È lombardo il più antico dinosauro carnivoro di grosse dimensioni
Chiamato Saltriovenator zanellai, visse intorno 200 milioni di anni fa nell’attuale Lombardia. La sua descrizione aiuta a comprendere l’evoluzione dei dinosauri carnivori
Il “saltriosauro” ha ora un vero nome scientifico, Saltriovenator zanellai: è il più antico ceratosauro del mondo e il primo dinosauro giurassico italiano. Lo afferma uno studio dettagliato pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista scientifica PeerJ da paleontologi italiani guidati da Cristiano Dal Sasso, del Museo di Storia Naturale di Milano, che rimarca: “Saltriovenator anticipa la comparsa dei grandi dinosauri predatori di ben 25 milioni di anni”.
I dinosauri carnivori risalenti al Giurassico inferiore sono molto pochi e in genere sono di piccole dimensioni. Saltriovenator invece era un enorme predatore, che visse in Lombardia circa 200 milioni di anni fa. Quasi otto metri di lunghezza, una tonnellata di peso, un cranio di ottanta centimetri armato di denti aguzzi come pugnali e arti anteriori muniti di quattro dita, di cui tre possenti e artigliate, ne facevano una terribile “macchina da guerra”.
I suoi resti fossili erano venuti alla luce nel 1996 in una cava di Saltrio (Varese), a meno di ottanta chilometri da Milano, ma per estrarre dalla dura roccia e ricomporre le ossa ridotte in piccoli frammenti ci sono voluti anni. Ora, finalmente, il lungo studio è stato completato da un team tutto italiano di paleontologi, che oltre a Cristiano Dal Sasso comprende Simone Maganuco (collaboratore Museo di Storia Naturale di Milano) e Andrea Cau (Museo Geologico “Capellini” di Bologna). I risultati indicano che il dinosauro di Saltrio era piuttosto diverso dal suo primo identikit: gli arti anteriori avevano quattro dita, non tre, dunque non era un allosauro primitivo ma il più antico e più grande ceratosauro del Giurassico. E questo è un vero record mondiale. Di qui il nome scientifico, nuovo di zecca come l’immagine oggi rivelata dalle sue ossa.
Dopo il piccolo e ormai famoso Scipionyx – detto Ciro – trovato a Pietraroia (Benevento), Saltriovenator è in ordine di tempo il secondo dinosauro venuto alla luce nel nostro paese, risulta la terza specie di dinosauro italiano istituita ufficialmente, la prima risalente al periodo Giurassico, ed è il primo, e per ora unico, dinosauro lombardo.
Quando fu annunciato il ritrovamento, nel 2000, erano passati pochi mesi dall’estrazione delle ossa in laboratorio. Il dinosauro di Saltrio fu provvisoriamente soprannominato “Saltriosauro” in quanto non era stato ancora esaminato in dettaglio e quindi non vi erano dati sufficientemente certi per pubblicarne una descrizione scientifica. Tuttavia il nome latinizzato Saltriosaurus comparve per errore su una rivista giapponese, senza essere accompagnato da una diagnosi accettabile dalla Commissione Internazionale di Nomenclatura Zoologica (che regola il modo con cui i nomi scientifici delle specie vengono definiti). Tecnicamente divenne un “nomen nudum”, non più utilizzabile dalla scienza. Per evitare equivoci e fraintendimenti con il nome “ufficioso” non più valido, gli autori dell’articolo di PeerJ hanno mantenuto il nome della località nel nuovo nome, stavolta accettato ufficialmente anche perché composto da due parole, che identificano genere e specie: Saltriovenator zanellai. Il termine “venator” in latino significa “cacciatore”, mentre il nome della specie,“zanellai”, è un omaggio ad Angelo Zanella, che scoprì il fossile nel 1996.
La carta d’identità di Saltriovenator zanellai è oggi molto dettagliata, tanto da occupare un articolo di ben 78 pagine: una vera e propria monografia, che è scaricabile liberamente online. “Sebbene frammentario, lo scheletro di Saltriovenator mostra un mosaico di caratteri anatomici ancestrali e derivati, che si trovano rispettivamente nei dinosauri con mani a quattro dita, come i dilofosauri e i ceratosauri, e nei teropodi tetanuri che hanno mani con tre dita, come gli allosauri”, dice il primo autore Cristiano Dal Sasso, che per riuscire a identificare le ossa più frammentarie è andato fino in California (Berkeley) e a Washington (Smithsonian), ritrovandone la posizione precisa su scheletri più completi.
