Le emozioni contano. Letteralmente!
La reciprocità è per antonomasia un comportamento da opportunisti, in termini di cause remote. E se per scegliere verso chi dirigere il proprio altruismo bastasse la traccia emotiva dei favori ricevuti?
L’altruismo comporta dei costi per l’attore e dei benefici per il ricevente. Se attore e ricevente si scambiano ripetutamente i ruoli e, al netto, ne beneficiano entrambi, si parla di altruismo reciproco. Tradizionalmente gli studiosi hanno prestato attenzione ai costi e ai benefici che un comportamento produce lungo l’intero ciclo vitale di un individuo. Per tale ragione, verrebbe facile assumere che la reciprocità richieda l’aspettativa delle ricompense, una forte memoria per i singoli eventi e la capacità di pianificare strategie a lungo termine. Insomma, uno sforzo cognitivo notevole.
Filippo Aureli, della John Moores University di Liverpool, e Gabriele Schino, afferente all’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR di Roma, hanno documentato in abbondanza lo scambio di favori lungo un arco temporale più ampio di quello previsto dalle capacità che attribuiamo ai primati non umani. Qualche mancata ricompensa nell’immediato (da ore a giorni) viene tollerata, se si osserva la dinamica a un’altra scala (nell’arco di mesi). Questo consente a Schino e Aureli (2009) di applicare il rasoio di Ockham: non c’è bisogno di attribuire piani diabolici ai cooperatori, la spiegazione si regge a sufficienza su una contabilità emotiva (emotional bookkeeping). In un processo omeostatico, le emozioni che seguono alle interazioni sociali, come gratitudine, fiducia o ansia, indirizzano i gesti altruistici del ricevente. A calcolare la probabilità dei seguenti benefici ci penserebbero già, in ultima analisi, i processi evolutivi. La definizione di altruismo viene allora ristretta, come pare ragionevole, ai costi e ai benefici immediati.
L’attenzione per lo scarto temporale degli scambi e per la rete sociale, oltre la coppia attore e ricevente, danno plausibilità ecologica a questi studi, solitamente condotti in cattività o semi-cattività. In un lavoro pubblicato su Biology Letters nel 2012, Sabbatini et al. analizzano la cooperazione in diadi, triadi e gruppi di cebi dai cornetti (Cebus apella). Nelle coppie di individui, ai quali viene data la possibilità di trasferire a basso costo del cibo, l’attore dona più volentieri se in una prima fase ne ha avuto dal ricevente. Introducendo un terzo individuo, e con esso la possibilità di scegliere il partner, gli intervalli temporali fra eventi cooperativi si indeboliscono ulteriormente. Ne risulta che vengono preferiti gli individui dai quali si è complessivamente ricevuto di più, anche tollerando qualche temporaneo “tradimento”. Non viene invece premiato chi aiuta un altro individuo, suggerendo che la reciprocità non è generalizzata, ma mira a stringere specifici legami individuali.
I cebi dai cornetti, dalla cui linea evolutiva ci siamo separati 35 milioni di anni fa, vivono a lungo, hanno una buona flessibilità comportamentale e un indice di encefalizzazione invidiabile per le scimmie del Nuovo e del Vecchio Mondo (escluso l’uomo). Il loro senso per gli affari, mediato dall’uso di simboli, è stato investigato dal gruppo di Elisabetta Visalberghi (Addessi et al 2008). Pikaia ne ha dato comunicazione qui. Ma anche nel compito di reverse-reward contingency, dove i cebi riescono a fare una scelta apparentemente meno conveniente per ottenere poi una migliore ricompensa, la ricompensa non è troppo lontana nel tempo (Addessi e Rossi 2011). Osservando invece gli scambi di grooming in tempi più dilatati, Schino et al. (2009) avevano in precedenza notato che i cebi scelgono stabilmente i partner che reciprocano di più, osservazioni supportate in the wild da Tiddi et al. (2011).
Il metodo è lo stesso che si usa per controllare le variabili di parentela, rango e sesso: dopo aver definito la cornice temporale della reciprocità contingente, i ricercatori controllano nuovamente la scelta del partner rimuovendo gli episodi che cadono in quella cornice. Risultato: mandrilli (Schino e Pellegrini 2009), macachi del Giappone (Schino et al. 2007) e babbuini (Frank e Silk 2009), bilanciano gli scambi nel corso di molte interazioni, senza barattare a ogni turno.
Poi, si sa, gli amici allungano la vita (Pikaia ne ha parlato qui) e sono la linfa di ogni network sociale (per quanto concerne la nostra specie Pikaia ne ha parlato qui). In altre due specie di macaco, Macaca fascicularis e Macaca mulatta, buone relazioni di amicizia mediano lo stesso tipo di ricompense posticipate, dove l’amicizia è solitamente misurata con il tempo speso in compagnia, a guardarsi o a toccarsi (Massen 2010).
E le grandi scimmie? Sebbene fra gli scimpanzé il ricevere aiuto aumenti la probabilità di darne, gli scambi recenti non sono in grado di ribaltare preferenze sociali preesistenti (Melis et al. 2008). Fra gli scimpanzé (Gomes e Boesch 2011) e i babbuini (Silk et al. 2010) che vivono in riserve naturali, i favori ricevuti e quelli dati combaciano di più se misurati nel corso di molti mesi invece che di un solo giorno.
Ma perché limitarsi all’ordine dei Primati? Nel supportare un compagno durante le aggressioni, i coati rossi, procionidi sociali, ricambiano più gli interventi a favore di quelli contro. Le femmine sono ancora più tolleranti, essendo la reciprocità del contro-intervento addirittura assente. Le iene (Crocuta crocuta) vivono simili dinamiche di fissione-fusione e si uniscono più volentieri a sottogruppi dove ci sono dominanti, se in cambio ricevono una maggiore tolleranza (Smith et al. 2007).
La reciprocità non è nemmeno prerogativa dei mammiferi. Fraser e Bugnyar (2012) hanno osservato il comportamento di un piccolo gruppo di corvi alloggiati in una voliera di 240 m2 nel Cumberland Wildpark, in Austria. Poiché raramente gli scambi si sono svolti in tempi brevi, gli autori sostengono che i moventi di tali scambi sono legami emotivi stabili, più che strategie “pan per focaccia”. In effetti, questi animali offrono supporto agonistico a coloro con i quali intrattengono buone relazioni di preening (l’equivalente aviano del grooming), oltre che a parenti e dominanti. Infine, anche nei pesci la market theory deve tener conto della reciprocità a lungo termine (Bshary e Grutter 2002).
Per quanto riguarda l’uomo, non dovrebbe stupire che, al di sotto della cooperazione organizzata in gerarchie e istituzioni, i piccoli gesti di altruismo a basso costo stringono i legami su base personale. Il semplice stare in contatto, lo scambio di supporto, cibo e favori sessuali stimolano la produzione di endorfine, gli oppioidi del cervello, cruciali per l’attaccamento sociale perfino nella scimmia più rinomata per la sua intelligenza machiavellica.
Irene Berra
Disegno di Irene Berra
In allegato la bibliografia