Dna a 8 lettere: uno studio raddoppia l’alfabeto della vita
Prodotta per la prima volta in laboratorio una molecola simile al Dna che però utilizza ben 8 basi azotate
All’evoluzione sono bastate quattro lettere per scrivere la storia della vita: la guanina (G), l’adenina (A), la timina (T) e la citosina (C). Sono contenute nel nucleo di ogni cellula in lunghissime sequenze e ripetizioni (ciascuna specie ha le sue) che formano la molecola di Dna. Qui vengono custodite le informazioni genetiche necessarie a costruire un organismo adattato al proprio ambiente.
Uno studio pubblicato su Science il 22 febbraio scorso, condotto da un gruppo di ricercatori guidati da Steven Benner (Foundation for Applied Molecular Evolution, Alachua, Florida), è riuscito a produrre in laboratorio una molecola simile al Dna che però raddoppia l’alfabeto della vita: un linguaggio molecolare di 8 lettere che secondo i ricercatori è in grado di immagazzinare e trascrivere informazione e che potrebbe risultare compatibile con la vita.
La molecola di Dna normalmente si avviluppa su se stessa formando la caratteristica doppia elica osservata per la prima volta nel 1953 da James Watson e Francis Crick basandosi sulle immagini a raggi X raccolte da Rosalind Franklin. A si lega con T, C si lega con G.
Le lettere del Dna (basi azotate) si accoppiano grazie ai legami idrogeno: ciascuna contiene atomi di idrogeno che sono attirati dagli atomi di azoto e ossigeno dell’altro membro della coppia.
Da riversi anni il gruppo di ricerca, e più in generale il campo di studi della biologia sintetica, stava lavorando a soluzioni alternative alle naturali basi azotate. Le 4 nuove basi sintetiche, prodotte in laboratorio, sono state chiamate S, B, P e Z. Le prime due si legano tra di loro e lo stesso fa la seconda coppia. Hanno una struttura simile a quelle naturali, con alcune varianti nel modo in cui si uniscono.
Il nuovo linguaggio sintetico è stato chiamato hachimoji, utilizzando i termini giapponesi corrispondenti a “otto” e “lettera”.
Il canale youtube SciShow spiega la scoperta del Dna a 8 lettere. YouTube, SciShow
L’obiettivo dello studio era mostrare che questa nuova struttura molecolare assolvesse correttamente a tutti i compiti che normalmente svolgerebbe la tradizionale molecola di Dna. I ricercatori si sono dunque impegnati a dimostrare tre punti fondamentali: che le nuove basi si accoppiano tra di loro in modo stabile, indipendentemente dall’ordine in cui si trovano; che la nuova molecola a 8 lettere mantiene la sua struttura, anche quando vengono introdotte mutazioni casuali; che il linguaggio hachimoji è in grado di essere letto e tradotto in molecole di Rna (che al posto della T utilizza la U – uracile), che poi verranno ulteriormente tradotte in amminoacidi e in proteine.
L’ultimo punto è risultato quello più problematico, per via della peculiare struttura molecolare di S. I ricercatori l’hanno risolto trascrivendo il Dna hachimoji in una particolare forma di Rna, gli aptameri (aptamer), che sono specifiche sequenze capaci di legarsi direttamente a una molecola o a una proteina.
Superati i primi test fondamentali, occorrerà farne di nuovi per capire se questo alfabeto della vita potrà dirsi davvero tale: ad esempio occorrerà verificare se l’hachimoji Dna può essere replicato dalle polimerasi, quegli enzimi responsabili della sintesi della molecola del Dna durante il processo di divisione cellulare che avviene di continuo negli organismi.
Il fatto che una molecola creata in laboratorio risulti capace di immagazzinare e tradurre informazione ci dice due cose molto interessanti sulla vita.
Innanzitutto che le cose sarebbero potute andare diversamente da come sono effettivamente andate. In un articolo del 1968 Francis Crick, oltre a suggerire che la vita sia nata prima in forma di molecole autoreplicantisi di Rna e solo in un momento successivo abbia effettuato la transizione al Dna, formulò l’ipotesi dell’incidente congelato (frozen accident hypothesis), sostenendo che le ragioni per cui il Dna ha le caratteristiche che conosciamo oggi sono contingenti e non necessarie, legate cioè alle condizioni particolari in cui quell’evento è avvenuto. In altri termini, in condizioni diverse la vita sarebbe potuta evolvere a partire da una molecola diversa. Tuttavia, una volta emersa quella struttura, avendo dimostrato di funzionare correttamente, ogni modifica sarebbe risultata estremamente costosa ed è quindi per ragioni economiche che l’evoluzione ha congelato, ovvero preservato nel tempo, la struttura del Dna.
La seconda cosa interessante è che questo studio ci suggerisce che altrove nell’universo le cose potrebbero essere andate diversamente: la vita si può essere evoluta a partire da una molecola con caratteristiche diverse da quelle del Dna terrestre, a partire da quel mattoncino fondamentale si possono essere evoluti organismi con caratteristiche inedite, anche se ad oggi è difficile dire quali. È per questo che il lavoro sul Dna a 8 lettere è stata finanziato anche dalla Nasa, interessata a investire nel campo dell’astrobiologia.
Ma il Dna hachimoji potrebbe avere applicazioni che interessano anche gli informatici e i medici. Il Dna può infatti funzionare come il disco di memoria di un computer e un alfabeto molecolare di 8 lettere è in grado di immagazzinare molta più informazione in meno spazio.
Gli aptameri derivanti da sequenze che includono P e Z si sono invece dimostrati particolarmente efficaci nel bersagliare e legarsi a molecole presenti nelle cellule tumorali, una proprietà che le rende molto preziose per lo studio del cancro e per lo sviluppo di farmaci.
Da Il Bo Live, magazine dell’Università di Padova