L’origine degli eucarioti: da predazione a simbiosi tra procarioti

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Indubbiamente l’anno darwiniano sta portando alla pubblicazione di numerosi articoli di grandissimo interesse, anche se può essere difficile tenere il ritmo e leggerli tutti. Tra le pubblicazioni che mi ero perso c’è indubbiamente il fascicolo di luglio della rivista Bioessays che presenta diversi articoli che meritano di essere letti. Due interessanti articoli sono dedicati al ruolo dei trasposoni nel generare […]

Indubbiamente l’anno darwiniano sta portando alla pubblicazione di numerosi articoli di grandissimo interesse, anche se può essere difficile tenere il ritmo e leggerli tutti. Tra le pubblicazioni che mi ero perso c’è indubbiamente il fascicolo di luglio della rivista Bioessays che presenta diversi articoli che meritano di essere letti. Due interessanti articoli sono dedicati al ruolo dei trasposoni nel generare innovazioni a livello genomico ed in particolare merita di essere letto l’articolo intitolato “Transposable elements and an epigenetic basis for punctuated equilibria” scritto da David W. Zeh, Jeanne A. Zeh e Yoichi Ishida.

L’articolo che però ho trovato di maggiore interesse riguarda l’origine degli eucarioti che Yaacov Davidov e Edouard Jurkevitch affrontano nel loro saggio intitolato “Predation between prokaryotes and the origin of eukaryotes”.

L’origine degli eucarioti è rimasta per molto tempo uno dei problemi più enigmatici e controversi della biologia e sembrava difficile riuscire a spiegare la comparsa di tutte le numerose differenze che distinguono procarioti ed eucarioti, tra cui la presenza del nucleo, il reticolo endoplasmatico, lo splicing degli RNA messaggeri ed i mitocondri (semplicemente per citarne alcune).

La ricerca di una risposta a questo grande quesito non si trovava neppure nello studio dei procarioti dato che, fatto salvo alcune aspetti (tra cui la presenza di strutture simil-nucleari e di membrane interne), non si riusciva a trovare forme intermedie tra procarioti ed eucarioti che potessero fare luce sull’origine degli eucarioti. In realtà la risposta era difficile da trovare proprio perché era sbagliato l’approccio e si cercavano forme di transizione che nella realtà non sono mai esistite nel corso della storia della vita. Numerosi dati mostrano, infatti, che la cellula eucariotica si è originata dalla fusione di due procarioti: un Archea ed un endosimbionte batterico. Poiché i procarioti non sono in grado di realizzare la fagocitosi, rimane tuttavia ancora da capire in che modo l’endosimbionte batterico è entrato nella cellula dell’ospite e numerosi gruppi di ricerca stanno lavorando per fornire una risposta a questo difficile quesito.

Nel loro saggio, Davidov e Jurkevitch suggeriscono che la fusione possa essere avvenuta per predazione, processo a seguito del quale un alfa-proteobatterio aerobio è entrato in una Archea per replicarsi al suo interno. A seguito di questo processo, il batterio da potenziale parassita è divenuto un simbionte che poi si è evoluto nel mitocondrio.

L’idea dell’origine simbiotica dei mitocondri era stata suggerita per la prima volta da Lynn Margulis oltre 40 anni, ma numerosi dubbi rimanevano irrisolti ed in particolare per molto tempo è stato difficile definire se l’acquisizione dei mitocondri sia stata una delle prima tappe verso l’evoluzione degli eucarioti (mitochondrion-early hypothesis) o se fosse avvenuta quando gli Archea (da cui sono poi derivati gli eucarioti) avevano già evoluto un citoscheletro di base, il nucleo e la capacità di fare entrare anche strutture grandi tramite fagocitosi, meccanismo chiave per spiegare l’ingresso di un batterio all’interno dell’Archea (mitochondrion-late hypothesis). Tuttavia poter realizzare la fagocitosi significa avere un complesso apparato citoscheletrico oltre che lisosomi e vacuoli, motivo per cui molti autori ritengono che questa capacità (che è assente nei procarioti) si sia evoluta tardivamente rispetto all’origine degli eucarioti.

