L’influenza di Homo sapiens sulla dieta delle volpi europee nel recente Pleistocene
Verso la fine del Pleistocene due specie di volpi modificarono la loro dieta approfittando degli abbondanti avanzi di carne lasciati nei pressi degli stanziamenti umani nel centro Europa. Questo confermerebbe quanto l’impatto di Homo sapiens abbia influito sull’ecosistema circostante già a partire dalla preistoria
È ormai ben noto che la comparsa di Homo sapiens abbia inciso fortemente sul nostro Pianeta, fin dai primi tempi in cui avvenne la colonizzazione di tutti i continenti. L’estinzione dei Neanderthal, la scomparsa massiva della megafauna terrestre prima della rivoluzione agricola e l’attuale riscaldamento globale sono solo alcuni dei più significativi marchi umani impressi al pianeta da quando ne ha calcato le scene qualche centinaio di migliaia di anni fa (Pikaia ne ha parlato, ad esempio, qui e qui).
Ma l’impatto dell’uomo moderno non sarebbe deducibile solo da grandi sconvolgimenti su scala planetaria, ma anche da piccole conferme ritagliate da contesti ecologici più ristretti e apparentemente marginali. Uno di questi è stato ricostruito da uno studio condotto dall’Università tedesca di Tubinga e pubblicato sulla rivista PLOS ONE.
I ricercatori hanno studiato l’impatto ecosistemico della nostra specie attraverso la ricostruzione dell’adeguamento alimentare di due specie animali, che avrebbero adattato e modificato la propria dieta sulla base di quella dei nostri antenati circa 40.000 anni fa. Si tratta di Vulpes vulpes e Vulpes lagopus, meglio note come volpe rossa e volpe artica, presenti in gran parte dell’emisfero boreale oggi come in quel periodo. Con lo stabilizzarsi e l’estensione progressiva delle comunità di H. sapiens, queste due specie dalla dieta generalista avrebbero infatti approfittato degli abbondanti avanzi di carne lasciati in prossimità dei sempre più numerosi insediamenti dei nostri progenitori, alterando di conseguenza la catena alimentare di quel territorio.
La metodologia seguita dai ricercatori ha utilizzato dapprima l’analisi di isotopi stabili di collagene osseo estratto da resti di ossa di queste due specie di volpe provenienti da diversi siti paleo-archeologici situati nelle Alpi sveve (o Giura svevo, catena montuosa del Baden-Württemberg, nella Germania sudoccidentale) e, in seguito, ha previsto la ricostruzione delle possibili nicchie trofiche e delle diete di queste due specie del Pleistocene.
Confrontando i rapporti tra le quantità di carbonio e azoto estratti da fossili che coprono un intervallo di tempo compreso tra 42 e 30.000 anni fa, si sono rilevati sostanziali differenze di composizione nei campioni delle due specie di volpi. In generale, i valori isotopici di carbonio e azoto del collagene riflettono la parte proteica della dieta per gli onnivori, indicando infatti il rapporto nutritivo assimilato dal consumo di carni rispetto a cibi vegetali. In particolare, i valori isotopici di azoto nel collagene sono legati al livello trofico e possono anche aiutare a ricostruire quali prede sono state consumate.
La composizione del tessuto osseo dei resti delle volpi indicherebbe infatti che circa 42.000 anni fa questi carnivori abbiano lasciato le consuete abitudini alimentari derivanti dalla diretta predazione di piccoli mammiferi e di vegetazione locale, preferendo invece i resti di grossi erbivori, come i mammut e soprattutto di renne, le cui carni, si sa, erano anche un sussidio alimentare molto abituale e consumato tra le comunità umane di quel periodo.
La variazione isotopica misurata prima e dopo l’arrivo dell’uomo, ha permesso quindi ai ricercatori di ricostruire un possibile scenario in cui, durante il Paleolitico Medio fino a 42.000 anni fa l’Europa Centrale era in gran parte predominata da H. neanderthalensis e le volpi si nutrivano essenzialmente di piccoli animali o arbusti. Con l’ascesa dell’uomo moderno, già dai successivi periodi del Paleolitico Superiore, Aurignaziano e Gravettiano, tra 42.000 e 30.000 anni fa, la dieta di queste due specie di volpi si è modificata, approfittando degli abbondanti avanzi lasciati nei pressi degli stanziamenti di H. sapiens. Questo fenomeno è legato, secondo gli studiosi, alla rapida crescita demografica della nostra specie, e al conseguente aumento degli avanzi alimentari legati al consumo di animali di media e grossa taglia come appunto la renna.
In altre parole, queste specie avrebbero ottenuto pasti gratis non dalla generosità dei nostri antenati, ma dai loro avanzi alimentari, significativi di una presenza sempre più estensiva ed ecologicamente impattante di H. sapiens.
Solitamente quando si parla di impatto umano sul nostro pianeta si è soliti riferirsi alla negatività, alla distruzione e rovinosità recata dalla nostra specie, fino a etichettare con il termine Antropocene l’attuale epoca geologica, a significare quanto la presenza dell’uomo moderno abbia influito fortemente sulla Terra soprattutto nel corso degli ultimi due secoli . Nonostante ciò, esso è iniziato già in tempi non sospetti come riportato in questo studio, in cui la natura si è “accorta” di noi adattandosi alla nostra ancor timida presenza, e apparentemente ricavandone pure un beneficio, come per le stesse volpi europee.
Fonti:
Chris Baumann, Hervé Bocherens, Dorothée G. Drucker, Nicholas J. Conard. Fox dietary ecology as a tracer of human impact on Pleistocene ecosystems. PLOS ONE, 2020; 15 (7): e0235692 DOI: 10.1371/journal.pone.0235692
Immagine: Kalabaha1969 / CC BY, via Wikimedia Commons