Lo famo strano: i monotremi e i marsupiali (Parte III)
I mammiferi, tutti indistintamente, si riproducono per fecondazione interna e di conseguenza il loro apparato riproduttore maschile ha grosso modo sempre la stessa struttura di base:1) un paio di testicoli, che possono essere esterni, come nel caso dei primati o dei carnivori (boreoeuteri terrestri), o interni (della posizione se ne parlerà in seguito);2) vasi efferenti, che si raccolgono a formare […]
I mammiferi, tutti indistintamente, si riproducono per fecondazione interna e di conseguenza il loro apparato riproduttore maschile ha grosso modo sempre la stessa struttura di base:
1) un paio di testicoli, che possono essere esterni, come nel caso dei primati o dei carnivori (boreoeuteri terrestri), o interni (della posizione se ne parlerà in seguito);
2) vasi efferenti, che si raccolgono a formare l’epididimo intorno ai testicoli, dove il liquido seminale matura, e vasi deferenti, che portano lo sperma verso l’esterno durante l’eiaculazione. In tutti i mammiferi i vasi deferenti confluiscono nella porzione terminale dell’uretra, adattamento convergente con gli animali dotati di cloaca come rettili e uccelli per cui nei maschi dei mammiferi, ma non nelle femmine, liquido seminale e urina fuoriescono dalla stessa apertura.
3) tre set di ghiandole che formano il medium adatto per la sopravvivenza e il cammino degli spermatozoi lungo le vie genitali femminili: vescicole seminali, prostata e ghiandole bulbouretrali
4) un organo intromittente (pene) al cui centro passa l’uretra circondata dal corpo spugnoso (mentre negli altri amnioti, ad eccezione dei serpenti e delle lucertole, il canale che porta lo sperma è una grondaia esterna); è dotato di: a) ben due corpi cavernosi (una sola struttura erettile negli altri amnioti) che consentono l’aumento di volume dell’organo in erezione; b) di fibre collagene a strati alterni che conferiscono rigidità; c) a volte, di un osso penico (baculum) per aumentare ulteriormente la rigidità, di cui si parlerà nel prossimo post; d) spesso, di ornamentazioni interessanti per trattenere la femmina e/o aumentare la durata della copula; e) una porzione terminale allargata ed erettile detta glande.
Il pene dei mammiferi non deriva, dal punto di vista embriologico, dalla cloaca, che non esiste più, ma da connettivo posto tra l’ombelico e l’ano. Per un certo punto della vita embriologica di un mammifero, tuttavia, l’uretra è a grondaia sulla superficie ventrale.
Questa immagine illustra la struttura di massima. Esistono però notevoli variazioni in base ai gruppi, e molteplici differenze anche all’interno dei vari gruppi. Ricordo che nella classe dei mammiferi esistono tre ordini: i monotremi, i marsupiali e i placentati; vediamoli in rassegna.
I monotremi superstiti sono le quattro specie di echidna e l’unica specie di ornitorinco e mi sono sempre chiesta perchè sono classificati tra i mammiferi, visto che fanno le uova. Si, ok, allattano e sono pelosi, ma non hanno neanche le ghiandole mammarie che danno il nome al clade. La parte interessante in questo contesto è lo stranissimo pene dell’echidna, dotato di ben quattro punte sul glande, laddove la femmina ha solo due vagine. Unici tra i mammiferi, i monotremi hanno la cloaca come i rettili e all’interno di questa cloaca vi è il pene, esattamente come accade per rettili ed uccelli, che viene estroflesso solo durante la copula; ovviamente embriologicamente il pene deriva dalla cloaca. Le somiglianze tra monotremi e rettili sono moltissime e impressionanti, per questo qualcuno parla (impropriamente ed erroneamente) di anello di congiunzione tra rettili e mammiferi.
