La fotosintesi oltre i confini della luce rossa:nuove prospettive per la ricerca della vita nello spazio

Chroococcidiopsis thermalis

Uno studio dimostra che i cianobatteri sono in grado di utilizzare per la fotosintesi ossigenica anche la luce rosso-lontana, considerata fino ad oggi troppo poco energetica. Questa scoperta aumenta la comprensione scientifica dei limiti della vita sulla Terra e la ricerca della stessa su altri pianeti

La fotosintesi clorofilliana, attraverso la conversione dell’energia luminosa in energia chimica, permette la sintesi di sostanze organiche complesse (come zuccheri e amidi) a partire da sostanze inorganiche semplici (anidride carbonica e acqua). Questo processo di organicazione del carbonio è l’architrave chimico su cui si basa la gran parte della vita esistente oggi sulla Terra (Pikaia ne ha parlato qui per esempio) e rappresenta un “modello vincente” che fa ipotizzare agli esobiologi che sia possibile identificare la vita extra-terrestre cercando le “firme biologiche” della fotosintesi anche su altri pianeti.

In tutti gli organismi fotosintetici, siano essi batteri, alghe o piante, il processo di cattura della luce e trasformazione dell’energia dei fotoni in energia chimica è catalizzato da complessi proteici ricchi di pigmenti fotosintetici, i fotosistemi I e II, la cui struttura molecolare, è oggetto di continui ed intensi studi (Pikaia ne ha parlato qui per esempio). I pigmenti fotosintetici, clorofille, carotenoidi e xantofille, sono a stretto contatto tra loro e sono associati ai fotosistemi a formare delle strutture con un ordine ben preciso. La cattura della luce è infatti un processo che necessita della cooperazione di centinaia di molecole di pigmenti, che, come delle “antenne” raccolgono i fotoni a differenti lunghezze d’onda e convogliano l’energia verso il centro di reazione dei fotosistemi, dove avviene la reazione di fotolisi dell’acqua.

La parte importante della molecola della clorofilla, quella responsabile dell’assorbimento della luce, è l’anello porfirinico, al centro del quale vi è un atomo di magnesio. Questa struttura, che è caratterizzata da quattro eterocicli (anelli contenenti anche atomi diversi dal Carbonio) e un gran numero di doppi legami conugati, costituisce una efficiente “trappola” per l’energia luminosa, che viene catturata dagli elettroni dell’anello porfirinico che passano da un livello energetico fondamentale ad uno stato eccitato.

In base alle condizioni luminose esterne e alle specializzazioni dei diversi organismi, i fotosistemi possono contenere una miscela differente di clorofille e carotenoidi dei sistemi antenna, mentre i centri di reazione di tutti i fotosistemi conosciuti contengono solo molecole di clorofilla a, le uniche che si credeva fossero in grado di indurre le trasformazioni della luce in energia chimica. Le molecole di clorofilla infatti possono presentare delle strutture chimiche leggermente diverse le une dalle altre: le due forme che sono presenti in tutti gli organismi fotosintetici sono la clorofilla a (di colore verde-azzurro) e la clorofilla b (verde-giallo); a queste due forme, vanno ad aggiungersi delle altre, indicate con le lettere dalla c alla f, che si trovano solo nelle cellule procariote (batterioclorofille).

Queste differenze strutturali determinano delle differenze negli spettri di assorbimento delle clorofille: per esempio la clorofilla a assorbe nella regione della luce blu-violetta e rossa, mentre la clorofilla b soprattutto luce blu e arancione. Tutte le clorofille conosciute assorbono bella regione dello spettro luminoso, che è compresa tra 400 e 700 nanometri, e che per questo è comunemente definita PAR (photosynthetic active radiation) e corrisponde più o meno alla gamma di luce visibile all’occhio umano. I fotoni di lunghezze d’onda più corte di 400 nm (cioè quelli che ricadono nella regione degli UV) non sono assorbiti dai fotosistemi, perchè tendono ad essere così energetici da provocare danni alle strutture cellulari, mentre i fotoni di lunghezze d’onda superiori ai 680-700 nm (cioè quelli nella regione dell’infra-rosso) sono troppo poco energetici per consentire la fotosintesi ossigenica.

O almeno questo è quello che si credeva.

Un recente studio pubblicato su Science riporta che alcuni cianobatteri hanno sviluppato adattamenti per sfruttare i fotoni di lunghezza d’onda superiore a 700 nm, non solo nei sistemi antenna, come già suggerito da alcuni lavori precedenti, ma proprio per le molecole accettrici dei centri di reazione, dimostrando dunque che anche la luce rosso-lontana è in grado di guidare direttamente l’ossidazione dell’acqua, nonostante abbia meno energia della luce rossa utilizzata dalla maggior parte degli organismi fotosintetici.

Gli scienziati (dell’Imperial College di Londra) hanno raggiunto questi risultati esponendo delle colonie del cianobatterio estremofilo Chroococcidiopsis thermalis prima a luce prima bianca (cioè costituita dall’intero spettro delle lunghezze d’onda del visibile), e poi a luce prevaletemente rosso e rosso-lontano. Misurando la composizione e i cambiamenti degli spettri di assorbimento dei pigmenti delle cellule batteriche nelle diverse condizioni di luce, hanno evidenziato che, nel passaggio dalla luce bianca a quella rossa, i cianobatteri modificano la composizione dei complessi antenna associati ad entrambi i fotosistemi (I e II) e sostituiscono le clorofille a dei centri di reazione con delle molecole di clorofilla f, capaci di assorbire la luce intorno ai 760 nm.

Questa scoperta scompiglia le conoscenze che si credevano acquisite sui meccanismi fondamentali alla base della fotosintesi e aumenta le nostre conoscenze sulle capacità adattative degli organismi fotosintetici sulla Terra e chissà, forse anche su altri pianeti.


Riferimenti:
Nürnberg et al. 2018. Photochemistry beyond the red limit in chlorophyll f–containing photosystems. Science360 (6394): 1210-1213; doi: 10.1126/science.aar8313 .

Immagine: By T. Darienko [CC BY-SA 4.0 ], via Wikimedia Commons