In viaggio con un mammut
Grazie all’analisi degli isotopi di una zanna, un team di ricercatori ha ricostruito almeno 28 anni di spostamenti di un mammut lanoso vissuto circa 17 000 anni fa in Alaska, aumentando la nostra comprensione sulla vita di questi animali e sulla loro estinzione
Osservando le specie attuali di elefanti, e dei grandi mammiferi che vivono in corrispondenza del circolo polare artico, come le renne, sembra probabile che anche il mammut lanoso (Mammuthus primigenius) compisse migrazioni stagionali per seguire la vegetazione di cui si nutriva. Nessuno però lo aveva ancora dimostrato, fino ad oggi. Uno studio condotto da un team di ricercatori dell’Università dell’Alaska, pubblicato ad agosto su Science, ci svela gli spostamenti di un esemplare maschio di almeno 28 anni, su e giù per il Nord-Ovest dell’Alaska di 17000 anni fa.
La “scatola nera” del mammut Com’è possibile? Grazie a una delle sue zanne, una “scatola nera” di avorio lunga 1,7 metri, che in un certo senso ha registrato gli spostamenti dell’animale in vita. La zanna infatti, come altri tessuti ossei, ingloba vari elementi atomici, come carbonio, ossigeno, azoto e stronzio, che l’animale introduce nel corpo cibandosi. Questi elementi sono naturalmente presenti nel terreno, e sono prima immagazzinati dai vegetali, poi finiscono nei tessuti ossei degli erbivori e infine arrivano ai carnivori. La cosa interessante è che ogni terreno, per via della sua evoluzione geologica, presenta questi elementi in concentrazioni diverse, oppure presenta un determinato rapporto tra due isotopi dello stesso elemento. Queste “firme” isotopiche sono un po’ come delle impronte digitali uniche per ogni terreno.
Man mano che questo maschio cresceva e si nutriva, questi isotopi entravano anche all’interno della zanna in accrescimento. Ma, contrariamente ad altri tessuti ossei come denti o ossa lunghe, nella zanna le varie firme isotopiche sono disposte in esatto ordine cronologico. Sull’estremità della zanna, la prima a essere emersa, vi sono le firme dei primi terreni dove si è cibato l’elefante da cucciolo, mentre scorrendo fino alla base, si ripercorrono i luoghi dove l’animale si è nutrito fino all’ultimo pasto. Gli scienziati quindi hanno potuto confrontare la firma isotopica di ogni singola sezione della zanna (corrispondente a circa una settimana di vita dell’animale) con mappe delle variazioni isotopiche del Nord-Ovest dell’Alaska. Con un software hanno poi ricostruito le rotte più probabili che collegassero i vari territori, settimana dopo settimana. Ed ecco comparire 28 anni di spostamenti di un Mammuthus primigenius maschio vissuto 17000 anni fa.
Le età di un pachiderma Secondo gli scienziati si delineano quattro distinti periodi nella vita di questo maschio: neonato, giovane, adulto e vecchiaia. Nei primi 10 cm di zanna, corrispondenti ai primi due anni di vita, gli scienziati non hanno rilevato grandi spostamenti. L’animale sembrava non uscire da un’area del basso fiume Yukon, nell’interno dell’Alaska. Probabilmente in questa prima fase di vita, non essendo ancora in grado di compiere grandi spostamenti, rimaneva in quest’area in contatto costante con la madre. Nei successivi 75 cm di zanna l’animale modifica il suo comportamento.
