La musica della natura: melodie per la tutela dell’ambiente

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Passeggiando in natura siamo accompagnati da versi di animali, che si scambiano informazioni e comunicano in modi a noi difficilmente comprensibili. Ed è proprio qui che interviene la bioacustica, una scienza interdisciplinare che ha come obiettivo proprio quello di indagare i suoni della natura

Frullio di ali, squittio di scoiattoli, fruscio di foglie, ronzio di api. Acquazzoni, gocce che rimbalzano sulle fronde, fischio del vento. Melodie diverse si sovrappongono, suoni più o meno acuti, richiami più striduli. In un parco di città va in scena un piccolo concerto, in ambienti più ampi e vari, diventa un vero spettacolo orchestrale. E questo è quanto può percepire l’orecchio umano. Ci sono anche molti suoni a frequenze non udibili a noi, tanti modi di comunicare, cacciare, percepire l’ambiente che sfruttano vibrazioni in aria o acqua. Il suono è vibrazione, ne siamo completamente immersi.

La musica ci circonda, la natura ha affascinato ed ispirato i compositori classici, da Vivaldi a Beethoven. Nel 1972 il bassista inglese Dave Holland ha registrato un singolo ispirato proprio al canto degli uccelli. La traccia Conference of the Birds richiama in chiave jazz, il caotico cinguettio degli uccelli in una mattinata d’estate. Il biologo statunitense Roger Payne nel 1970 ha pubblicato un album particolare: senza musicisti. Le cinque tracce che lo compongono altro non sono che i vocalizzi e i canti di megattere che, per la prima volta, vengono registrati e fatti ascoltare al grande pubblico, mostrando quanto complesso, sofisticato e persino artistico sia il linguaggio di questi abitanti dei mari. Songs of the Humpback Whale, questo il nome della raccolta, diventa disco di platino, raggiungendo presto le 125 mila copie vendute. Il vero successo, però, è un altro: avvicina le persone alle balene, iniziano ad essere percepiti come animali senzienti, scatenando così le prime riflessioni sulla legittimità della loro caccia.

Paesaggi in chiave sonora

La musica della natura può anche essere un indicatore della salute degli ecosistemi, delle dinamiche al loro interno: gli organismi viventi rivelano la loro presenza attraverso segnali acustici che possono essere facilmente rilevati, registrati, salvati e analizzati. Questo è il campo della bioacustica, una scienza interdisciplinare che si occupa dello studio della comunicazione acustica, dell’ecolocalizzazione e della percezione sonora negli animali. In questo contesto si inserisce l’ecoacustica, una scienza sempre più emergente che indaga i suoni naturali e antropici e il loro rapporto con l’ambiente. Come illustrato nella Rivista Italiana di Acustica, grazie all’utilizzo del Monitoraggio Acustico Passivo (PAM), è possibile registrare dati su grande scala spaziale e temporale e si possono raccogliere informazioni a lungo termine sulla distribuzione delle specie animali e sulle variazioni nelle dinamiche delle comunità biologiche a causa delle attività antropiche. Attraverso il monitoraggio acustico passivo di un habitat è quindi possibile ottenere “un’immagine” del paesaggio sonoro inteso in senso esteso a infrasuoni e ultrasuoni, costituito da tre diverse componenti.

In primo luogo, ci sono i suoni prodotti dagli animali, che compongono la biofonia, perlopiù tra 2.000 e 8.000 Hz ma che si estende fino a 120kHz. La seconda componente include i suoni di eventi atmosferici e fisici, che costituiscono la geofonia: vento, pioggia, acque correnti, che sono compresi in un intervallo di frequenze più ampio, dalle basse frequenze che indicano la presenza del vento, per esempio, a frequenze più alte tipiche di eventi piovosi. Infine ci sono i rumori legati alla presenza dell’uomo, definiti antropofonia, o tecnofonia quando è dominante il rumore continuo dei sistemi di trasporto, automobili, treni, aeroplani, navi e delle attività industriali, che generalmente occupano le basse frequenze tra 20 e 2.000 Hz.

Si può quindi osservare il paesaggio sonoro nella sua complessità. La definizione di questo temine si deve al musicista e studioso canadese Raymond Murray Schäfer, secondo cui il paesaggio sonoro è la manifestazione acustica del “luogo”, nel senso che i suoni danno agli abitanti un “senso del luogo” e la qualità acustica del luogo è modellata dalle attività e dal comportamento degli abitanti. Ogni specie animale emette suoni adatti a comunicare ad altri un pericolo, la disponibilità di cibo o gli stati d’animo, ma anche minacce, ordini o inviti. Insieme a quelli delle altre specie, i gridi e i canti costruiscono in ogni ambiente paesaggi sonori diversissimi.

La nascita dei primi studi di bioacustica

I primi interrogativi sull’ambito acustico risalgono al ‘700, grazie ad una supposizione di Lazzaro Spallanzani. Lo studioso si domandò come i pipistrelli facessero ad orientarsi al buio e, per indagare il fenomeno, preparò un percorso nella completa oscurità con dei fili tesi, dotati di campanello. Da bendati gli animali evitarono i fili e non fecero suonare nulla, mentre, quando vennero tappati i canali uditivi, fecero suonare i campanelli, urtando gli ostacoli. Essendo gli ultrasuoni emessi da tali animali non udibili per l’orecchio umano, restava ancora oscuro il meccanismo di orientamento nello spazio da essi adottato, ma fu possibile ricondurre ai dotti uditivi la capacità di muoversi al buio.

