Le infinite forme bellissime degli spermatozoi. Seconda parte: l’era della spermatologia comparata
Esistono miriadi di forme diverse di spermatozoi, una per ogni specie animale. Che cosa ci possono insegnare queste cellule sull’evoluzione? Dopo aver parlato dei pionieri, entriamo nell’era della spermatologia comparata
Retzius, tuttavia, non aveva lavorato sugli aspetti funzionali degli spermatozoi, cioè sulla fecondazione. Si dovette attendere mezzo secolo finché un altro studioso svedese, Åke Franzén, si domandò in che misura le modalità di fecondazione influissero sulla forma degli spermatozoi.
L’era moderna della spermatologia comparata
All’interno della sua tesi di Dottorato nel 1956, che riguardava spermatozoi e spermiogenesi degli invertebrati marini, egli raccolse, identificò e studiò 120 specie diverse appartenenti a 16 phyla, arrivando alla conclusione che lo spermatozoo primitivo descritto da Retzius era particolarmente comune nei gruppi di invertebrati con fecondazione esterna. La fecondazione esterna – ossia il rilascio dei gameti, uova e spermatozoi nell’acqua, dove avviene il loro incontro – è la modalità più antica di fecondazione. Da questa conclusione l’idea di Retzius usciva rafforzata: al concetto di spermatozoo primitivo come prodotto da animali primitivi veniva associata la modalità di fecondazione: lo spermatozoo primitivo indicava fecondazione esterna. Diverse linee evolutive hanno in seguito “inventato” le tecniche più disparate per migliorare l’efficienza nel trasferimento degli spermatozoi e di conseguenza nella fecondazione, modificando di conseguenza la forma degli spermatozoi: è facile immaginare come qualunque sistema che faciliti l’incontro dei gameti riducendone lo spreco ed aumentando il successo riproduttivo, sarà velocemente incorporato.
Scrive Franzén: «Gli spermatozoi modificati mostrano una notevole somiglianza con gli spermatozoi primitivi, e si sono evoluti a partire da essi attraverso cambiamenti che seguono uno schema comune: il nucleo e il pezzo intermedio si allungano e l’intero spermatozoo si ingrandisce. Gli spermatozoi modificati compaiono in animali con qualche tipo di trasferimento diretto dello sperma.» [1]Åke Franzén, This week citation classic: On spermiogenesis. morphology of the spermatozoon, and biology of fertilization among invertebrates. “Zoologiska bidrag från Uppsala”, 31, 1956, pp. … Continue reading
All’interno di molte linee evolutive, all’acquisizione di modelli “modificati” fa seguito l’ ”invenzione” di modelli immobili – cioè che hanno perso il flagello probabilmente a seguito di modalità estremamente specializzate di fecondazione [Fig. 4]. La riacquisizione del movimento da parte di alcuni gruppi non è accompagnata dalla ‘riconquista’ del flagello, ma dalla sorprendente invenzione di modi alternativi, spesso bizzarri, di spostamento, come ad esempio in alcuni ditteri (mosche e forme affini).
I metodi per migliorare il trasferimento più o meno diretto degli spermatozoi sono moltissimi, e dunque è possibile in ogni linea evolutiva assistere a modalità diverse di modificazione dello spermatozoo associata a tale miglioramento. Dunque, trovando due modelli di spermatozoi molto simili, è possibile affermare che le specie che li hanno prodotti siano strettamente imparentate?Il biologo australiano Barrie Jamieson risponde positivamente: «I lettori di questo libro noteranno presto che la forma degli spermatozoi può essere diversa quanto quella delle specie alle quali appartengono. […] È evidente che ogni specie di animali ha spermatozoi che le sono caratteristici. In linea di principio è possibile determinare dall’esame di uno spermatozoo il phylum, l’ordine, la famiglia, il genere, e la specie del maschio dal quale proviene.» [2]Barrie G.M. Jamieson, The ultrastructure and phylogeny of insect spermatozoa, Cambridge University Press, Cambridge 1987.
È bene tuttavia mettere in guardia da un’applicazione troppo letterale di questo principio: esattamente come nell’evoluzione degli animali la somiglianza di un carattere può essere dovuta a convergenza evolutiva[3]Il fenomeno della convergenza è quello per il quale specie non strettamente imparentate sviluppano caratteri molto simili a causa di esigenze funzionali (la forma idrodinamica di pesci e delfini ne … Continue reading, la stessa cosa succede negli spermatozoi. Ad esempio la forma a cavatappi dello spermatozoo ricorre ossessivamente in modelli di spermatozoi prodotti da gruppi zoologici anche lontanissimi fra loro, come gli uccelli passeriformi e gli anellidi [Fig. 10, 11 e 12]. Lo studio comparato degli spermatozoi ha, ovviamente, ricevuto grande impulso con l’uso del microscopio elettronico, che ha generato un miglioramento di due ordini di grandezza del potere risolutivo dell’indagine morfologica. Uno dei primi, grandi passi avanti ottenuti con quello strumento fu quello di Björn Afzelius, che riuscì, negli anni ’50 del secolo scorso, a mostrare i dettagli della struttura comune al flagello di tutti gli spermatozoi mobili, sia primitivi che modificati: l’axonema, il motore che rende possibile il movimento della coda. Questo meraviglioso meccanismo è costituito da nove coppie di microtubuli disposte in cerchio e con simmetria radiata a circondare due microtubuli centrali [Fig. 6, 7 e 9].