Comunque sia, i conti non tornano: quattro terminazioni del pene su un tronco unico, e due vagine. Come mai? Per un lungo periodo di tempo è rimasto un mistero. Le elettrostimolazioni applicate ai poveri animali per cercare di indurre l’eiaculazione non servivano e tutto quello che si riusciva ad ottenere era che il pene con tutte e quattro le punte a “rosetta” si ingrandisse enormemente, al punto di non entrare nelle vagine femminili. Ancora una volta è un carattere rettiliano a spiegare l’enigma, grazie ad un maschietto di echidna di uno zoo australiano. Questo esemplare diciasettenne infatti esibiva d’abitudine erezioni quando veniva manipolato per esibizioni davanti al pubblico e venne allora condizionato dai keeper ad arrivare all’eiaculazione (qui un’immagine). Steve Johnston dell’Università del Queensland ha dimostrato, studiando questo animale, che il pene dell’echidna, che è lungo ben un quarto del corpo dell’animale, si comporta come quello dei serpenti, ovvero è duplice e ogni emipene viene usato alternativamente Pikaia ne ha parlato qui). In questo caso però i due emipeni dei serpenti sarebbero fusi nel pene unico dell’echidna, ma rimangono “biforcuti” all’estremità. Ogni estremità a sua volta à biforcuta per consentire la doppia penetrazione nelle due vagine femminili.
In pratica, ad ogni atto sessuale o le due punte di destra o le due di sinistra, alternativamente, ruotando in posizione centrale, penetrano la femmina, mentre le altre due scompaiono. Ogni femmina di echidna è seguita da un treno di anche 11 maschi in fila indiana, col dominante avanti. Con tanta competizione, la possibilità di paternità è ridotta. Di conseguenza, tocca agli spermatozoi lottare per gli ovuli (competizione spermatica). Ciò è reso possibile dall’aggregazione degli spermatozoi in fasci che nuotano con un battito coordinato conferendo una grande velocità ai gameti. La copula in se dura anche molto, dai 30 minuti alle tre ore, per dare tempo agli spermatozoi di arrivare a destinazione. Tra l’altro, le ghiandole accessorie che facilitano la vita agli spermatozooi nelle echidne sono poco o niente sviluppate per cui i fasci spermatici servono anche a proteggere gli spermatozoi centrali dall’acido delle vie genitali femminili. I testicoli dei monotremi sono interni al corpo e posizionati nella cavità addominale, come accade per rettili ed uccelli.
Per quanto riguarda l’ornitorinco, poche informazioni sono disponibili. Il pene comunque dovrebbe avere solo due punte, anche in considerazione del fatto che nella femmina una sola ovaia, la sinistra, è funzionale, mentre la destra degenera un po’ come accade negli uccelli.
L’apparato riproduttore maschile dei marsupiali è condizionato dall’anatomia femminile (qui un’immagine), com’è logico aspettarsi. Dalle due ovaie si dipartono due uteri connessi a due vagine, messe in comunicazione da un canale centrale attraverso il quale passa l’embrione al momento del parto. Essendoci quindi due uteri, è necessario fertilizzare entrambe le vagine, ed è quindi necessario avere due peni allo scopo, o meglio un unico pene biforcuto con un’uretra in ogni terminazione (qui un’immagine). A prima vista quindi il pene dei marsupiali ricorda quello biforcuto di alcuni serpenti ma a differenza di questi entrambe le terminazioni vengono usate contemporaneamente. Tutti i marsupiali sudamericani e molti di quelli australiani hanno il pene bifido; nei koala e nei wombat è solo parzialmente suddiviso; i macropodidi invece (canguri vari, wallabies, bettong, potoroos, canguri arboricoli e pademelons) hanno il pene unico come è accaduto per evoluzione convergente nei mammiferi placentati; infine, l’ opossum del miele, Tarsipes rostratus, non ha neanche il glande.
I testicoli sono generalmente all’interno del corpo dell’animale nei marsupiali più piccoli, ma nei canguri, di solito, i testicoli sono posti esternamente alla cavità addominale in uno scroto. A differenza dei mammiferi placentati, tuttavia, lo scroto è posto anteriormente al pene. Nel ratto-canguro muschiato, addirittura, una estensione posteriore dell’epididimo, separata da una strozzatura dal resto del contenuto dello scroto, ha l’apparenza di un secondo scroto dietro il pene.
