Gambe da combattimento

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Il genere Australopitecus, che ha preceduto il genere Homo nella linea filetica che ha portato all’evoluzione della nostra specie, è vissuto tra circa 4 e 2 milioni di anni fa. In questi due milioni di anni, ha mantenuto una lunghezza delle gambe piuttosto ridotta rispetto al resto del corpo. Si riteneva che la spiegazione di questo adattamento fosse da ricercarsi […]

Il genere Australopitecus, che ha preceduto il genere Homo nella linea filetica che ha portato all’evoluzione della nostra specie, è vissuto tra circa 4 e 2 milioni di anni fa. In questi due milioni di anni, ha mantenuto una lunghezza delle gambe piuttosto ridotta rispetto al resto del corpo. Si riteneva che la spiegazione di questo adattamento fosse da ricercarsi nella necessità di questi organismi di arrampicarsi sugli alberi, che costituivano una buona parte dell’ambiente in cui vivevano. Infatti, il possesso di gambe corte conferisce un abbassamento del baricentro corporeo e di conseguenza una maggior stabilità sugli alberi, con un minor rischio di cadute.

Una ricerca, condotta da studiosi della University of Utah e pubblicata sulla rivista Evolution, propone un’altra ipotesi: le gambe corte si sarebbero evolute e mantenute nel tempo perchè conferirebbero un vantaggio negli scontri tra maschi per la conquista delle femmine. Dal punto di vista meccanico, infatti, garantiscono maggiore stabilità e ancoraggio al terreno, rendendo più difficile l’atterramento da parte di un avversario. Inoltre, interazioni aggressive tra individui di sesso maschile per il possesso delle femmine sono molto frequenti tra le grandi scimmie antropomorfe ed è possibile, quindi, che siano state proprie anche nei nostri progenitori. E’ importante ricordare, comunque, che le due diverse spiegazioni non sono mutualmente esclusive.

Per dimostrare questa teoria il gruppo di ricercatori, capeggiati da David Carrier, ha condotto uno studio comparativo tra 8 specie di scimmie antropomorfe, tra cui il gorilla (Gorilla gorilla), lo scimpanzè (Pan troglodytes), il bonobo (Pan paniscus) e l’orango (Pongo pygmaeus), con lo scopo di correlare la lunghezza delle zampe posteriori e l’aggressività. Inoltre, è stata inclusa nello studio una popolazione umana, quella degli aborigeni, considerata relativamente naturale. I parametri per valutare l’aggressività sono stati scelti da precedenti studi e consistono nei rapporti tra la taglia corporea maschile e femminile e la lunghezza dei canini di maschi e femmine. Questi caratteri sono considerati attendibili nel determinare il livello di aggressività tra maschi per la conquista delle femmine. In particolare, più alti risultano tali rapporti maggiore sarà l’aggressività della specie.

I risultati indicano che la lunghezza delle gambe è inversamente proporzionale ad entrambi gli indicatori, mentre quella delle braccia no. Le braccia, infatti, assolvono numerose altre funzioni (arrampicarsi, mangiare…) e hanno subito pressioni selettive differenti. Inoltre, i risultati hanno dimostrato che, nelle specie considerate, le femmine hanno gambe relativamente più lunghe rispetto ai maschi. Questo rappresenta un altro buon motivo per pensare all’importanza del valore adattativo del possesso di gambe corte nei maschi per migliori prestazioni nella lotta.

Andrea Romano