversa, si dilatano. Queste variazioni millimetriche, regolate dal livello di luce, sono note da secoli, ma non è così per i meccanismi di variazione dovuti ad altre stimolazioni”, spiega la ricercatrice. “Molto più recentemente, noi e altri gruppi di ricerca abbiamo contribuito a definire altre variazioni del diametro pupillare, che non dipendono dalla luce. Sono molto più piccole, nell’ordine dei micrometri, cioè mille volte più piccole di un millimetro, e sono il riflesso di complesse elaborazioni che avvengono nel cervello, nella sua parte cognitiva e nella sua parte sensoriale. In quanto tali, sono quindi una finestra per seguire lo svolgimento di questi processi.”
I ricercatori hanno mostrato particolari sequenze di immagini ai soggetti coinvolti e controllato le minuscole variazioni della pupilla. Nel gruppo di controllo le immagini, totalmente astratte e prive di significato, sono state presentate in modo del tutto casuale, ma nel gruppo sperimentale le sequenze presentavano invece delle regolarità. Tutte le volte che compariva lo stimolo A compariva anche lo stimolo B, e tutte le volte che compariva lo stimolo C compariva anche il D. Per esempio, venivano presentate sempre 6 barrette prima che nell’immagine successiva ne comparissero 24, con regolarità. Solo l’esposizione a stimoli regolari provocava una variazione del diametro pupillare, indicando la presenza di un processo cognitivo.
L’elaborazione era però inconscia. Binda paragona le immagini dell’esperimento alle pagine di un album fotografico che facciamo scorrere distrattamente, senza prestare particolare attenzione al contenuto. Le sequenze avevano un ritmo molto sostenuto, due immagini al secondo, e come abbiamo detto erano tutte astratte. Era impossibile per i partecipanti identificare coscientemente la struttura che i ricercatori avevano nascosto. Eppure le variazioni del diametro pupillare riflettevano questa aspettativa.
Apprendimento automatico
In altre parole, l’esperimento ha dimostrato che il cervello dei partecipanti aveva automaticamente appreso la regolarità nelle immagini. Le pupille hanno rivelato che ci si aspettava una determinata immagine, senza l’intervento della coscienza. Questo non accadeva mai nel gruppo di controllo.
“Dopo qualche ripetizione, tutte le volte che compariva l’immagine predittiva, quella che generava un’aspettativa sulla successiva c’era una variazione del diametro pupillare molto riconoscibile.“
Gli occhi possono diventare quindi una finestra su come percepiamo il mondo ed elaboriamo le informazioni, processi spesso al di fuori del controllo cosciente. Del resto, tantissime delle informazioni su cui si basa il nostro comportamento sono apprese in modo spontaneo e inconsapevole, basti pensare all’acquisizione del linguaggio. Per cominciare a imparare la lingua un bambino deve solo ascoltare, e in breve sarà in grado di distinguere tra loro le singole parole, anche se non ci sono pause evidenti: una sorta di “apprendimento statistico”.
Questi meccanismi biologici innati che ci permettono di imparare sono probabilmente frutto di un adattamento, mentre possiamo interpretare la modifica del diametro pupillare come una specie di “effetto collaterale” di questi processi. Come spiega la ricercatrice, i processi cognitivi e percettivi di cui parliamo probabilmente rilasciano un neurotrasmettitore, la noradrenalina. Il rilascio di questa sostanza modifica il modo in cui il nostro cervello usa ed elabora le informazioni, è come se fosse un “segnale di sveglia”. Ma lo stesso segnale, attraverso un percorso parallelo, finisce anche per influenzare il diametro pupillare.
“Questo non significa che, di per sé, modificare il diametro pupillare abbia un impatto sulla fisiologia, perché si tratta di modulazioni così piccole che, da un punto di vista fisico ottico, le loro conseguenze potrebbero non essere significative. Possiamo solo concludere che si tratta di un segno che manifesta una modifica biologica dei processi cognitivi in seguito a esposizione a stimoli con un certa regolarità”.
Possibili applicazioni
Spesso pensiamo erroneamente che gli occhi siano come telecamere, e studi come questo ci fanno comprendere che invece la percezione e l’elaborazione delle informazioni è mediata da meccanismi da meccanismi inconsci e ancora non del tutto noti. Al di là della scoperta, approfondire questi meccanismi può avere importanti risvolti: se esistono questi “modelli interni” di apprendimento, allora potrebbe essere capire come manipolarli e usarli per alleviare disfunzioni percettive e cognitive.
La prof.ssa Binda espone le prospettive future:
“Nei prossimi 5 anni, l’obiettivo del nostro gruppo di ricerca è comprendere come intervenire sulla generazione e modifica dei modelli operativi interni. Da molto piccoli, ciascuno di noi li forma in base all’esperienza, poi questi si “cristallizzano” nell’età adulta, conferendo una certa stabilità. Ma l’apprendimento automatico che abbiamo osservato si manifesta per tutta la vita. Se si riuscisse a comprendere come sfruttare i meccanismi di apprendimento automatico per destrutturare, per esempio, processi disfunzionali, si potrebbero modificare i modelli interni che ne stanno alla base e modificarli, correggerli, intervenendo indirettamente su processi biologici come la plasticità sinaptica, senza alcuna pratica invasiva.”
Al di là delle possibili applicazioni mediche, che potrebbero intervenire sui punti di contatto tra mente e cervello, tra anima e corpo, lo studio sembrerebbe confermare, tramite evidenze, quello che molta letteratura del nostro passato aveva intuito dell’animo umano. Per citarne un esempio:
“Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed è quando l’ha riconosciuta per il segno di un’altra cosa: un’impronta sulla sabbia indica il passaggio della tigre, un pantano annuncia una vena d’acqua, il fiore dell’ibisco, la fine dell’inverno. Tutto il resto è muto e intercambiabile; alberi e pietre sono soltanto ciò che sono.
Italo Calvino, Le città e i segni. (Le città invisibili, I. 1972)
Immagine in apertura: da Pixabay

Biologo molecolare, ha svolto attività di ricerca per un breve periodo pubblicando su importanti riviste di settore. Attirato dalla comunicazione ha lavorato per aziende farmaceutiche e infine ha trovato la sua consona espressione nell’insegnamento e nella divulgazione scientifica. Per certificare le competenze di divulgazione ho svolto un corso con Feltrinelli con docenti S.I.S.S.A. Scrive di scienza in diversi ambiti.