Dai 2 ai 16 anni, infatti, l’esemplare giovane compie regolari migrazioni Nord-Sud, spostandosi dall’interno dell’Alaska, dove l’animale sverna, fino all’estrema parte settentrionale della piattaforma continentale durante l’estate, superando sia da Ovest che da Est una catena montuosa chiamata Brooks Range. Queste migrazioni stagionali, copia carbone di quelle degli animali che abitano il circolo polare artico oggi, sono necessarie per inseguire il proprio habitat che fugge a Nord durante l’estate e si espande verso Sud durante l’inverno. Questo esemplare di mammut, insieme al suo branco, doveva inseguire le distese di piante erbacee (famiglia Poacee) di cui si nutriva, che d’estate scomparivano alle basse latitudini, in favore della boscaglia e delle foreste, e si spostavano più a Nord con lo sciogliersi della neve e l’aumentare delle temperature, per poi ricomparire a Sud una volta che l’inverno e l’abbassarsi delle temperature ricacciava i vari biomi più a meridione. Tra i 16 e i 26 anni di età, questo esemplare di Mammut continua queste migrazioni stagionali ma ne aumenta sensibilmente l’area di svernamento a Sud, occupando nuovi territori ed espandendosi sull’asse Ovest-Est. Secondo gli scienziati questo cambiamento rifletterebbe il passaggio da giovane ad adulto, con il raggiungimento della maturità sessuale. Questo avrebbe comportato, come negli elefanti attuali, un allontanamento dal gruppo, per così dire materno, alla ricerca di nuove risorse e nuovi spazi. Spesso gli elefanti maschi adulti si radunano a formare piccoli gruppi di soli maschi e si può ipotizzare un comportamento simile anche nei Mammut. L’allontanamento dei maschi e la loro ricerca di nuovi territori è di vitale importanza per permettere l’incontro tra maschi e femmine distanti a livello geografico e genetico, rimescolando il genoma e contribuendo alla variabilità genetica dei vari gruppi di mammut. Gli ultimi 10 cm di zanna, corrispondenti agli ultimi 2 anni circa dell’animale, mostrano che questo maschio non si è più mosso dai territori dell’estremo Nord, passando li due inverni di cui l’ultimo fatale. Probabilmente troppo vecchio per compiere la migrazione stagionale verso Sud, ha trascorso un inverno nei territori settentrionali sopravvivendo al gelo. La stessa cosa si sarebbe ripetuta l’anno successivo ma questa volta l’animale sarebbe morto per il freddo e l’inedia. La fine di una specie
Gli autori sostengono che questo comportamento migratorio li avrebbe resi maggiormente suscettibili ai cambiamenti climatici di fine Pleistocene. Con il riscaldamento climatico, le grandi distese di erba, necessarie al sostentamento di questi grandi erbivori, si sarebbero ridotte e frammentate a causa dell’espandersi di zone arbustive e di foresta, rendendo le migrazioni più difficoltose e problematiche. Gli animali avrebbero trovato sempre meno cibo una volta compiuta la migrazione e sempre meno le condizioni ideali per riprodursi e allevare la prole. Inoltre, gli spostamenti in spazi non più aperti avrebbero avuto come effetto una maggior mortalità dovuta alla predazione, anche umana. La mortalità infantile sarebbe aumentata e i maschi adulti avrebbero fatto sempre più fatica a incontrare femmine di gruppi lontani, riflettendosi in una grave perdita di variabilità genetica, essenziale per difendersi contro le malattie e per rispondere alle variazioni ambientali. La somma di questi fattori, verificatasi in Nord America come anche in tutta l’Eurasia settentrionale, avrebbe condotto all’estinzione Mammuthus primigenius. Fonti: Wooller, M. J., Bataille, C., Druckenmiller, P., Erickson, G. M., Groves, P., Haubenstock, N., …Willis, A. D. (2021). Lifetime mobility of an Arctic woolly mammoth. Science. doi: 10.1126/science.abg1134
Immagine: Science
La “scatola nera” del mammut Com’è possibile? Grazie a una delle sue zanne, una “scatola nera” di avorio lunga 1,7 metri, che in un certo senso ha registrato gli spostamenti dell’animale in vita. La zanna infatti, come altri tessuti ossei, ingloba vari elementi atomici, come carbonio, ossigeno, azoto e stronzio, che l’animale introduce nel corpo cibandosi. Questi elementi sono naturalmente presenti nel terreno, e sono prima immagazzinati dai vegetali, poi finiscono nei tessuti ossei degli erbivori e infine arrivano ai carnivori. La cosa interessante è che ogni terreno, per via della sua evoluzione geologica, presenta questi elementi in concentrazioni diverse, oppure presenta un determinato rapporto tra due isotopi dello stesso elemento. Queste “firme” isotopiche sono un po’ come delle impronte digitali uniche per ogni terreno.
Man mano che questo maschio cresceva e si nutriva, questi isotopi entravano anche all’interno della zanna in accrescimento. Ma, contrariamente ad altri tessuti ossei come denti o ossa lunghe, nella zanna le varie firme isotopiche sono disposte in esatto ordine cronologico. Sull’estremità della zanna, la prima a essere emersa, vi sono le firme dei primi terreni dove si è cibato l’elefante da cucciolo, mentre scorrendo fino alla base, si ripercorrono i luoghi dove l’animale si è nutrito fino all’ultimo pasto. Gli scienziati quindi hanno potuto confrontare la firma isotopica di ogni singola sezione della zanna (corrispondente a circa una settimana di vita dell’animale) con mappe delle variazioni isotopiche del Nord-Ovest dell’Alaska. Con un software hanno poi ricostruito le rotte più probabili che collegassero i vari territori, settimana dopo settimana. Ed ecco comparire 28 anni di spostamenti di un Mammuthus primigenius maschio vissuto 17000 anni fa.
