L’evoluzione della malattia mentale
I disturbi psichiatrici hanno radici profonde. Uno studio di genetisti indaga sul ruolo dell’ambiente nell’evoluzione nella malattia mentale
Molti disturbi mentali hanno una componente genetica e possono essere invalidanti. Eppure la selezione naturale non li ha eliminati. Le ragioni di questa conservazione restano in gran parte oscure. Ma i database genomici possono fornire ai genetisti indizi preziosi sull’origine e l’evoluzione nel tempo delle malattie psichiatriche.
Una panoramica aggiornata delle nostre conoscenze e delle ricerche in corso è stata presentata alla conferenza annuale dell’American Society of Human Genetics (ASHG), che si è riunita a Orlando, in Florida, a fine ottobre. I risultati sono apparsi sulla rivista Nature.
Molti disturbi psichiatrici sono poligenici, cioè possono coinvolgere centinaia o migliaia di geni e mutazioni del DNA. Tenere traccia di come si sono evolute tante regioni genetiche non è semplice e richiede grandi set di dati genomici.
Per fortuna negli ultimi anni i database di genomi umani sono cresciuti a un ritmo esponenziale. Partendo da questi archivi, alcuni ricercatori stanno cercando le possibili connessioni tra malattie mentali e le condizioni ambientali e sociali che avrebbero potuto favorirne la comparsa e lo sviluppo.
Altri gruppi di scienziati, invece, stanno esaminando le sequenze genetiche dei Neanderthal, da cui deriva parte del nostro patrimonio genetico, alla ricerca dell’origine di questi disturbi, che nei sapiens sono spesso associati allo sviluppo delle capacità cognitive.
La conferma arriva da uno studio condotto dalla genetista di popolazioni Barbara Stranger, dell’Università di Chicago in Illinois. Sono stati esaminati centinaia di migliaia di genomi umani con un metodo statistico che ha identificato segnali di selezione della schizofrenia negli ultimi 2000 anni.
Molti dei sintomi della malattia, come le allucinazioni uditive e le frasi deliranti, coinvolgono regioni cerebrali legate al linguaggio. Nel corso dell’evoluzione degli ominini, lo sviluppo di questa parte della corteccia si è portato dietro un piccolo ma inevitabile rischio. Quello di un malfunzionamento dei geni associati alla parola, che provoca la schizofrenia.
La risonanza magnetica funzionale può essere applicata allo studio delle malattie mentali (immagine: Wikimedia Commons)
I risultati dello studio rivelano però che l’evoluzione ha premiato varianti del DNA che ci proteggono dalla malattia. Una simile selezione non è stata riscontrata in nessuna delle regioni genetiche associate a qualsiasi altra malattia mentale.
Un altro team di ricerca, guidato dal genetista Renato Polimanti della Yale University di New Haven, nel Connecticut, ha studiato la correlazione tra fattori ambientali, malattie mentali e tratti comportamentali.
Polimanti e i colleghi hanno esaminato 2.455 campioni di DNA di 23 individui provenienti da tutta Europa. Hanno quantificato il rischio genetico complessivo di ognuno per disturbi mentali come l’autismo, e valutato alcuni tratti legati alla personalità, come l’estroversione.
Hanno poi calcolato se questo rischio fosse associato a determinati fattori ambientali, per esempio le precipitazioni, le temperature invernali o la prevalenza di malattie infettive. L’ipotesi era che questi fattori possano essere coinvolti nella selezione dei tratti umani.
La mappa mondiale di incidenza della schizofrenia, espressa come anni di vita persi ogni 100.000 abitanti. Questa malattia colpisce 24 milioni di persone in tutto il mondo (nel 2011) ed è più frequente nei maschi che nelle femmine (immagine: Wikimedia Commons)
Si è scoperto che chi vive in regioni europee con temperature invernali relativamente basse, ha maggiori probabilità di sviluppare la schizofrenia. Per Polimanti, una possibile spiegazione potrebbe risiedere nella posizione dei geni che aiutano a tollerare il freddo. La loro collocazione in punti del genoma associati alla schizofrenia potrebbe aver inavvertitamente favorito la malattia, come fastidiosa “compagna di viaggio evolutivo”.
Un altro retaggio indesiderato dell’evoluzione coinvolge il sistema immunitario. La sua iperattività è stata associata a diversi disturbi psichiatrici, tra cui la depressione. D’altra parte, il suo rafforzamento ha permesso ai nostri antenati di sopravvivere a molte malattie infettive.
Nel maggio del 1856, Hugh Welch Diamond, dottore del County Asylum e segretario alla Photographic Society of London, presentò un articolo alla Società intitolato “On the Application of Photography to the Physiognomy and Mental Phenomena of Insanity”. Come molti scienziati dell’epoca, Diamond credeva nella fisiognomica, una pseudoscienza che considerava il volto come lo “specchio dell’anima”. Anche i disturbi mentali, come la paranoia o la melanconia, avevano quindi una loro tipizzazione nei tratti del volto (Immagine: Wikimedia Commons)
Definire il contributo della genetica e dell’ambiente alla malattia mentale resta però una sfida ardua. Anche perché le condizioni ambientali del passato sono note solo in parte, e potrebbero aver selezionato tratti vantaggiosi per l’epoca, ma svantaggiosi oggi. Inoltre anche altri fattori evolutivi sconosciuti potrebbero contribuire indirettamente alla malattia mentale.
Altri ricercatori si sono focalizzati sulle possibili differenze di espressione genica nei tessuti dei Neanderthal e dei sapiens. Un gruppo guidato da Tony Capra, un genetista evolutivo della Vanderbilt University a Nashville, in Tennessee, ha setacciato le banche dati di genomi umani moderni per trovare marcatori del DNA che suggeriscano differenze di regolazione genica in diversi tessuti corporei.
Hanno quindi cercato questi marcatori in due genomi neandertaliani. Il team ha così scoperto che i geni associati allo sviluppo neurologico erano regolati in modo diverso nel cervello dei Neanderthal rispetto ai sapiens.
Sappiamo ancora poco delle capacità cognitive dei Neanderthal e della loro suscettibilità alle malattie mentali. La genomica comparata però può fornire molte informazioni sull’espressione di geni coinvolti in funzioni cognitive come il linguaggio, che sono stati messi in relazione con alcune malattie psichiatriche (immagine: Flickr)
Il gene FOXP2 associato al linguaggio, per esempio, ha una sequenza identica negli esseri umani e nei neandertaliani. Tuttavia ci sono indizi di una maggior produzione della proteina associata nei sapiens, che è all’origine di una capacità linguistica superiore, e forse anche di una maggior predisposizione alla schizofrenia.
Scoprire come funzionava il cervello dei Neanderthal e se anche loro soffrissero di disturbi psichiatrici sono alcune delle sfide che attendono i ricercatori. Le risposte potrebbero già essere custodite nei database genomici in continua espansione, che attendono solo di essere esplorati.
Eugenio Melotti, da Zanichelli Aula di Scienze
Immagine: Wikimedia Commons