Gli scherzi della decomposizione

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Questa è la tesi di un interessante articolo pubblicato sull’ultimo numero della prestigiosa rivista Nature e destinato a far molto scalpore tra i paleontologi e i biologi evoluzionisti. Lo studio interessa in particolar modo l’evoluzione dei primi cordati (Phylum Chordata) e, addentrandoci un poco all’interno di questo phylum, quello dei vertebrati basali.Un gruppo di ricercatori, guidati da Robert S. Sansom […]

Questa è la tesi di un interessante articolo pubblicato sull’ultimo numero della prestigiosa rivista Nature e destinato a far molto scalpore tra i paleontologi e i biologi evoluzionisti. Lo studio interessa in particolar modo l’evoluzione dei primi cordati (Phylum Chordata) e, addentrandoci un poco all’interno di questo phylum, quello dei vertebrati basali.

Un gruppo di ricercatori, guidati da Robert S. Sansom della Leicester University, ha infatti mostrato che il decadimento successivo alla morte delle diverse componenti anatomiche di alcuni organismi considerati cruciali per la comprensione dell’origine dei vertebrati non sarebbe casuale. La ricerca ha seguito la decomposizione (qui un video) sia di stadi giovanili di lampreda (Genere Lampetra), gli odierni vertebrati considerati più primitivi, che di adulti di anfiosso (Genere Brachiostoma), organismi da sempre associati ai primi stadi di evoluzione del phylum dei cordati, date le loro affinità anatomiche con Pikaia gracilens (considerato tra i primi cordati mai comparsi sulla terra).

Dai risultati emerge che le prime componenti anatomiche che si consumano subito dopo la morte sembrano proprio essere quelle più informative riguardo i processi evolutivi: sono infatti le caratteristiche derivate, quelle che dunque identificano un cambiamento evolutivo, le prime a scomparire, mentre i tratti plesiomorfici sono i meno labili. Questo significa, come si può vedere dall’immagine (tratta dall’articolo originale), che il piano corporeo di un fossile di giovane lampreda in avanzato stato di decomposizione potrebbe tranquillamente essere scambiato per quello di un cordato basale piuttosto che di un vertebrato. Lo stesso di discorso vale per l’anfiosso, la cui morfologia si avvicina sempre più a quella di un cordato primitivo man mano che la decomposizione avanza. La collocazione filogenetica di questi organismi diventa, dunque, difficile alla luce del fatto che le loro strutture corporee che si fossilizzano sono limitate, contariamente allo scheletro dei vertebrati più complessi, che sono più facilmente interpretabili.

L’applicazione di questo criterio all’assegnazione filogenetica di Cathaymyrus e Metaspriggina, due specie risalenti al Cambriano, pone, infatti, non pochi problemi. Fin dal loro ritrovamento sono stati sempre considerati cordati basali, ma, secondo i ricercatori, la loro collocazione filogenetica potrebbe modificarsi notevolmente se si trattasse di organismi fossilizzatisi dopo una parziale decomposizione.

Se la fossilizzazione in seguito ad una parziale decomposizione fosse stato un fenomeno diffuso, la nostra conoscenza sull’evoluzione dei cordati si limiterebbe ai pochi fossili che hanno preservato i tessuti molli, con la conseguenza di una probabile scarsità di informazioni. Questo, conclude la ricerca, non significa che tutta la filogenesi dei cordati dovrà essere rivista e reinterpretata, ma che la conoscenza di come la decomposizione può aver influito sui processi di fossilizzazione potrebbe aiutare una ricostruzione più accurata di come e quando si originarono i nostri antenati.

Andrea Romano


Riferimenti:
Sansom, R. S., Gabbott, S. E. & Purnell, M. A. Nature advance online publication doi:10.1038/nature08745 (2010).