In difesa del genoma
Come difendersi dal rischio di riarrangiamenti del genoma? Una risposta è stata recentemente pubblicata su Nature
Il fatto che i geni non lavorino indipendentemente l’uno dall’altro, ha enormi implicazioni funzionali, dato che l’alterazione di un singolo gene può comportare un errato (o mancato) funzionamento di altri geni che appartengono allo stesso network, come ben si evidenzia in numerose patologie genetiche umane. La migliore garanzia per mantenere funzionanti tutti i network genici presenti nel genoma è quindi cercare di ridurre al minimo gli eventi di riarrangiamento. La complessità fenotipica che gli eucarioti presentano ha quindi precisi costi a livello genomico dato che più aumentano le interazioni tra geni, maggiori sono i rischi derivanti dal riarrangiamento genomico.
Questa considerazione assume particolare importanza quando si considera che numerosi tratti del genoma di tutti gli eucarioti hanno un’architettura che di per sé favorisce il riarrangiamento, rendendo queste regioni particolarmente a rischio. A queste regioni vanno poi aggiunti trasposoni e retrotrasposoni che con il loro spostamento possono indurre alterazioni genomiche.
Come difendersi dal rischio di riarrangiamenti del genoma? Una risposta è stata recentemente pubblicata su Nature da Christopher D. Putnam, Tikvah K. Hayes e Richard D. Kolodner nell’articolo intitolato “Specific pathways prevent duplication- mediated genome rearrangements” in cui il lievito Saccharomyces cerevisiae è stato usato come modello sperimentale.
Dai dati pubblicati, emerge che nel lievito sono presenti numerosi geni (presenti nel genoma anche di altri metazoi) implicati nel prevenire possibili riarrangiamenti genomici legati a regioni a rischio del genoma ad indicare che nel corso dell’evoluzione del genoma eucariotico si sono evoluti meccanismi specificatamente dedicati a controllare regioni del genoma che sono ad elevato rischio di riarrangiamento. Un aspetto interessante è che i geni identificati non agiscono su altre regioni genomiche (tra cui ad esempio le regioni contenenti sequenze in singola copia) su ci invece agirebbero altri meccanismi specifici, come dimostrato nel 2005 da Christopher D. Putnam, Vincent Pennaneach e Richard D. Kolodner sempre in S. cerevisiae.
Il lavoro di Christopher D. Putnam, Tikvah K. Hayes e Richard D. Kolodner ci permette quindi di capire perché nonostante il nostro genoma contenga tante regioni che sono ad elevato rischio di riarrangiamento, vi sia una sostanziale stabilità del genoma, grazie alla presenza di veri e propri check point della sua integrità.
Immagine: Science Fair Project Encyclopedia
Biologo e genetista all’Università di Modena e Reggio Emilia, dove studia le basi molecolari dell’evoluzione biologica con particolare riferimento alla citogenetica e alla simbiosi. Insegna genetica generale, molecolare e microbica nei corsi di laurea in biologia e biotecnologie. Ha pubblicato più di centosessanta articoli su riviste nazionali internazionali e tenuto numerose conferenze nelle scuole. Nel 2020 ha pubblicato per Zanichelli il libro Nove miliardi a tavola- Droni, big data e genomica per l’agricoltura 4.0. Coordina il progetto More Books dedicato alla pubblicazione di articoli e libri relativi alla teoria dell’evoluzione tra fine Ottocento e inizio Novecento in Italia.