Quel che oggi pare ovvio a chi osserva le illustrazioni dell’articolo con le ossa ricomposte deriva da un paziente e sistematico lavoro di analisi, frammento per frammento, come si fa con le tessere di un mosaico distrutto. Tanto che “alcune di quelle illustrazioni sono state ottenute combinando più di 150 file di immagini”, continua Dal Sasso. “Non tutti i frammenti combaciano, ma molti sono adiacenti e ci permettono di ricostruire così la forma di intere ossa. Per completare il puzzle è stato significativo l’uso di una stampante 3-D: per esempio, parte della scapola sinistra è stata trasformata in scapola destra grazie ad una ‘stampa a specchio’, ottenendo un osso più completo”.
Nonostante siano state trovate poche ossa, alcune di esse sono intere (omero) o quasi complete (caviglia) e ci forniscono dati preziosi per calcolare le proporzioni corporee e il peso dell’intero animale. Dal confronto con scheletri completi di altri dinosauri predatori del Giurassico, tra cui Ceratosaurus, “si stima che Saltriovenator fosse lungo 7,5 metri e pesasse almeno una tonnellata”, dice il coautore Simone Maganuco.
L’esame delle ossa indica che si trattava di un esemplare non ancora adulto, che dunque avrebbe potuto crescere ancora. “L’analisi paleoistologica degli anelli di crescita presenti nelle ossa mostra che Saltriovenator era un individuo subadulto ancora in crescita, pertanto la sua taglia stimata è davvero impressionante, nel contesto del Giurassico inferiore”. Conclude Maganuco: “la ‘corsa agli armamenti’ tra predatori più possenti e dinosauri erbivori sempre più grandi era già iniziata 200 milioni di anni fa”.
La descrizione di questa specie aiuta anche a comprendere l’evoluzione degli uccelli. Tutti i dinosauri carnivori appartenevano al gruppo dei teropodi ed erano bipedi. Nella loro evoluzione avevano sollevato da terra gli arti anteriori, che non servivano più per camminare, modificandoli per la cattura delle prede. E, successivamente, anche per… volare. L’evoluzione della mano degli uccelli a partire dai loro antenati dinosauriani è ancora dibattuta, ma certamente avvenuta. “Tra i paleontologi ci sono due correnti di pensiero: una sostiene che l’ala sia derivata dalla fusione del primo, secondo e terzo dito della mano dei teropodi, e l’altra ritiene che sia invece frutto dell’unione del secondo, terzo e quarto dito”, commenta il coautore Andrea Cau. Nel 2009, sulla rivista Nature i fautori di questa seconda ipotesi portarono come prova un nuovo ceratosauro vissuto alla fine del Giurassico e chiamato Limusaurus, caratterizzato da una bizzarra mano in parte atrofizzata.
Con i suoi 198 milioni di anni di età, il dinosauro di Saltrio smentisce questa seconda ipotesi e ci apre una finestra su un passato assai più remoto. “Saltriovenator è un ceratosauro molto più primitivo di Limusaurus, ma dotato di una mano perfettamente funzionante, non atrofizzata. Esso testimonia un momento chiave nell’evoluzione della mano nei teropodi, finora poco noto”, conclude Cau.
Il nuovo studio dei paleontologi italiani dimostra che furono il quarto e quinto dito a sparire nel corso dell’evoluzione dei teropodi, e furono quindi le prime tre dita a dare origine all’ala degli uccelli. Questo il motivo per cui l’articolo ha un titolo che pare un po’ sibillino, ma è invece assolutamente coerente: “The oldest ceratosaurian (Dinosauria: Theropoda), from the Lower Jurassic of Italy, sheds light on the evolution of the three-fingered hand of birds”.