Un problema sicuramente, ma niente in confronto ai problemi dell’antechino marrone (Antechinus subropicus), che spende talmente tante energie alla ricerca di una femmina, nella lotta con gli altri maschi, nella copula che dura 12 ore, che muore poco dopo, soccombendo anche all’innunodepressione indotta dallo sbilanciamento ormonale: per quando tutte le femmine in media sono incinte, non ci sono più maschi in giro. Ancora una volta, noi umani abbiamo poco di cui lamentarci.
Tratto da L’orologiaio miope, il blog di Lisa Signorile.
1) un paio di testicoli, che possono essere esterni, come nel caso dei primati o dei carnivori (boreoeuteri terrestri), o interni (della posizione se ne parlerà in seguito);
2) vasi efferenti, che si raccolgono a formare l’epididimo intorno ai testicoli, dove il liquido seminale matura, e vasi deferenti, che portano lo sperma verso l’esterno durante l’eiaculazione. In tutti i mammiferi i vasi deferenti confluiscono nella porzione terminale dell’uretra, adattamento convergente con gli animali dotati di cloaca come rettili e uccelli per cui nei maschi dei mammiferi, ma non nelle femmine, liquido seminale e urina fuoriescono dalla stessa apertura.
3) tre set di ghiandole che formano il medium adatto per la sopravvivenza e il cammino degli spermatozoi lungo le vie genitali femminili: vescicole seminali, prostata e ghiandole bulbouretrali
4) un organo intromittente (pene) al cui centro passa l’uretra circondata dal corpo spugnoso (mentre negli altri amnioti, ad eccezione dei serpenti e delle lucertole, il canale che porta lo sperma è una grondaia esterna); è dotato di: a) ben due corpi cavernosi (una sola struttura erettile negli altri amnioti) che consentono l’aumento di volume dell’organo in erezione; b) di fibre collagene a strati alterni che conferiscono rigidità; c) a volte, di un osso penico (baculum) per aumentare ulteriormente la rigidità, di cui si parlerà nel prossimo post; d) spesso, di ornamentazioni interessanti per trattenere la femmina e/o aumentare la durata della copula; e) una porzione terminale allargata ed erettile detta glande.
Il pene dei mammiferi non deriva, dal punto di vista embriologico, dalla cloaca, che non esiste più, ma da connettivo posto tra l’ombelico e l’ano. Per un certo punto della vita embriologica di un mammifero, tuttavia, l’uretra è a grondaia sulla superficie ventrale.
Questa immagine illustra la struttura di massima. Esistono però notevoli variazioni in base ai gruppi, e molteplici differenze anche all’interno dei vari gruppi. Ricordo che nella classe dei mammiferi esistono tre ordini: i monotremi, i marsupiali e i placentati; vediamoli in rassegna.
I monotremi superstiti sono le quattro specie di echidna e l’unica specie di ornitorinco e mi sono sempre chiesta perchè sono classificati tra i mammiferi, visto che fanno le uova. Si, ok, allattano e sono pelosi, ma non hanno neanche le ghiandole mammarie che danno il nome al clade. La parte interessante in questo contesto è lo stranissimo pene dell’echidna, dotato di ben quattro punte sul glande, laddove la femmina ha solo due vagine. Unici tra i mammiferi, i monotremi hanno la cloaca come i rettili e all’interno di questa cloaca vi è il pene, esattamente come accade per rettili ed uccelli, che viene estroflesso solo durante la copula; ovviamente embriologicamente il pene deriva dalla cloaca. Le somiglianze tra monotremi e rettili sono moltissime e impressionanti, per questo qualcuno parla (impropriamente ed erroneamente) di anello di congiunzione tra rettili e mammiferi.
Comunque sia, i conti non tornano: quattro terminazioni del pene su un tronco unico, e due vagine. Come mai? Per un lungo periodo di tempo è rimasto un mistero. Le elettrostimolazioni applicate ai poveri animali per cercare di indurre l’eiaculazione non servivano e tutto quello che si riusciva ad ottenere era che il pene con tutte e quattro le punte a “rosetta” si ingrandisse enormemente, al punto di non entrare nelle vagine femminili. Ancora una volta è un carattere rettiliano a spiegare l’enigma, grazie ad un maschietto di echidna di uno zoo australiano. Questo esemplare diciasettenne infatti esibiva d’abitudine erezioni quando veniva manipolato per esibizioni davanti al pubblico e venne allora condizionato dai keeper ad arrivare all’eiaculazione (qui un’immagine). Steve Johnston dell’Università del Queensland ha dimostrato, studiando questo animale, che il pene dell’echidna, che è lungo ben un quarto del corpo dell’animale, si comporta come quello dei serpenti, ovvero è duplice e ogni emipene viene usato alternativamente Pikaia ne ha parlato qui). In questo caso però i due emipeni dei serpenti sarebbero fusi nel pene unico dell’echidna, ma rimangono “biforcuti” all’estremità. Ogni estremità a sua volta à biforcuta per consentire la doppia penetrazione nelle due vagine femminili.