Al contrario, interazioni di tipo predatorio sono frequenti nei procarioti e probabilmente lo erano ancora di più prima dell’evoluzione degli eucarioti. Tra i predatori più studiati vi sono indubbiamente i batteri del genere Bdellovibrio che sono in grado di invadere le loro prede e di replicarsi nel periplasma della cellula ospite. Un ulteriore esempio è dato da Midichloria mitochondrii, studiata da anni da Luciano Sacchi e Claudio Bandi, che è in grado di agire come predatore dei mitocondri.

L’idea dell’origine dei mitocondri per predazione era stata proposta per la prima volta dalla Margulis, ma poi era stata scartata perché erano state scoperte cellule eucariotiche senza mitocondri e i mitocondri derivano da alfa-proteobatteri, mentre tutti i batteri noti sino a poco tempo fa come predatori erano invece delta-proteobatteri. Al contrario, oggi sappiamo che esistono anche alfa-proteobatteri con attività predatoria e che le cellule eucariotiche prive di mitocondri contengono in realtà organelli derivati dai mitocondri (quali i mitosomi e gli idrogenosomi), motivo per cui l’idea di Lynn Margulis è oggi più vitale che mai.

L’ultimo aspetto che Davidov e Jurkevithc affrontano è legato alle caratteristiche dell’Archea in cui i mitocondri si sono sviluppati: era aerobio o anaerobio? Secondo i due autori l’ospite era anaerobio e la presenza di crescenti quantità di ossigeno nell’atmosfera rappresentò probabilmente un “impulso all’evoluzione dei mitocondri”.

A seguito dell’instaurarsi della simbiosi, ospite e batterio hanno iniziato a coevolvere e questo processo di interazione potrebbe essere stato favorito da un massivo trasferimento di geni dal batterio al genoma dell’ospite,  sebbene tutti i geni implicati nei processi di trascrizione, traduzione, replicazione e riparo del DNA siano esclusivamente dovuti all’Archea e non al batterio. Parallelamente si è avuta una progressiva specializzazione funzionale che ha portato il batterio ad evolvere da simbionte ad organello, anche grazie al fatto che la cellula ospite era andata acquisendo una netta compartimentalizzazione, tappa essenziale per proteggere il DNA da danni derivanti a radicali dell’ossigeno prodotti durante la respirazione mitocondriale. Numerosi geni derivanti dal batterio simbionte sono però rimasti presenti negli eucarioti ed in particolare sono stati conservati tutti quei geni che permettevano di sfruttare al meglio il mitocondrio come sorgente di energia.

Come suggeriva Francois Jacob in Evoluzione bricolage (pag.119) “la natura funziona per integrazioni” e nuovi livelli di organizzazione si possono evolvere quando due elementi che competono iniziano a collaborare portando il sistema ad un nuovo livello, in cui “vengono usati come ingredienti certi sistemi del livello inferiore, ma certi soltanto”. L’origine della cellula eucarioti è probabilmente l’esempio migliore per attestare i vantaggi e le potenzialità evolutive dell’interazione simbiotica e dimostrare ulteriormente come alcuni processi non siano stati affatto graduali, ma caratterizzati dalla comparsa di nuove strutture senza alcuna forma di transizione.

Un aspetto che rende l’evoluzione tramite simbiosi ancora più intrigante è legato al fatto che, come suggerito recentemente da James Lake, i batteri da cui derivano i mitocondri sembrerebbero essere a loro volta frutto di una simbiosi tra procarioti. Come suggerito da Carl Zimmer  nel saggio intitolato “Microbes Within Microbes Within Microbes” pubblicato sull’ultimo numero di Science quindi “le nostre cellule non sono soltanto microbi fusi con altri microbi, ma microbi integrati con microbi integrati con microbi (“microbes within microbes within microbes”) seguendo una sorta di modello a matrioska tramite cui si è evoluta la vita nel corso del tempo.

Mauro Mandrioli