Riferimenti:
Cristiano Dal Sasso, Simone Maganuco, Andrea Cau. The oldest ceratosaurian (Dinosauria: Theropoda), from the Lower Jurassic of Italy, sheds light on the evolution of the three-fingered hand of birds. PeerJ, 2018; 6: e5976 DOI: 10.7717/peerj.5976
Immagine di apertura credit: Davide Bonadonna
Prima immagine nel testo credit: Andrea Cau
Seconda immagine nel testo credit: Marco Auditore
I dinosauri carnivori risalenti al Giurassico inferiore sono molto pochi e in genere sono di piccole dimensioni. Saltriovenator invece era un enorme predatore, che visse in Lombardia circa 200 milioni di anni fa. Quasi otto metri di lunghezza, una tonnellata di peso, un cranio di ottanta centimetri armato di denti aguzzi come pugnali e arti anteriori muniti di quattro dita, di cui tre possenti e artigliate, ne facevano una terribile “macchina da guerra”.
I suoi resti fossili erano venuti alla luce nel 1996 in una cava di Saltrio (Varese), a meno di ottanta chilometri da Milano, ma per estrarre dalla dura roccia e ricomporre le ossa ridotte in piccoli frammenti ci sono voluti anni. Ora, finalmente, il lungo studio è stato completato da un team tutto italiano di paleontologi, che oltre a Cristiano Dal Sasso comprende Simone Maganuco (collaboratore Museo di Storia Naturale di Milano) e Andrea Cau (Museo Geologico “Capellini” di Bologna). I risultati indicano che il dinosauro di Saltrio era piuttosto diverso dal suo primo identikit: gli arti anteriori avevano quattro dita, non tre, dunque non era un allosauro primitivo ma il più antico e più grande ceratosauro del Giurassico. E questo è un vero record mondiale. Di qui il nome scientifico, nuovo di zecca come l’immagine oggi rivelata dalle sue ossa.
Dopo il piccolo e ormai famoso Scipionyx – detto Ciro – trovato a Pietraroia (Benevento), Saltriovenator è in ordine di tempo il secondo dinosauro venuto alla luce nel nostro paese, risulta la terza specie di dinosauro italiano istituita ufficialmente, la prima risalente al periodo Giurassico, ed è il primo, e per ora unico, dinosauro lombardo.
Quando fu annunciato il ritrovamento, nel 2000, erano passati pochi mesi dall’estrazione delle ossa in laboratorio. Il dinosauro di Saltrio fu provvisoriamente soprannominato “Saltriosauro” in quanto non era stato ancora esaminato in dettaglio e quindi non vi erano dati sufficientemente certi per pubblicarne una descrizione scientifica. Tuttavia il nome latinizzato Saltriosaurus comparve per errore su una rivista giapponese, senza essere accompagnato da una diagnosi accettabile dalla Commissione Internazionale di Nomenclatura Zoologica (che regola il modo con cui i nomi scientifici delle specie vengono definiti). Tecnicamente divenne un “nomen nudum”, non più utilizzabile dalla scienza. Per evitare equivoci e fraintendimenti con il nome “ufficioso” non più valido, gli autori dell’articolo di PeerJ hanno mantenuto il nome della località nel nuovo nome, stavolta accettato ufficialmente anche perché composto da due parole, che identificano genere e specie: Saltriovenator zanellai. Il termine “venator” in latino significa “cacciatore”, mentre il nome della specie,“zanellai”, è un omaggio ad Angelo Zanella, che scoprì il fossile nel 1996.
La carta d’identità di Saltriovenator zanellai è oggi molto dettagliata, tanto da occupare un articolo di ben 78 pagine: una vera e propria monografia, che è scaricabile liberamente online. “Sebbene frammentario, lo scheletro di Saltriovenator mostra un mosaico di caratteri anatomici ancestrali e derivati, che si trovano rispettivamente nei dinosauri con mani a quattro dita, come i dilofosauri e i ceratosauri, e nei teropodi tetanuri che hanno mani con tre dita, come gli allosauri”, dice il primo autore Cristiano Dal Sasso, che per riuscire a identificare le ossa più frammentarie è andato fino in California (Berkeley) e a Washington (Smithsonian), ritrovandone la posizione precisa su scheletri più completi.