In pratica, ad ogni atto sessuale o le due punte di destra o le due di sinistra, alternativamente, ruotando in posizione centrale, penetrano la femmina, mentre le altre due scompaiono. Ogni femmina di echidna è seguita da un treno di anche 11 maschi in fila indiana, col dominante avanti. Con tanta competizione, la possibilità di paternità è ridotta. Di conseguenza, tocca agli spermatozoi lottare per gli ovuli (competizione spermatica). Ciò è reso possibile dall’aggregazione degli spermatozoi in fasci che nuotano con un battito coordinato conferendo una grande velocità ai gameti. La copula in se dura anche molto, dai 30 minuti alle tre ore, per dare tempo agli spermatozoi di arrivare a destinazione. Tra l’altro, le ghiandole accessorie che facilitano la vita agli spermatozooi nelle echidne sono poco o niente sviluppate per cui i fasci spermatici servono anche a proteggere gli spermatozoi centrali dall’acido delle vie genitali femminili. I testicoli dei monotremi sono interni al corpo e posizionati nella cavità addominale, come accade per rettili ed uccelli.
Per quanto riguarda l’ornitorinco, poche informazioni sono disponibili. Il pene comunque dovrebbe avere solo due punte, anche in considerazione del fatto che nella femmina una sola ovaia, la sinistra, è funzionale, mentre la destra degenera un po’ come accade negli uccelli.
L’apparato riproduttore maschile dei marsupiali è condizionato dall’anatomia femminile (qui un’immagine), com’è logico aspettarsi. Dalle due ovaie si dipartono due uteri connessi a due vagine, messe in comunicazione da un canale centrale attraverso il quale passa l’embrione al momento del parto. Essendoci quindi due uteri, è necessario fertilizzare entrambe le vagine, ed è quindi necessario avere due peni allo scopo, o meglio un unico pene biforcuto con un’uretra in ogni terminazione (qui un’immagine). A prima vista quindi il pene dei marsupiali ricorda quello biforcuto di alcuni serpenti ma a differenza di questi entrambe le terminazioni vengono usate contemporaneamente. Tutti i marsupiali sudamericani e molti di quelli australiani hanno il pene bifido; nei koala e nei wombat è solo parzialmente suddiviso; i macropodidi invece (canguri vari, wallabies, bettong, potoroos, canguri arboricoli e pademelons) hanno il pene unico come è accaduto per evoluzione convergente nei mammiferi placentati; infine, l’ opossum del miele, Tarsipes rostratus, non ha neanche il glande.
I testicoli sono generalmente all’interno del corpo dell’animale nei marsupiali più piccoli, ma nei canguri, di solito, i testicoli sono posti esternamente alla cavità addominale in uno scroto. A differenza dei mammiferi placentati, tuttavia, lo scroto è posto anteriormente al pene. Nel ratto-canguro muschiato, addirittura, una estensione posteriore dell’epididimo, separata da una strozzatura dal resto del contenuto dello scroto, ha l’apparenza di un secondo scroto dietro il pene.
Un problema sicuramente, ma niente in confronto ai problemi dell’antechino marrone (Antechinus subropicus), che spende talmente tante energie alla ricerca di una femmina, nella lotta con gli altri maschi, nella copula che dura 12 ore, che muore poco dopo, soccombendo anche all’innunodepressione indotta dallo sbilanciamento ormonale: per quando tutte le femmine in media sono incinte, non ci sono più maschi in giro. Ancora una volta, noi umani abbiamo poco di cui lamentarci.
Tratto da L’orologiaio miope, il blog di Lisa Signorile.