L’esatto meccanismo alla base di questa peculiarità di molti chirotteri fu scoperto per la prima volta intorno al 1938, dallo zoologo Donald Griffin in collaborazione con il neuroscienziato Robert Galambos. I due ricercatori riuscirono ad identificare come fosse possibile che i pipistrelli percepissero gli ostacoli al buio. Fu poi Griffin nel 1944 a coniare il termine “ecolocalizzazione”. Grazie a un sistema in grado di registrare anche le frequenze non udibili, gli scienziati scoprirono infatti che i pipistrelli emettevano note di un’ottava più acute del limite massimo di sensibilità dell’orecchio umano. Basandosi sull’eco generata da questi suoni, gli animali erano in grado di identificare gli ostacoli con grande precisione. La controprova venne data dal fatto che i pipistrelli, quando venivano loro tappate la bocca o le orecchie, non erano più in grado di orientarsi al buio. In seguito questo sistema venne scoperto anche nei cetacei e in alcune specie di uccelli.

Un altro pioniere della bioacustica è stato lo sloveno Ivan Regen, che ha posto l’attenzione sul mondo degli insetti. Nel 1925 dimostrò che grilli e cavallette rispondono agli stimoli acustici che ricevono da altri individui, spingendosi a stimolare gli insetti a rispondere a suoni artificiali tramite degli altoparlanti. Fu il primo studioso a comprendere e descrivere l’organo timpanale, dal quale originano le capacità uditive degli insetti.

Un vero e proprio esperto di bioacustica moderna in Italia ed Europa era il professor Gianni Pavan, scomparso di recente. Amante della musica, ha iniziato ad interessarsi di suoni dapprima come fonico, per una band di amici. Ha studiato scienze naturali all’università ed è poi riuscito ad unire le due passioni, musica e natura, con una brillante carriera nel modo della bioacustica. Dopo la laurea per molti anni si è dedicato allo studio dei mammiferi marini con lo sviluppo di strumenti e di software dedicati. Negli ultimi vent’anni si è sempre più concentrato sullo studio dell’ambiente acustico, comprendendo infrasuoni e ultrasuoni. Come racconta, dal 2014 aveva preso parte ad un importante progetto di monitoraggio acustico finanziato dal CNRS francese. Grazie alle nuove tecnologie ha iniziato il monitoraggio della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, con la grande collaborazione dell’Ufficio UTB di Pratovecchio del Corpo Forestale dello Stato, ora transitato nel Reparto Biodiversità dei Carabinieri. Il progetto prevede la registrazione del paesaggio sonoro delle riserve della Lama e di Sasso Fratino con un protocollo di 10 minuti di registrazione ogni mezz’ora, giorno e notte. Analogo monitoraggio è in programmazione anche nella Riserva dell’Isola di Montecristo gestita dal Reparto Biodiversità dei Carabinieri.

Metodi innovativi e pratici per monitorare la biodiversità

Monitorare la biodiversità è fondamentale per osservare la salute degli ecosistemi ed è importantissimo ai fini della conservazione e tutela dell’ambiente. Per stimare la presenza delle specie in un habitat vengono osservati due parametri, rispettivamente chiamati α e β. Con diversità α si intende la varietà di specie all’interno di una comunità di viventi, mentre per diversità β si osservano le differenze tra le comunità in una stessa area geografica. Per misurare la diversità biologica sono stati introdotti alcuni metodi: può essere infatti calcolata come il cambiamento medio (turnover) nella composizione delle specie tra due comunità. La sua quantificazione si basa principalmente su inventari che sono costosi e difficili da compilare e richiede che l’identità delle specie sia nota. Per raccogliere questi dati sono necessari diversi anni di sforzi, un importante gruppo di specialisti e, nella maggior parte dei casi, è illusorio registrare e confrontare la ricchezza assoluta di specie di comunità in un breve periodo di tempo. In alternativa, ci si può concentrare su un solo taxon, ovvero un gruppo di organismi facenti parte di una stessa categoria, avendo determinate caratteristiche comuni e ben distinguibili da altri taxa.

Si può suppore che la diversità all’interno di questo gruppo sia rappresentativa della varietà degli altri taxa, tuttavia, per affermare che questo taxon sia un indicatore affidabile, è necessario che diversi criteri relativi alle sue proprietà biologiche vengano oggettivamente testati, sempre attraverso campionamenti in posizioni rappresentative dell’habitat. La bioacustica può quindi essere applicata in questo ambito, per osservare lo stato di salute e la biodiversità dei vari ambienti. Questo tipo di studi risulta meno impegnativi e dispendiosi e possono protrarsi per un intervallo di tempo più lungo. Queste tecnologie hanno però il limite di essere sensibili anche ai rumori, rendendo quindi necessari studi preliminari e analisi acustiche dettagliate. La musica della natura ha ispirato musicisti ed artisti, ci regala momenti di spensieratezza, accompagna le nostre giornate e spesso ne siamo inconsapevoli. I suoni che la natura ci offre si rivelano anche un utile mezzo per comprendere le dinamiche tra i viventi, come comunicano, interagiscono, si muovono e queste conoscenze si stanno dimostrando importanti per la tutela dell’ambiente stesso.

Nelle prossime settimane ci addentreremo nel mondo della bioacustica e cercheremo di capire di quali sono i punti di contatto con la musica prodotta da Homo sapiens.
Riferimenti: Sueur, J., Pavoine, S., Hamerlynck, O., & Duvail, S. (2008). Rapid Acoustic Survey for Biodiversity Appraisal. PLoS One, 3(12), e4065. doi: 10.1371/journal.pone.0004065

Immagine: Hitenpatel123, CC BY-SA 4.0, https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/deed.en, via Wikimedia Commons