Quel che oggi pare ovvio a chi osserva le illustrazioni dell’articolo con le ossa ricomposte deriva da un paziente e sistematico lavoro di analisi, frammento per frammento, come si fa con le tessere di un mosaico distrutto. Tanto che “alcune di quelle illustrazioni sono state ottenute combinando più di 150 file di immagini”, continua Dal Sasso. “Non tutti i frammenti combaciano, ma molti sono adiacenti e ci permettono di ricostruire così la forma di intere ossa. Per completare il puzzle è stato significativo l’uso di una stampante 3-D: per esempio, parte della scapola sinistra è stata trasformata in scapola destra grazie ad una ‘stampa a specchio’, ottenendo un osso più completo”.
Nonostante siano state trovate poche ossa, alcune di esse sono intere (omero) o quasi complete (caviglia) e ci forniscono dati preziosi per calcolare le proporzioni corporee e il peso dell’intero animale. Dal confronto con scheletri completi di altri dinosauri predatori del Giurassico, tra cui Ceratosaurus, “si stima che Saltriovenator fosse lungo 7,5 metri e pesasse almeno una tonnellata”, dice il coautore Simone Maganuco.
L’esame delle ossa indica che si trattava di un esemplare non ancora adulto, che dunque avrebbe potuto crescere ancora. “L’analisi paleoistologica degli anelli di crescita presenti nelle ossa mostra che Saltriovenator era un individuo subadulto ancora in crescita, pertanto la sua taglia stimata è davvero impressionante, nel contesto del Giurassico inferiore”. Conclude Maganuco: “la ‘corsa agli armamenti’ tra predatori più possenti e dinosauri erbivori sempre più grandi era già iniziata 200 milioni di anni fa”.
La descrizione di questa specie aiuta anche a comprendere l’evoluzione degli uccelli. Tutti i dinosauri carnivori appartenevano al gruppo dei teropodi ed erano bipedi. Nella loro evoluzione avevano sollevato da terra gli arti anteriori, che non servivano più per camminare, modificandoli per la cattura delle prede. E, successivamente, anche per… volare. L’evoluzione della mano degli uccelli a partire dai loro antenati dinosauriani è ancora dibattuta, ma certamente avvenuta. “Tra i paleontologi ci sono due correnti di pensiero: una sostiene che l’ala sia derivata dalla fusione del primo, secondo e terzo dito della mano dei teropodi, e l’altra ritiene che sia invece frutto dell’unione del secondo, terzo e quarto dito”, commenta il coautore Andrea Cau. Nel 2009, sulla rivista Nature i fautori di questa seconda ipotesi portarono come prova un nuovo ceratosauro vissuto alla fine del Giurassico e chiamato Limusaurus, caratterizzato da una bizzarra mano in parte atrofizzata.
Con i suoi 198 milioni di anni di età, il dinosauro di Saltrio smentisce questa seconda ipotesi e ci apre una finestra su un passato assai più remoto. “Saltriovenator è un ceratosauro molto più primitivo di Limusaurus, ma dotato di una mano perfettamente funzionante, non atrofizzata. Esso testimonia un momento chiave nell’evoluzione della mano nei teropodi, finora poco noto”, conclude Cau.
Il nuovo studio dei paleontologi italiani dimostra che furono il quarto e quinto dito a sparire nel corso dell’evoluzione dei teropodi, e furono quindi le prime tre dita a dare origine all’ala degli uccelli. Questo il motivo per cui l’articolo ha un titolo che pare un po’ sibillino, ma è invece assolutamente coerente: “The oldest ceratosaurian (Dinosauria: Theropoda), from the Lower Jurassic of Italy, sheds light on the evolution of the three-fingered hand of birds”.
Riferimenti:
Cristiano Dal Sasso, Simone Maganuco, Andrea Cau. The oldest ceratosaurian (Dinosauria: Theropoda), from the Lower Jurassic of Italy, sheds light on the evolution of the three-fingered hand of birds. PeerJ, 2018; 6: e5976 DOI: 10.7717/peerj.5976
Immagine di apertura credit: Davide Bonadonna
Prima immagine nel testo credit: Andrea Cau
Seconda immagine nel testo credit: Marco Auditore