Le età di un pachiderma Secondo gli scienziati si delineano quattro distinti periodi nella vita di questo maschio: neonato, giovane, adulto e vecchiaia. Nei primi 10 cm di zanna, corrispondenti ai primi due anni di vita, gli scienziati non hanno rilevato grandi spostamenti. L’animale sembrava non uscire da un’area del basso fiume Yukon, nell’interno dell’Alaska. Probabilmente in questa prima fase di vita, non essendo ancora in grado di compiere grandi spostamenti, rimaneva in quest’area in contatto costante con la madre. Nei successivi 75 cm di zanna l’animale modifica il suo comportamento.
Dai 2 ai 16 anni, infatti, l’esemplare giovane compie regolari migrazioni Nord-Sud, spostandosi dall’interno dell’Alaska, dove l’animale sverna, fino all’estrema parte settentrionale della piattaforma continentale durante l’estate, superando sia da Ovest che da Est una catena montuosa chiamata Brooks Range. Queste migrazioni stagionali, copia carbone di quelle degli animali che abitano il circolo polare artico oggi, sono necessarie per inseguire il proprio habitat che fugge a Nord durante l’estate e si espande verso Sud durante l’inverno. Questo esemplare di mammut, insieme al suo branco, doveva inseguire le distese di piante erbacee (famiglia Poacee) di cui si nutriva, che d’estate scomparivano alle basse latitudini, in favore della boscaglia e delle foreste, e si spostavano più a Nord con lo sciogliersi della neve e l’aumentare delle temperature, per poi ricomparire a Sud una volta che l’inverno e l’abbassarsi delle temperature ricacciava i vari biomi più a meridione. Tra i 16 e i 26 anni di età, questo esemplare di Mammut continua queste migrazioni stagionali ma ne aumenta sensibilmente l’area di svernamento a Sud, occupando nuovi territori ed espandendosi sull’asse Ovest-Est. Secondo gli scienziati questo cambiamento rifletterebbe il passaggio da giovane ad adulto, con il raggiungimento della maturità sessuale. Questo avrebbe comportato, come negli elefanti attuali, un allontanamento dal gruppo, per così dire materno, alla ricerca di nuove risorse e nuovi spazi. Spesso gli elefanti maschi adulti si radunano a formare piccoli gruppi di soli maschi e si può ipotizzare un comportamento simile anche nei Mammut. L’allontanamento dei maschi e la loro ricerca di nuovi territori è di vitale importanza per permettere l’incontro tra maschi e femmine distanti a livello geografico e genetico, rimescolando il genoma e contribuendo alla variabilità genetica dei vari gruppi di mammut. Gli ultimi 10 cm di zanna, corrispondenti agli ultimi 2 anni circa dell’animale, mostrano che questo maschio non si è più mosso dai territori dell’estremo Nord, passando li due inverni di cui l’ultimo fatale. Probabilmente troppo vecchio per compiere la migrazione stagionale verso Sud, ha trascorso un inverno nei territori settentrionali sopravvivendo al gelo. La stessa cosa si sarebbe ripetuta l’anno successivo ma questa volta l’animale sarebbe morto per il freddo e l’inedia. La fine di una specie
Gli autori sostengono che questo comportamento migratorio li avrebbe resi maggiormente suscettibili ai cambiamenti climatici di fine Pleistocene. Con il riscaldamento climatico, le grandi distese di erba, necessarie al sostentamento di questi grandi erbivori, si sarebbero ridotte e frammentate a causa dell’espandersi di zone arbustive e di foresta, rendendo le migrazioni più difficoltose e problematiche. Gli animali avrebbero trovato sempre meno cibo una volta compiuta la migrazione e sempre meno le condizioni ideali per riprodursi e allevare la prole. Inoltre, gli spostamenti in spazi non più aperti avrebbero avuto come effetto una maggior mortalità dovuta alla predazione, anche umana. La mortalità infantile sarebbe aumentata e i maschi adulti avrebbero fatto sempre più fatica a incontrare femmine di gruppi lontani, riflettendosi in una grave perdita di variabilità genetica, essenziale per difendersi contro le malattie e per rispondere alle variazioni ambientali. La somma di questi fattori, verificatasi in Nord America come anche in tutta l’Eurasia settentrionale, avrebbe condotto all’estinzione Mammuthus primigenius. Fonti: Wooller, M. J., Bataille, C., Druckenmiller, P., Erickson, G. M., Groves, P., Haubenstock, N., …Willis, A. D. (2021). Lifetime mobility of an Arctic woolly mammoth. Science. doi: 10.1126/science.abg1134
Immagine: Science
Mi sono laureato in Biologia Evoluzionistica all’Università degli Studi di Padova. Ho scritto per OggiScienza e sono attivo nel campo della divulgazione scientifica. Ho creato e dirigo il progetto di divulgazione scientifica multipiattaforma “Just a Story”