Afzelius vide, disposte a distanza regolare lungo uno dei microtubuli di ogni coppia, delle “braccia” protese verso il doppietto successivo [Fig. 9], suggerì così un meccanismo di scivolamento dei doppietti uno sull’altro alla base del movimento. L’axonema è una struttura complessa, formata da almeno 200 proteine diverse, e rappresenta una delle strutture biologiche più ricorrenti nell’evoluzione dei viventi: non si trova solo in ‘quasi’ tutti gli spermatozoi mobili, ma anche in molte cellule dei corpi, dalle alghe ai protisti, dalle balene alle formiche. Non conosciamo le regioni di questa conservatività, ma il ‘motore’ delle code degli spermatozoi, siano essi ‘primitivi’ o ‘modificati’, è sempre l’axonema, la struttura definita in gergo, a causa della disposizione dei microtubuli 9×2+2. Spermatozoi e sistematicaLe ricerche sull’ultrastruttura degli spermatozoi a scopo sistematico-filogenetico sono diventate popolari in zoologia a partire dagli anni ’60 del novecento, con il convegno Comparative Spermatology organizzato a Siena nel 1969 da Baccio Baccetti. L’idea centrale era indagare lo “stile” dell’evoluzione dello spermatozoo:
«Se tutti gli spermatozoi degli animali fossero descritti, classificati e messi in un albero filogenetico senza alcuna preconoscenza degli animali che li hanno prodotti, questo albero somiglierebbe solo in parte agli alberi filogenetici che conosciamo, perché avrebbe un grande tronco costituito da forme simili, gli spermatozoi primitivi di Franzén. I rami di questo albero probabilmente sarebbero i medesimi di quelli che formano phyla e classi noti, salvo che i rappresentanti più esterni delle classi avrebbero spermatozoi partecipi più dei tronchi che dei rami (che è un modo per dire che i rappresentanti più primitivi della maggior parte dei phyla e classi hanno spermatozoi primitivi).» [4]Björn A. Afzelius, Sperm structure in relation to function and phylogeny, in The sperm cell, a cura di Jean André, Martinus Nijhoff, L’Aia, 1983, pp. 385-394.
Tuttavia ricostruire la filogenesi usando solo gli spermatozoi è un po’ un gioco fine a se stesso: l’obiettivo finale è capire meglio la storia della vita sulla Terra; e dunque perché invece non provare a riportare i diversi modelli di spermatozoi su un albero filogenetico degli animali ottenuto con altri criteri, ad esempio molecolari? Forse lo studio di cambiamenti di forma degli spermatozoi lungo linee di discendenza potrebbe aiutare la ricostruzione delle filogenesi…[Fig. 14].
“Il concetto che gli spermi modificati derivino dai primitivi si è dimostrato falso: in quel gruppo gli spermi modificati sono presenti nelle specie più primitive e da essi sono derivati, nelle specie più avanzate, gli spermi primitivi”[5]G. W. Rouse, & K. Fitzhugh, Broadcasting fables: Is external fertilization really primitive? Sex, size, and larvae in sabellid polychaetes, “Zoologica Scripta”, 23, 1994, pp. 271-312.>
È vero che questa critica è limitata a ciò che accade all’interno di una famiglia all’interno di un phylum, ma essa getta comunque un’ombra su una regola che era ritenuta universale. Ciò che invece sembra funzionare è un approccio che si potrebbe definire di “sistematica spermatologica”. Lo studio dettagliato degli spermatozoi con l’uso del microscopio elettronico ha permesso di identificare modelli caratteristici di spermatozoi per molti gruppi animali, in particolare per quanto concerne gli spermatozoi modificati. Note
Ciò è dovuto, come detto, al fatto che ogni linea evolutiva che ha modificato le modalità di fecondazione e lo ha fatto in un modo specifico e indipendente da quello delle altre. Così, ad esempio, tutti gli spermatozoi degli insetti presentano nei flagelli nove microtubuli accessori posti all’esterno dei nove doppietti, e a metà fra un doppietto e quello successivo (ma attenti, come mostrato nella Fig. 7 tale caratteristica è presente anche in un priapulide, che, ovviamente, non è un insetto). Tutti gli spermatozoi dei molluschi hanno nei flagelli nove fibre accessorie proteiche dense poste ognuna in corrispondenza di un doppietto. Tutti i mammiferi hanno nei flagelli nove fibre accessorie (a volte di dimensioni enormi) poste nella medesima simmetria di quelle dei molluschi (ma di natura differente!). Tutti i platelminti hanno un solo grande tubulo centrale nell’axonema (vedi di seguito).
