Lepri nord-americane a rischio per i cambiamenti climatici

Snowshoehare wintermood

L’alterazione delle tempistiche delle stagioni dovute ai cambiamenti climatici sta riducendo la capacità di mimetizzazione delle lepri “scarpa da neve” all’ambiente circostante

La lepre “scarpa da neve”, Lepus americanus, è una specie erbivora particolarmente diffusa in Nord America e Canada, aree soggette a precipitazioni nevose durante il rigido inverno e a climi più miti nelle stagioni primavera-estate. “Scarpa da neve” è un nome attribuito alla specie per la caratteristica fisica che la contraddistingue: il pelo corto e folto che ricopre anche le zampe, permettendole di non affondare, appunto, nella neve. Le variazioni climatiche dell’habitat in cui vivono spingono questa specie ad adattare il loro manto al paesaggio che le circonda, a seconda delle stagioni: un manto completamente marrone in estate e bianco, con solo la punta delle orecchie nera, in inverno. Il passaggio da un colore ad un altro è solitamente graduale: per un certo periodo infatti la specie assume un colore misto tra marrone e bianco. Il tempo dedicato a questa fase di transizione, solitamente qualche mese, varia per ogni esemplare e per alcuni può essere letale.

I risultati di un recente studio, pubblicati su Ecology Letters, mostrano infatti le probabilità di sopravvivenza di questi animali ai predatori comuni della zona, come lince e coyote, che potrebbero riconoscerli più facilmente durante i periodi di adattamento ai colori della stagione in arrivo. La principale tecnica che le lepri utilizzano per nascondersi alla presenza di una possibile minaccia consiste infatti nell’immobilizzarsi e confondersi con la natura circostante. Nel caso in cui la mimetizzazione con il paesaggio non fosse efficace, le lepri diventerebbero prede meglio individuabili e sarebbero costrette alla fuga, per cui la loro probabilità di salvarsi diminuirebbe.

La relazione tra il manto di questa specie e il relativo ambiente di vita è stata oggetto delle analisi di Marketa Zimola e colleghi della North Carolina State University di Raleigh. Tali analisi sono state effettuate monitorando 186 individui. Il gruppo di ricercatori ha calcolato le probabilità di sopravvivenza settimanale degli esemplari studiati, dimostrandone la progressiva diminuzione con l’abbassarsi del livello di corrispondenza dei colori tra la pelliccia e l’ambiente. Infatti, quando il colore dell’animale raggiunge circa un 60% di somiglianza rispetto all’ambiente circostante, le probabilità di sopravvivenza settimanale per le lepri sono al 92%. Nel momento in cui, invece, i colori di manto e paesaggio non corrispondono assolutamente, la percentuale scende a 89%.

Secondo le ipotesi degli esperti, in futuro questa situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi, soprattutto nella stagione primaverile. I cambiamenti climatici stanno infatti sconvolgendo i cicli di attività circannuali delle lepri, le quali, non sarebbe più in grado di fronteggiare il sempre più precoce arrivo della primavera, riducendo quindi le loro capacità di mimetizzazione con l’ambiente circostante. Tra le previsioni dei ricercatori, purtroppo, vi è la possibilità che la popolazione di lepri “scarpe da neve” subisca un declino consistente: entro l’anno 2100 le loro popolazioni potrebbero diminuire considerevolmente. Il team crede vi possano essere solamente due soluzioni al fine di evitare, o per lo meno ridurre, questi possibili effetti deleteri. La prima è la possibilità che, grazie ad una sufficiente variabilità genetica nella popolazione, il processo adattativo delle lepri all’ambiente possa subire un incremento in termini di rapidità e tempistiche. La seconda, invece, è l’ipotesi per cui il variare dell’habitat nel corso degli anni possa fornire maggiore spazio e possibilità di mutazione a questa specie.


Riferimenti:
High fitness costs of climate change-induced camouflage mismatch. Marketa Zimova, L.Scott Mills, J.Joshua Nowak. Ecology Letters. Published online: 21 January 2016.

Immagine: By D. Gordon E. Robertson (Own work) [CC BY-SA 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0) or GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html)], via Wikimedia Commons