Ecco l’evoluzione anacronistica
Il DNA liberato nell’ambiente, compreso quello delle specie estinte, può essere utilizzato da forme batteriche per aumentare la propria variabilità genetica
Il DNA degli organismi che ogni secondo viene disperso in enormi quantità nell’ambiente, attraverso diverse modalità (ad esempio, la perdita di cellule e tessuti oppure la morte), non va affatto perduto. Esistono infatti alcuni microrganismi che non solo lo utilizzano a scopo alimentare, ma che sono anche in grado di riciclarlo nella sua funzione primaria, ovvero produrre diversità e variabilità genetica. Sulle pagine della rivista PNAS, è stata recentemente documentata nel batterio Acinetobacter baylyi la capacità di incorporare nel proprio genoma frammenti di DNA, anche cortissimi e danneggiati, dispersi nell’ambiente. Se si considera che questi organismi riescono ad inglobare anche DNA antichissimo, come quello di mammut, si comprende le possibili importanti conseguenze di tale scoperta nel campo della biologia evoluzionistica.
Questo fenomeno è molto differente da quello, già noto, della trasformazione batterica di lunghi segmenti di DNA, contenenti interi geni, operoni o trasposoni, in quanto può generare nuova variabilità genetica in sequenze preesistenti. L’inserimento anche di un singolo nucleotide può infatti conferire nuove caratteristiche ad un organismo, permettendogli di adattarsi meglio alle condizioni ambientali. Nel caso di un batterio, basti pensare che un’unica mutazione può permettere la resistenza agli antibiotici. Inoltre, l’inserimento nel genoma di frammenti di DNA così corti non va incontro agli stessi vincoli di ricombinazione genica che caratterizzano quello di lunghe sequenze genomiche. Questo nuovo fenomeno non necessita infatti di enzimi specifici, quali la ricombinasi (RecA), ma avviene normalmente durante la replicazione cellulare.
In generale, è noto che le piccole sequenze di DNA (quelle che non superano la lunghezza di 100 coppie di basi), dopo essere liberate nell’ambiente circostante, vengono degradate in maniera molto rapida. In alcune situazioni, però, possono conservarsi abbastanza a lungo da permettere l’intervento di questi organismi che le possono inserire nel proprio genoma. E in casi ancora più particolari, il DNA può preservarsi anche per migliaia, o perfino milioni di anni.
Questa scoperta è molto importante perché suggerisce un ulteriore meccanismo alla base dell’evoluzione molecolare, potenzialmente in grado di influenzare fortemente le traiettorie evolutive, e perché questo passaggio di materiale genetico può letteralmente bypassare diverse generazioni di divisioni cellulari. Questo trasferimento dell’informazione genetica a salti temporali è stato chiamato dagli stessi autori “evoluzione anacronistica”.
Andrea Romano
da Oggiscienza
Crediti immagine: Joelmills, WIkimedia Commons
Ecologo e docente di Etologia e Comportamento Animale presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università di Milano. Ha scritto di animali ed evoluzione su Le Scienze, Mente e Cervello, Oggiscienza e Focus D&R . Collabora con Pikaia, di cui è stato caporedattore dal lontano 2007 al 2020.