La mostra Unknown Unknowns: un’introduzione ai misteri della conoscenza scientifica

La mostra “Unknown Unknowns – An introduction to mysteries”, fino a dicembre a Milano, ci parla di quello che “non sappiamo di non sapere”

Pikaia ha visitato Unknown Unknowns – An introduction to mysteries, la mostra dedicata all’ignoto e al mistero nella scienza. Il fulcro della 23° Esposizione Internazionale, visitabile fino all’11 Dicembre alla triennale di Milano, è un tentativo di comprendere e spiegare, da diverse prospettive, ciò che attualmente “non sappiamo di non sapere”. 

Il più grande dei designer
Esiste un elemento centrale che collega l’intera esposizione, il design inteso come progettazione di oggetti e spazi. Se misurato al mondo quotidiano questo concetto è familiare e facilmente intuibile. Lo troviamo in ogni cosa, dagli oggetti che utilizziamo alle case che abitiamo. 

Se allarghiamo lo sguardo e applichiamo questo concetto al cosmo, ci accorgiamo che è sempre esistito un designer fisico e reale dalla cui mano i corpi celesti e lo stesso spazio sono plasmati: la gravità. La mostra si apre infatti con l’opera dell’artista messicano Bosco Sodi, Perfect Bodies che rappresenta la “sublime sfericità” a cui sono destinati i corpi più grandi.

Perfect bodies, di Bosco Sodi. Foto: Luca Amato

Esistono tuttavia corpi celesti che sembrano essere atti di ribellione all’inseguimento di questa perfezione. Su uno di questi, la cometa Churyumov-Gerasimenko, è atterrato nel 2014 il lander Philae (missione Rosetta dell’ESA), alla ricerca di indizi sulle origini della vita sulla terra.

Il mistero della vita 
Proprio la vita organica, all’interno della mostra, è pensata come un atto di ribellione a quel determinismo fisico che rende i fenomeni fisici inevitabili, impossibili da aggirare, come accade per gli elementi che compongono i corpi celesti. L’evoluzione invece fa proprio questo, aggira gli ostacoli, o per lo meno ci prova. In senso lato, ma senza allontanarci troppo dalla realtà, l’evoluzione biologica èun atto di ribellione all’ordine imposto, all’uniformità e all’appiattimento. Attraverso un’installazione audio, Telmo Pievani ci aiuta a far luce sul mistero che avvolge la vita organica, domandandosi cosa significa essere vivi. Ciò che sappiamo è che la storia della vita sulla terra è iniziata tra i 4 e i 3,8 miliardi di anni fa, quando amminoacidi, grassi, zuccheri, acidi e molecole allungate capaci di duplicarsi fluttuavano in un oceano.
Oggi sappiamo, spiega Pievani, che probabilmente “la fucina della vita” si trovava “vicino alle sorgenti idrotermali di profondità, scaldate non dal sole ma dal calore della Terra stessa”.

Da quella fucina emerse la prima cellula capace di duplicarsi, trasmettendo alla progenie informazioni utili per fare altrettanto. Le specie, attraverso i propri individui, si passano questa “staffetta genetica” da miliardi di anni. Ma proprio qui, prosegue Pievani, risiede il mistero più grande. Sappiamo che per produrre proteine servono il DNA e l’RNA, ma per far funzionare il DNA servono le proteine. Nella storia, chi precede l’altro? L’atto di riproduzione dell’RNA o il metabolismo (enzimi)? 

Nella successiva installazione acustica, Lisa Randall, fisica della particelle, aggiunge dettagli importanti all’esplorazione del mistero della vita. Esistono infatti interazioni così complesse da rendere impossibile applicare il metodo “dal basso verso l’alto” (dall’individuazione di qualcosa di misurabile alla formulazione di una teoria generale) tipico della fisica, come i sistemi vitali e la coscienza (problema che verrà approfondito nella successiva camera d’ascolto da Antonio Damasio, neuroscienziato e psicologo portoghese). “È verosimile”, prosegue Randall, “che i fenomeni biologici e di altro tipo seguano regole probabilistiche, le quali non sono per forza al di là delle nostre capacità, ma in genere non rientrano negli approcci scientifici abituali”.

Come si indaga l’inconoscibile?
In questa mostra diverse materie dialogano per trovare risposta ai misteri più grandi, abbandonando talvolta il solido terreno della scienza. Unknown Unknowns ci insegna che la conoscenza è un’opera corale, così come lo è quello spazio vitale che chiamiamo mondo, una danza tra la materia e le forze fondamentali. A questa danza gli organismi viventi prendono parte venendo trasformati e trasformando a loro volta lo spazio che li circonda. L’esempio più suggestivo che può essere osservato nella mostra è lo stampo in alluminio colato di alcuni nidi di formica tagliafoglie abbandonati, città sommerse dall’aspetto alieno. 

Calco di un nido di formiche Foto: Luca Amato

Altrettanto aliene appaiono le nostre infrastrutture quando ci spingiamo oltre i confini della terra o immaginiamo umanità lontane nello spazio e nel tempo.

I tentativi di terra formare Marte e la necessità di progettare colonizzazioni interstellari, offrono esempi suggestivi di come potremmo sopravvivere per far fronte alle crisi ambientali o all’inevitabile “morte” del sistema solare. Se ci allontaniamo nel tempo e nello spazio si dispiegano di fronte a noi scenari pazzeschi, al limite del reale, fino a trovare problemi e soluzioni che ancora non sappiamo di non sapere, come la possibilità di trasferire la nostra coscienza, qualunque cosa sia, in una forma adatta ad affrontare le peggiori trasformazioni geo-morfologiche e climatiche. O ancora la possibilità di espandere le nostre percezioni con accorgimenti tecnici, raggiungendo i più stravaganti stati di sinestesia

Questi tentativi di pensare “ciò che non sappiamo di non sapere” sono terreno fertile per la serendipità e la scoperta, un’introduzione al mistero ma strettamente legati in vita al filo della matematica, concept che chiude il padiglione di Unknown Unknowns. Andrea Galvani, con le sue opere in neon, ci mostra quali sono gli attuali limiti della nostra conoscenza scientifica e i tentativi teorici o sperimentali che stiamo facendo o abbiamo fatto per superarli, talvolta scavalcando i metodi standard. L’opera di Galvani, come lui stesso la descrive, “umanizza la nostra conoscenza dei concetti cosmici, mappa le strade percorse e poi abbandonate, offre introduzioni intime ai coraggiosi che hanno immaginato ciò che gli altri non potevano ancora comprende”. Tra questi Paul A. M. Dirac, che ha ipotizzato l’esistenza dell’antimateria seguendo coraggiosamente il principio di bellezza (una formula vera deve essere anche bella). Un’opera, quella che chiude il padiglione, che “onora il potere della conoscenza umana e allo stesso tempo negozia l’impossibilità dei calcoli e degli strumenti di comprendere i misteri che cercano di descrivere”.

Study on Black Hole Evaporation di Andrea Galvani Foto: Luca Amato