Esperimento Miller-Urey bis, 55 anni dopo
Il 15 maggio del 1953, sulle pagine di Science (“A Production of Amino Acids Under Possible Primitive Earth Conditions“), viene posta una pietra miliare della scienza moderna: si tratta dell’esperimento di Stanley Miller e Harold Urey che ha ricostruito in laboratorio il cosiddetto “brodo primordiale”, simulando l’ambiente terrestre e le condizioni atmosferiche ipotizzati agli albori della vita, ottenendo, tramite un […]
Il 15 maggio del 1953, sulle pagine di Science (“A Production of Amino Acids Under Possible Primitive Earth Conditions“), viene posta una pietra miliare della scienza moderna: si tratta dell’esperimento di Stanley Miller e Harold Urey che ha ricostruito in laboratorio il cosiddetto “brodo primordiale”, simulando l’ambiente terrestre e le condizioni atmosferiche ipotizzati agli albori della vita, ottenendo, tramite un complesso insieme di reazioni chimiche, alcune molecole organiche, compresi gli aminoacidi.
Da una miscela di ammoniaca, idrogeno, metano e vapore acqueo, con l’energia di una scintilla, Miller e Urey ottennero la sintesi di numerosi acidi organici, ammine e 5 aminoacidi. Per la prima volta è stato mostrato che la vita sulla Terra potrebbe essersi originata a partire da molecole inorganiche, senza chiamare in causa un’origine extraterrestre.
Come segnalato in un articolo sull’ultimo numero di Science, Miller, scomparso il 20 maggio dello scorso anno, non si fermò qui. Sembra infatti che il grande biochimico statunitense eseguì ulteriori esperimenti dello stesso tipo, ottenendo risultati ancora più straordinari, ma mai pubblicati. Dopo la morte di Miller, Jeffrey Bada, suo allievo durante gli anni sessanta e oggi professore alla Scripps Institution, ha rinvenuto nel suo studio alcuni campioni originali dell’esperimento che lo rese famoso e alcuni appunti e campioni riguardanti due ulteriori esperimenti da lui condotti.
Analizzati con le odierne tecnologie, i campioni originali hanno svelato la presenza di ben 14 aminoacidi, a bassissime concentrazioni, invece dei 5 individuati originariamente, e 5 ammine. Nel secondo esperimento condotto in parallelo ma tramite un apparato sperimentale diverso, in cui fu inserito anche del vapore in modo tale da simulare un’atmofera ricca di gas di origine vulcanica, il numero di aminoacidi in soluzione sale a 22, mentre rimane stabile il numero delle ammine. Il terzo ha invece fornito un numero inferiore di molecole organiche.
Rimane l’icognita, e lo rimarrà per sempre, delle motivazioni della mancata pubblicazione dei nuovi risultati, anche se si ipotizza che Miller non si rese conto della portata del nuovo studio condotto e preferì comunicare l’esito del primo, più semplice e più facilmente comprensibile.
Andrea Romano
Riferimenti:
Adam P. Johnson, H. James Cleaves, Jason P. Dworkin, Daniel P. Glavin, Antonio Lazcano, and Jeffrey L. Bada. The Miller Volcanic Spark Discharge Experiment. Science, Vol. 322, Issue 5900
Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons
Ecologo e docente di Etologia e Comportamento Animale presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università di Milano. Ha scritto di animali ed evoluzione su Le Scienze, Mente e Cervello, Oggiscienza e Focus D&R . Collabora con Pikaia, di cui è stato caporedattore dal lontano 2007 al 2020.