La taglia ‘giusta’ per non estinguersi

37017582952 2c9ac0d1d9 b

Determinare quali fattori guidano l’estinzione delle specie è un tema fondamentale per la conservazione della biodiversità. Una nuova ricerca ha identificato nella massa corporea uno dei elementi chiave che definiscono il rischio di estinzione nei vertebrati

Il mantenimento della biodiversità  sulla Terra è cruciale per l’equilibrio degli ecosistemi naturali e dunque anche per la stabilità delle società umane. Eppure, a causa della pressione delle attività umane sul nostro pianeta sta determinando una grande perdita di specie viventi, tale da essere stata definita dagli esperti la “sesta estinzione di massa” (Pikaia ne ha parlato qui e qui). L’estinzione di specie animali per mano dell’uomo è cominciata almeno 132.000 anni fa, con a scomparsa dei grandi mammiferi, cacciati massimamente per scopi alimentari dai nostri antenati durante la colonizzazione di nuove terre dall’Eurasia (Pikaia ne ha parlato qui) al continente americano (Pikaia ne ha parlato qui) ed australiano (Pikaia ne ha parlato qui).

Un recente studio pubblicato su PNAS da studiosi delle Università dell’Oregon (Stati Uniti) e colleghi australiani e svizzeri hanno evidenziato come anche gli animali molto piccoli al pari di quelli molto grandi sono soggetti un rischio maggiore di andare incontro all’estinzione. Se infatti gli animali grandi sono più facilmente oggetto di predazione da parte dell’uomo, la sopravvivenza degli animali molto piccoli è minacciata dalla perdita di habitat e in generale dagli effetti delle modificazioni dell’ambiente dovute all’inquinamento e all’agricoltura intensiva.

Gli autori del lavoro sono giunti a questa conclusione analizzando la massa corporea di più di 27000 specie di vertebrati (uccelli, rettili, anfibi, pesci ossei, pesci cartilaginei e mammiferi) delle oltre 44000 nella Lista Rossa delle specie a rischio di estinzione stilata dalla Unione Internazionale per la conservazione della natura (IUCN).

I risultati della ricerca quindi sottolineano che la salvaguardia degli animali più grandi (con un peso corporeo superiore a 2,2 kg) passa per una migliore regolamentazione della caccia e della pesca degli animali che catturiamo per ricavare cibo, medicinali o per eventi accidentali. Tradizionalmente solo i grandi mammiferi, come balene, elefanti, rinoceronti e leoni, sono stati gli obiettivi dei programmi di protezione, ma la conservazione è necessaria anche per le grandi specie che non sono mammiferi, come i grandi pesci, gli uccelli, gli anfibi e rettili, quali lo squalo balena (Rhincodon typus), lo storione dell’Atlantico (Acipenser oxyrinchus), lo struzzo somalo (Struthio molybdophanes), la salamandra gigante cinese (Andrias davidianus ) e il varano di Komodo (Varanus komodoensis).

La salvaguardia delle specie molto piccole (77 grammi circa) invece richiede una migliore conservazione dell’ambiente. Tra le specie più a rischio figurano la rana di banane di Clarke (Afrixalus clarkei), il geco grigio (Hemidactylus gray) e il pipistrello calabrone (Craseoncycteris thonglonglay) . In generale le specie che abitano habitat d’acqua dolce sono quelle che risultano particolarmente in pericolo.

L’individuazione di un criterio semplice da misurare, può essere molto utile a stabilire il grado di rischio per specie poco studiate, per le quali quindi non è possibile valutare i cambiamenti nel numero di individui delle popolazioni o la loro distribuzione geografica.

La sproporzione nella perdita alle estremità della scala delle dimensioni animali rompere la rete di relazioni all’interno degli ecosistemi e aumenta la probabilità di cambiamenti significativi nel modo in cui gli ecosistemi naturali, siano essi foreste, prati, oceani e perfino fiumi, funzionano perché le specie che si estinguono non possono più compire e funzioni che gli sono proprie mantenere gli equilibri stabiliti, portando alla perdita di intere comunità ecologiche.


Riferimenti:
Ripple, Extinction risk is most acute for the world’s largest and smallest vertebrates PNAS, 2017 doi: 10.1073/pnas.1702078114

Immagine: Oliver Day, Oregon State University