Così, seguendo la logica di Barrie Jamieson [6]B. G.M. Jamieson, The ultrastructure and phylogeny of insect spermatozoa, cit., 1987., l’osservazione di una sezione trasversale di una coda di uno spermatozoo appartenente a uno di questi gruppi ci permette di identificare con sicurezza il gruppo di appartenenza. Se poi alla struttura del flagello si accompagna l’osservazione di altri dettagli, l’identificazione diventa ancora più certa, poiché tutti gli organuli dello spermatozoo si modificano in modi caratteristici di ogni gruppo. Si può persino indagare similitudini e differenze negli spermatozoi primitivi. È vero che nella definizione di Retzius essi sono ”una cellula con un piccolo nucleo rotondeggiante, un breve pezzo intermedio con quattro o cinque mitocondri, e un lungo flagello sottile” [Fig. 1], ed è anche vero che probabilmente questo modello è stato ‘inventato’ nella notte dei tempi e mantenuto perché funzionava bene nella fecondazione esterna, ma è anche vero che ciascuna di queste caratteristiche può variare: il nucleo può essere sferico o appiattito come un ellissoide, o a forma di ogiva leggermente allungata; i mitocondri, si è capito negli anni, possono essere da uno a sei; l’acrosoma (l’organello che contiene enzimi atti a facilitare la penetrazione nell’uovo) può essere assente, o a forma di disco, o appuntito; la struttura che collega il flagello alla testa può essere semplice o estremamente complessa… e gli animali, gruppo per gruppo, nel corso della loro storia, hanno “indagato” ognuna di queste variazioni. e dunque c’è chi è riuscito a ricostruire legami di parentela mediante lo studio comparato degli spermatozoi, anche di quelli primitivi, ad esempio dei celenterati antozoi [7]Hajo Schmidt, Dieter Zissler, Die Spermien der Anthozoen und ihre phylogenetische Bedeutung, “Zoologica”, 44, 1979, pp. 1-46.
Sfruttando il principio che spermatozoi simili, in particolare per quel che riguarda i modelli modificati, indicano appartenenza al medesimo gruppo, i ricercatori si sono messi al lavoro per indagare la posizione sistematica di alcuni gruppi incertae sedis, a volte con risultati sorprendenti. Certo non è un lavoro banale: quanto si debbono assomigliare due modelli di spermatozoi per suggerire comunità di appartenenza? Quanto pesano i fenomeni di convergenza, sempre in agguato nell’evoluzione, che tendono naturalmente ad oscurare il segnale sistematico-filogenetico? Nell’ultima parte vedremo alcuni casi reali che possono illustrare il tema.
Leggi la prima parte Le infinite forme bellissime degli spermatozoi. Prima parte: un po’ di storia
Leggi la terza parte Le infinite forme bellissime degli spermatozoi. Terza parte: evoluzione all’opera
Una versione di questo testo è stata pubblicata dall’autore, col titolo Infinite forme bellissime. Anatomia comparata degli spermatozoi, su Animot. L’altra filosofia. Amor, c’ha nullo amato… amar bestiale, Anno III, numero 1, giugno 2016, a cura Domenica Bruni e Marco Ferraguti.
Immagine in apertura: Gustaf Retzius, Public domain, via Wikimedia Commons
↑1 Åke Franzén, This week citation classic: On spermiogenesis. morphology of the spermatozoon, and biology of fertilization among invertebrates. “Zoologiska bidrag från Uppsala”, 31, 1956, pp. 355-482, “Current Contents” 40, October 7, 1985, p. 16.
↑2 Barrie G.M. Jamieson, The ultrastructure and phylogeny of insect spermatozoa, Cambridge University Press, Cambridge 1987.
↑3 Il fenomeno della convergenza è quello per il quale specie non strettamente imparentate sviluppano caratteri molto simili a causa di esigenze funzionali (la forma idrodinamica di pesci e delfini ne è un classico esempio).
↑4 Björn A. Afzelius, Sperm structure in relation to function and phylogeny, in The sperm cell, a cura di Jean André, Martinus Nijhoff, L’Aia, 1983, pp. 385-394.
↑5 G. W. Rouse, & K. Fitzhugh, Broadcasting fables: Is external fertilization really primitive? Sex, size, and larvae in sabellid polychaetes, “Zoologica Scripta”, 23, 1994, pp. 271-312.>
↑6 B. G.M. Jamieson, The ultrastructure and phylogeny of insect spermatozoa, cit., 1987.
↑7 Hajo Schmidt, Dieter Zissler, Die Spermien der Anthozoen und ihre phylogenetische Bedeutung, “Zoologica”, 44, 1979, pp. 1-46.
È stato Professore Ordinario di Evoluzione Biologica presso l’Università degli Studi di Milano. Ha svolto ricerche nel campo della riproduzione e filogenesi in diversi gruppi di invertebrati. È stato presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica e si è occupato attivamente della divulgazione di temi evoluzionisti e di traduzioni di testi di autori importanti. Ha curato il testo “Evoluzione, modelli e processi” per Pearson Italia. Ha diretto per 20 anni la Biblioteca Biologica dell’Università