Dimmi cosa mangi e ti dirò che genoma hai
La storia della nostra specie è stata caratterizzata da numerose innovazioni non solo tecnologiche, ma anche alimentari. In particolare, l’introduzione nella dieta di nuovi alimenti ha rappresentato un importante momento di selezione in cui i soggetti che erano in grado di metabolizzare il nuovo alimento in modo efficace traevano grandi vantaggi rispetto agli altri.L’introduzione di un nuovo alimento comporta, infatti, […]
La storia della nostra specie è stata caratterizzata da numerose innovazioni non solo tecnologiche, ma anche alimentari. In particolare, l’introduzione nella dieta di nuovi alimenti ha rappresentato un importante momento di selezione in cui i soggetti che erano in grado di metabolizzare il nuovo alimento in modo efficace traevano grandi vantaggi rispetto agli altri.
L’introduzione di un nuovo alimento comporta, infatti, la necessità di sfruttarne al meglio le proprietà nutrizionali e quindi di disporre di un adeguato set di enzimi per realizzarne la digestione.
A livello molecolare, perciò, si ha un vero e proprio processo di selezione in cui i soggetti che possiedono un adeguato set di enzimi (e quindi di geni) utili alla digestione del nuovo alimento possono avere un vantaggio rispetto al resto della popolazione ed incrementare la propria fitness.
Una recente pubblicazione su Nature Genetics mostra come questo processo sia avvenuto per l’amido. In particolare, il gruppo di ricerca coordinato da George H. Perry (School of Human Evolution and Social Change, Arizona State University, USA ) nell’articolo intitolato “Diet and the evolution of human amylase gene copy number variation” ha verificato che relazione ci fosse tra i livelli di amido nella dieta ed il numero di copie del gene AMY1 codificante per l’amilasi rilasciata nella saliva.
Il rilascio di amilasi nella saliva è essenziale perchè permette di iniziare la digestione dell’amido già a livello della bocca, per cui ci possiamo aspettare che soggetti in grado di produrre elevate quantità di amilasi siano in grado di trarre dall’amido il massimo delle potenzialità nutrizionali. Sulla base di questa ipotesi potremmo, quindi, ipotizzare che i soggetti con più di una copia del gene AMY1 siano in grado di digerire l’amido in modo più efficace rispetto a chi ne ha un sola copia.
A conferma di questa ipotesi Perry e colleghi hanno mostrato come popolazioni con una dieta ricca di amido possiedano più copie del gene AMY1 nel proprio genoma (almeno 6), mentre le popolazioni con diete povere di amido presentino poche copie di questo gene.
Questo interessante articolo mostra, quindi, come tra i diversi fattori che hanno contribuito all’evoluzione del nostro genoma sia necessario inserire anche la dieta e come il nostro genoma rappresenti un vero e proprio libro mastro dell’evoluzione della nostra specie.
Mauro Mandrioli
George H Perry, Nathaniel J Dominy, Katrina G Claw, Arthur S Lee, Heike Fiegler, Richard Redon, John Werner, Fernando A Villanea, Joanna L Mountain, Rajeev Misra, Nigel P Carter, Charles Lee & Anne C Stone (2007) Diet and the evolution of human amylase gene copy number variation. Nature Genetics. Published online: 9 September 2007, doi:10.1038/ng2123.
Fonte immagine: Archivio di Peck
Biologo e genetista all’Università di Modena e Reggio Emilia, dove studia le basi molecolari dell’evoluzione biologica con particolare riferimento alla citogenetica e alla simbiosi. Insegna genetica generale, molecolare e microbica nei corsi di laurea in biologia e biotecnologie. Ha pubblicato più di centosessanta articoli su riviste nazionali internazionali e tenuto numerose conferenze nelle scuole. Nel 2020 ha pubblicato per Zanichelli il libro Nove miliardi a tavola- Droni, big data e genomica per l’agricoltura 4.0. Coordina il progetto More Books dedicato alla pubblicazione di articoli e libri relativi alla teoria dell’evoluzione tra fine Ottocento e inizio Novecento in Italia.