Evoluzione e conservazione: ovvero quando conoscere l’evoluzione permette di capire come pianificare la conservazione di una specie
Da poche settimane il panorama delle riviste che affrontano tematiche legate alla biologia evoluzionistica si è arricchito di una nuova interessante proposta editoriale rappresentata da Evolutionary Applications, che pubblica articoli in cui i concetti propri della biologia evoluzionistica vengono utilizzati per risolvere problemi biologici di rilevanza in ambito sociale, economico, zootecnico, agrario e medico.In particolare, il primo fascicolo di Evolutionary Applications […]
Da poche settimane il panorama delle riviste che affrontano tematiche legate alla biologia evoluzionistica si è arricchito di una nuova interessante proposta editoriale rappresentata da Evolutionary Applications, che pubblica articoli in cui i concetti propri della biologia evoluzionistica vengono utilizzati per risolvere problemi biologici di rilevanza in ambito sociale, economico, zootecnico, agrario e medico.
In particolare, il primo fascicolo di Evolutionary Applications presenta un articolo di Robert Latta (Department of Biology, Dalhousie University, Canada) in cui si mostra come la conoscenza dei processi evolutivi sia fondamentale per definire adeguate politiche di conservazione dei viventi.
Al momento, la maggior parte dei progetti di conservazione si avvale di test genetici per capire i livelli di variabilità genetica di popolazioni e per definire il modo in cui intervenire per conservarle, riducendo il rischio di estinzione. Secondo quanto proposto da Robert Latta si potrebbero migliorare le strategie di conservazione rivalutando l’importanza dei testi genetici utilizzati in genetica della conservazione. In particolare, vi sarebbe la tendenza a studiare la variabilità genetica come fenomeno a sé trascurando i processi evolutivi di cui le popolazioni studiate sono oggetto. Questo non significa tuttavia che i test genetici non siano utili ma che i marcatori genetici sono insufficienti da soli per definire adeguate strategie di conservazione di una specie, poiché processi diversi possono essere all’origine del quadro genetico osservato.
Le strategie di conservazione dovrebbero quindi essere integrate con modelli derivati da progetti sperimentali e da test di evoluzione, realizzati sul campo in un contesto adattativo prefissato dagli operatori. Questo permetterebbe di sviluppare un modello probabilistico di gestione delle specie a rischio che tenga conto delle diverse situazioni possibili che la popolazione/specie oggetto del progetto di conservazione potrebbero trovarsi a affrontare.
Mauro Mandrioli
Latta RG (2008) Conservation genetics as applied evolution: from genetic pattern to evolutionary process. Evolutionary Applications 1: 84-94.
Fonte immagine: Conservation Genetics and Systematics homepage – University of Pretoria.
Biologo e genetista all’Università di Modena e Reggio Emilia, dove studia le basi molecolari dell’evoluzione biologica con particolare riferimento alla citogenetica e alla simbiosi. Insegna genetica generale, molecolare e microbica nei corsi di laurea in biologia e biotecnologie. Ha pubblicato più di centosessanta articoli su riviste nazionali internazionali e tenuto numerose conferenze nelle scuole. Nel 2020 ha pubblicato per Zanichelli il libro Nove miliardi a tavola- Droni, big data e genomica per l’agricoltura 4.0. Coordina il progetto More Books dedicato alla pubblicazione di articoli e libri relativi alla teoria dell’evoluzione tra fine Ottocento e inizio Novecento in Italia.