L’evoluzione è falsificabile!

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Siamo venuti grandi, giusto o sbagliato che sia, con l’idea che un’affermazione, per essere scientifica, deve essere falsificabile, ossia che esista la possibilità logica di contraddirla con un’osservazione o con un esperimento. Quando si parla di studio dell’evoluzione questo punto è difficile da sbrogliare. A occhio si può dire che l’evoluzione in quanto “storia della vita sulla Terra” risponda al […]


Siamo venuti grandi, giusto o sbagliato che sia, con l’idea che un’affermazione, per essere scientifica, deve essere falsificabile, ossia che esista la possibilità logica di contraddirla con un’osservazione o con un esperimento. Quando si parla di studio dell’evoluzione questo punto è difficile da sbrogliare. A occhio si può dire che l’evoluzione in quanto “storia della vita sulla Terra” risponda al requisito di falsificabilità, mentre la formulazione di meccanismi della storia passata presenti più problemi. Un bell’esempio della prima affermazione è la vicenda dell’origine degli orsi bianchi come si è sviluppata negli ultimi 10 anni circa sulla letteratura scientifica.

Qualche anno fa fece molto rumore un articolo apparso su Science (Barnes et al., 2002) nel quale, utilizzando alcuni geni del DNA mitocondriale, si descrivevano le relazioni filogenetiche fra orsi bianchi e bruni. I vantaggi di usare il DNA mitocondriale non sono indifferenti: è ben più piccolo del DNA nucleare, è presente in numerosissime copie in ogni cellula, almeno tante quanti sono i mitocondri, (mentre quello nucleare è presente in sole due copie in ogni nucleo cellulare), e cambia nel tempo con un ritmo superiore a quello del DNA nucleare. Dunque si presta bene per studiare relazioni filogenetiche “recenti”, come quelle all’interno della medesima specie o fra specie affini. Ha però due difetti: è ereditato in linea materna (per quanto ne sappiamo i mitocondri degli spermatozoi vengono disattivati dopo la fecondazione), e, per ragioni non del tutto comprese, si presta ad essere trasferito fra una specie e l’altra durante gli eventi di ibridazione. Le conclusioni dell’articolo di Barnes et al. (2002) erano abbastanza rivoluzionarie: gli orsi bianchi nella filogenesi ricostruita erano “annidati” come si usa dire, all’interno degli orsi bruni, o se volete esprimere il concetto in un modo più tecnico, la specie degli orsi bruni (Ursus arctos) era parafiletica, cioè alcuni degli orsi bruni esaminati erano più parenti degli orsi bianchi che non degli altri orsi bruni, una specie di bestemmia per i sistematici di oggi. I dati di Barnes et al. erano rafforzati dal fatto che molti di essi erano stati ricavati dalla studio di animali morti e sepolti da gran tempo, ma ben conservati per esser stati sepolti nel suolo permanentemente gelato.

Un successivo articolo di Lindkvist et al. (2010), prendendo in considerazione l’intero genoma mitocondriale, confermò lo stato parafiletico di alcune popolazioni di orsi bruni, e arrivò a determinare l’origine dell’orso polare a circa 130.000 anni fa, con un rapido periodo di adattamento ecologico nei primi 30.000 anni di esistenza della specie. Tempi di quest’ordine di grandezza sono estremamente brevi per un fenomeno di speciazione.

Un cambio di passo significativo si ebbe in aprile di quest’anno, con un articolo di Heiler et al., che utilizzò un campione di geni nucleari, “rimettendo le cose a posto” ed aprendo la strada all’interpretazione successiva: orsi bianchi e neri, in questa analisi, risultavano separati da 600.000 anni, e il DNA mitocondriale decisamente di tipo “bruno” sarebbe arrivato agli orsi polari a seguito di ibridazioni ripetute. Un tempo così lungo, inoltre, sarebbe più compatibile con il magnifico adattamento all’ambiente degli orsi bianchi, con conseguente evento di speciazione. Speciazione che, tuttavia, ha richiesto molto tempo per venir perfezionata, come indica la presenza di ibridi.

Un articolo in corso di stampa su PNAS (Miller et al. 2012), firmato da una sorta di “ONU” di 27 autori provenienti da otto paesi diversi, riprende l’argomento usando però tecniche attuali di sequenziamento dell’intero genoma nucleare. La conclusione di questo studio conferma quella di Heiler et al.: orsi bianchi e orsi bruni sono specie sorelle, che si sono separate fra quattro e cinque milioni di anni fa, poco dopo (meno di un milione di anni) la separazione del loro antenato comune dall’orso nero, ma in alcune parti del loro areale, come l’arcipelago Alexander in Alaska, hanno continuato ad ibridare fino a tempi recenti. Questi fenomeni sono avvenuti, probabilmente, durante periodi di riscaldamento climatico, e hanno lasciato traccia nel DNA mitocondriale e nel 5-10% del DNA nucleare, inducendo così l’errore dei ricercatori precedenti (vedi Figura 2). Questa conclusione non deve apparire fantascientifica: le due specie ibridano negli zoo, e vi sono occasionali segnalazioni di ibridi in natura (vedi, ad esempio, la voce Grizzly–polar bear hybrid su Wikipedia).

Jerry Coyne nel suo blog whyevolutionistrue ricava da questa vicenda delle lezioni di carattere generale:

Primo: usate il DNA nucleare ovunque possibile per le ricostruzioni filogenetiche, e siate sempre sospettosi degli alberi costruiti solo su DNA mitocondriale o dei cloroplasti.
Secondo, gli orsi polari e bruni si sono separati molto tempo fa e non recentemente, come suggerito.
Terzo, questa divergenza, come quella dagli orsi neri, è stata seguita da occasionale ibridazione, sicché la speciazione in questo caso non ha seguito lo scenario usuale dell’isolamento geografico completo che conduce all’immiscibilità genetica. Come scrive James Gorman sul New York Times: “Il progresso nella formazione dalla specie, almeno in questo caso, è un po’ come un lungo divorzio ambivalente, nel quale le due parti sono separate, ma occasionalmente si ritrovano a letto anche dopo la sentenza ufficiale”.
Infine: gli orsi bianchi sono sensibili al clima, e se continuiamo a scaldare l’ambiente in modo miope, li condanneremo all’estinzione. O non riusciranno a resistere alla sparizione del ghiaccio polare, o ibrideranno con gli orsi neri fino ad estinguersi.

Per parte mia vorrei sottolineare che la vicenda della ricostruzione del passato degli orsi bianchi, che si è andata precisando negli ultimi dieci anni è un magnifico esempio di come lo studio dell’evoluzione sia falsificabile, né più né meno di quelle che usiamo definire scienze “hard”, i cui rappresentanti spesso tacciano l’evoluzionismo di non scientificità.

Marco Ferraguti



Riferimenti bibliografici:

Barnes, I. et al.: Dynamics of Pleistocene population extinctions in Beringian brown bears. Science, 295 (5563), 2267-2270, 2002.

Hailer F, et al. Nuclear genomic sequences reveal that polar bears are an old and distinct bear lineage. Science 336, 344–347, 2012.

Lindqvist C, et al. Complete mitochondrial genome of a Pleistocene jawbone unveils the origin of polar bear. PNAS 107, 5053–5057, 2010.

Miller, W. et al., Polar and brown bear genomes reveal ancient admixture and demographic footprints of past climate change PNAS 2012 ; published ahead of print July 23, 2012, doi:10.1073/pnas.1210506109