La perdita di numerosi geni ha permesso ai mammut di adattarsi al freddo

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Per la prima volta sono state studiate le delezioni e le inserzioni di DNA a carico dei geni dei mammut lanosi. Queste variazioni genetiche sono all’origine dell’adattamento di questi animali al gelo e la loro scoperta è rilevante per i tentativi di de-estinzione della specie

Secondo uno studio recentemente pubblicato su iScience condotto dal Museo Svedese di Storia Naturale in collaborazione con l’Università di Stoccolma, sarebbero state alcune piccole delezioni e inserzioni di materiale genetico ad aver permesso ai mammut lanosi (Mammuthus primigenius) di sopravvivere in climi piuttosto rigidi. Questi animali, infatti, vissuti tra i duecentomila e i cinquemila anni fa, popolavano la tundra e la steppa dell’emisfero nord del pianeta dove le temperature medie durante l’inverno oscillavano tra i -30 e -50°C. Per riuscire a resistere a queste temperature questi grandi animali hanno sviluppato una folta pelliccia, con peli lunghi anche un metro, orecchie e coda piccole in modo da minimizzare la dispersione di calore, inoltre avevano anche un grosso strato di grasso sottocutaneo da utilizzare come riserva energetica durante l’inverno. Caratteristiche uniche che li differenziavano dalle altre specie di mammut e dagli odierni elefanti che abitano le zone tropicali e subtropicali della Terra. Queste differenze morfologiche erano probabilmente evidenti a occhio nudo mentre è molto più complicato per i genetisti osservare quali siano le differenze a livello genetico che possono aver guidato questa differente evoluzione. L’importanza delle delezioni e delle inserzioni nel DNA
Per provare a rispondere a questa domanda, sono stati sequenziati per la prima volta i genomi di due mammut siberiani, che sono stati poi analizzati assieme alle sequenze di DNA di altri tre mammut lanosi presenti in letteratura. Il materiale genetico è stato comparato al genoma degli animali viventi più vicini da un punto di vista evolutivo: sei elefanti asiatici (Elephas maximus) e ventiquattro elefanti africani (Loxodonta africana). In particolare, lo studio si è focalizzato sulla ricerca di piccole delezioni e inserzioni di materiale genetico: variazioni strutturali del DNA che sono state associate all’adattamento e alla formazione di nuove specie nei vertebrati e sono ancora poco studiate nei mammut a causa della difficoltà di reperimento di materiale genetico in buono stato di conservazione di animali vissuti in epoche così remote. I mammut lanosi utilizzati nello studio sono vissuti dai quarantaquattro ai quattromila anni fa e appartengono a diversi gruppi monofiletici. Grazie a queste differenze temporali e genetiche è possibile ipotizzare che le delezioni e le inserzioni presenti esclusivamente nel DNA dei mammut siano tipiche dei componenti di questa specie vissuti nel tardo pleistocene. Sono state individuate delezioni e inserzioni uniche ed esclusive del DNA dei mammut lanosi in 87 geni. Perdere o acquisire un pezzo di DNA può essere un cambiamento importante per un gene ed è quindi molto probabile che queste modifiche abbiano avuto un impatto sulla loro funzione. In particolare, molti dei geni coinvolti sono associati a caratteristiche morfologiche specifiche dei mammut, come la percentuale di grasso corporeo e la sua distribuzione, la crescita del pelo, la morfologia dello scheletro e dell’orecchio, la temperatura e le dimensioni del corpo. Queste osservazioni hanno rafforzato l’ipotesi che la comparsa di delezioni e inserzioni possa aver giocato un ruolo fondamentale nell’adattamento dei mammut ai climi freddi.
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Visualizzazione grafica delle delezioni e inserzioni uniche del DNA dei mammut lanosi. Immagine: dalla pubblicazione

  La de-estinzione dei mammut
Esistono diversi progetti scientifici che hanno l’obbiettivo di provare a riportare in vita una specie estinta. Uno dei più famosi è probabilmente quello dello stambecco dei Pirenei (Capra pyrenaica pyrenaica) primo animale estinto a essere stato riportato in vita anche se solo per pochi minuti. Riuscire ad ottenere un risultato del genere è tutt’altro che semplice; in passato si è provato a clonare il DNA di specie estinte per impiantarlo in una specie simile che funge da genitore surrogato ma per il mammut è una strada non è percorribile. Infatti, ancora prima di chiedersi se un elefante moderno sia in grado di portare a termine con successo la gravidanza di un embrione di mammut è proprio il materiale di partenza a mancare: è passato troppo tempo per trovare del DNA di mammut lanoso altamente conservato adatto allo scopo. Per questo motivo gli scienziati stanno provando a “riscrivere” il DNA degli elefanti, con una tecnica chiamata CRISPR, per renderlo simile a quello dei mammut. Lo studio evidenzia che per avere successo in questa impresa bisognerà prendere in considerazione anche un elevato numero di delezioni e inserzioni. Sebbene sia stata gettata nuova luce sulla storia evolutiva dei mammut lanosi allo stesso tempo le nuove informazioni che abbiamo sul DNA di questi animali ci ricordano quanto siamo ancora lontani dal poter ipotizzare un tentativo concreto di de-estinzione di questi grandi animali vissuti molto tempo fa.

Riferimenti: van der Valk, T., Dehasque, M., Chacón-Duque, J. C., Oskolkov, N., Vartanyan, S., Heintzman, P. D., …Dalén, L. (2022). Evolutionary consequences of genomic deletions and insertions in the woolly mammoth genome. iScience, 25(8). doi: 10.1016/j.isci.2022.104826

Immagine: Hummelmose da Pixabay