La fauna selvatica africana ha perso un terzo della sua “energia naturale”
Una nuova ricerca rivela che gli ecosistemi della fauna selvatica africana funzionano con meno di due terzi dell’energia che avevano un tempo – minacciando la vitalità dei paesaggi del continente e i mezzi di sussistenza che essi sostengono
Secondo una nuova ricerca guidata dall’Università di Oxford in collaborazione con la Sapienza di Roma, e pubblicata oggi su Nature, gli ecosistemi africani funzionano con meno di due terzi dell’energia naturale che possedevano in passato. Lo studio rivela una drammatica perdita di “potenza” della fauna selvatica in tutto il continente – l’energia che alimenta funzioni ecologiche vitali come il ciclo dei nutrienti e la dispersione dei semi – ponendo crescenti rischi per la biodiversità e per i mezzi di sussistenza che da essa dipendono.
Queste scoperte giungono mentre i leader mondiali si preparano alla COP30 in Brasile, il mese prossimo, dove natura e clima saranno al centro del dibattito. Mappando i flussi di energia attraverso le reti trofiche della fauna africana, i ricercatori hanno scoperto che l’energia ecosistemica complessiva è diminuita di oltre un terzo rispetto all’epoca precoloniale, a causa in gran parte del declino delle specie di grandi dimensioni – come elefanti, rinoceronti e leoni – che un tempo modellavano e sostenevano gli ecosistemi del continente.
“Lo studio mostra come la riduzione dell’energia nelle comunità di uccelli e mammiferi non sia stata uniforme, ma abbia colpito in modo differenziale i gruppi funzionali che sostengono processi ecosistemici essenziali come la dispersione dei semi, l’impollinazione e il modellamento della vegetazione.” dichiara il Prof. Luca Santini dell’Università Sapienza di Roma, coautore dello studio.
“I grandi animali selvatici sono veri e propri ingegneri ecologici. I loro ruoli non possono essere semplicemente sostituiti da specie più piccole o da bestiame. La perdita di questi giganti ha il potenziale di trasformare radicalmente gli ecosistemi e i paesaggi africani.” ha dichiarato il dottor Ty Loft autore principale dello studio e ricercatore presso l’Environmental Change Institute dell’Università di Oxford, nella School of Geography and the Environment.
Un nuovo modo di misurare la vitalità ecologica
Lo studio utilizza un approccio basato sull’“energetica degli ecosistemi”, che quantifica come l’energia fluisce attraverso le reti alimentari – dalla luce solare catturata dalle piante fino agli animali che se ne nutrono.
Basandosi su dati relativi a oltre 3.000 specie di uccelli e mammiferi distribuite su 317.000 paesaggi comprendenti foreste, savane e deserti, i ricercatori hanno combinato sei grandi set di dati ecologici, incluso un nuovo Indice di Integrità della Biodiversità per l’Africa, costruito con il contributo di esperti locali.

Questa prospettiva energetica rivela non solo quanto della biodiversità sia andato perso, ma anche come tale perdita incida sul funzionamento stesso della natura. Mentre i grandi mammiferi hanno subito i cali più gravi, specie più piccole – come roditori e uccelli canori – dominano ora i flussi energetici residui del continente.
“Il flusso di energia è la rete che tiene insieme un ecosistema,” ha dichiarato il professor Yadvinder Malhi, coautore dello studio dell’Environmental Change Institute di Oxford. “Mappando come questa rete si indebolisce o si rafforza al diminuire o al riprendersi delle popolazioni animali, possiamo vedere come la vita stessa si stia riorganizzando su tutto il continente. Questo approccio trasforma il concetto di perdita di biodiversità in qualcosa di fisicamente tangibile.”
Uno strumento per il ripristino e le politiche ambientali
Oltre a diagnosticare il declino, lo studio propone anche una via per andare avanti. Il suo quadro basato sull’energia può aiutare governi, ambientalisti e imprese a rispondere alla crescente domanda di indicatori che misurino non solo il numero di specie, ma la funzionalità degli ecosistemi – una vera misura del recupero ecologico.
In tutta l’Africa sono in corso ambiziosi programmi di restauro per riportare la fauna selvatica e rigenerare paesaggi degradati. Tuttavia, finora gli ecologi hanno avuto difficoltà a prevedere come i cambiamenti nelle comunità animali – come la sostituzione di elefanti e bufali con antilopi più piccole nel Parco Nazionale di Gorongosa, in Mozambico – influenzino processi ecosistemici come la crescita della vegetazione o il ciclo dell’acqua.
“Il restauro non consiste solo nel riportare indietro gli animali, ma nel riportare ciò che essi fanno,” ha spiegato Loft. “Un approccio energetico offre agli operatori un modo per misurare questo aspetto e per dare priorità alle funzioni che rendono gli ecosistemi resilienti.”
Implicazioni globali
Oltre all’Africa, questa ricerca potrebbe ridefinire il modo in cui scienziati e decisori politici valutano la perdita di biodiversità in tutto il mondo. Le metriche basate sull’energia potrebbero contribuire a perfezionare gli obiettivi globali sulla biodiversità, come quelli previsti dal Quadro Globale per la Biodiversità di Kunming–Montreal, collegando direttamente il declino delle specie alla capacità del pianeta di far circolare carbonio, acqua e nutrienti.
“La perdita del flusso energetico animale non è solo una storia ecologica: è una storia del pianeta Terra,” ha concluso Malhi. “Collega il destino delle singole specie al funzionamento e alla stabilità stessa della biosfera.”
Riferimenti:
Loft, T., Oliveras Menor, I., Stevens, N., Beyer, R., Clements, H. S., Santini, L., Thomas, S., Tobias, J. A., & Malhi, Y. (2025). Energy flows reveal declining ecosystem functions by animals across Africa. Nature, 1–9. https://doi.org/10.1038/s41586-025-09660-1
Fonte: comunicato stampa
Immagine in apertura: Photo by Frans van Heerden via Pexels

