L’importanza della biologia evoluzionistica per la medicina e salute pubblica
Sebbene la medicina sia una delle discipline in cui è più facile evidenziare gli aspetti pratici della ricerca in ambito evoluzionistico, solamente una ridottissima parte del suo potenziale è oggi sfruttata in ambito medico.Questa constatazione è tuttavia facilmente spiegabile considerando il fatto che in moltissime facoltà (sia italiane che straniere) gli studenti di medicina devono affrontare esami legati a diverse […]
Sebbene la medicina sia una delle discipline in cui è più facile evidenziare gli aspetti pratici della ricerca in ambito evoluzionistico, solamente una ridottissima parte del suo potenziale è oggi sfruttata in ambito medico.
Questa constatazione è tuttavia facilmente spiegabile considerando il fatto che in moltissime facoltà (sia italiane che straniere) gli studenti di medicina devono affrontare esami legati a diverse discipline di base (embriologia, anatomia, citologie ed istologia, genetica, etc…), ma che non comprendono l’evoluzione. Inoltre, l’evoluzione non è vista come un prerequisito utile alla professione del medico ed il biologo evoluzionista è raramente (mai?) parte delle facoltà di medicina.
Un’occasione perduta di sfruttare queste conoscenze a disposizione della medicina? La risposta che Randolph M. Nesse (University of Michigan) e Stephen C. Stearns (Yale University) pubblicano sull’ultimo fascicolo della rivista Evolutionary Applications è un sonoro si! Nel loro articolo, intitolato “The great opportunity: Evolutionary applications to medicine and public health“, Nesse e Stearns mostrano come le conoscenze che potenzialmente potrebbero migliorare le strategie mediche sono ben più numerose di quanto generalmente ritenuto (dai medici!) e ben illustrato nella tabella 1 inserita nella pubblicazione.
Un ulteriore aspetto di interesse sollevato da Nesse e Stearns riguarda il fatto che avere una corretta visione dell’evoluzione potrebbe fare cadere alcune metafore, spesso usate in medicina, del corpo come macchina e quindi “oggetto progettato” anziché frutto della selezione naturale e della salute come risultato a cui l’evoluzione tenderebbe al posto della fitness. A questi aspetti, io aggiungerei la visione proposta agli studenti dell’uomo come “il vivente più complesso”, affermazione che sebbene di effetto, non è di facile (impossibile?) dimostrazione sperimentale.
La conclusione di Nesse e Stearns è quindi chiara: sarebbe assolutamente dannoso perdere per l’ennesima volta l’occasione di migliorare la medicina includendo l’evoluzione nel curriculum di studio dei futuri medici. Totalmente condivisibile è, infine, l’augurio con cui si conclude il testo: “It is our hope that faculty and students will send this article to their undergraduate and medical school Deans, and that this will initiate discussions about the gap, the great opportunity, and action plans to bring the full power of evolutionary biology to bear on human health problems”.
Mauro Mandrioli
Randolph M. Nesse, Stephen C. Stearns (2008) The great opportunity: Evolutionary applications to medicine and public health. Evolutionary Applications 1: 28–48.
Fonte Immagine: Institute for Theoretical Biology
Biologo e genetista all’Università di Modena e Reggio Emilia, dove studia le basi molecolari dell’evoluzione biologica con particolare riferimento alla citogenetica e alla simbiosi. Insegna genetica generale, molecolare e microbica nei corsi di laurea in biologia e biotecnologie. Ha pubblicato più di centosessanta articoli su riviste nazionali internazionali e tenuto numerose conferenze nelle scuole. Nel 2020 ha pubblicato per Zanichelli il libro Nove miliardi a tavola- Droni, big data e genomica per l’agricoltura 4.0. Coordina il progetto More Books dedicato alla pubblicazione di articoli e libri relativi alla teoria dell’evoluzione tra fine Ottocento e inizio Novecento in Italia.