L’orologio della vita evolve: come la plasticità fenotipica modella la longevità
Uno studio ha mostrato che la durata della vita (lifespan) di un organismo covaria con la sua capacità di cambiare fenotipo ripetutamente. Diversi contesti ecologici, in virtù delle loro fluttuazioni ambientali, rendono più o meno vantaggiosa la plasticità fenotipica e, di conseguenza, permettono l’evoluzione di differenti lifespan e comportamenti riproduttivi
È ormai ben noto da tempo il fenomeno della plasticità fenotipica, che si verifica quando organismi che condividono il medesimo genotipo, posti in diverse condizioni ambientali, producono fenotipi (morfologici, fisiologici o comportamentali) diversi. In realtà, l’idea alla base della plasticità fenotipica è ancora più fine: il cambiamento fenotipico, infatti, non può avvenire in una direzione qualsiasi, ma deve essere tale da aumentare la fitness dell’individuo nel nuovo ambiente. In altre parole, l’insieme di fenotipi permesso da un certo genotipo è di per sé un tratto fenotipico; questo adattamento risulta estremamente efficacie e benefico quando gli organismi prosperano in contesti ecologici soggetti a ripetuti cambiamenti. L’utilizzo che le specie fanno della plasticità fenotipica è assai variegato: in alcuni casi, ad esempio, esso è ristretto soltanto a certe fasi della loro vita.
I modelli teorici indicano che la plasticità fenotipica reversibile, in cui un organismo cambia ripetutamente il proprio fenotipo lungo il corso della sua vita, evolve in quegli organismi che hanno una durata della vita (un lifespan da qui in avanti) sufficientemente esteso da esporre l’organismo stesso a diversi cicli di fluttuazione ambientale. Per metterla in parole più semplici, cambiare fenotipo ripaga – a livello di fitness – soltanto se vivi abbastanza a lungo da dover far fronte a numerose modificazioni del tuo ambiente. La versione ortodossa di questa teoria vede dunque un lifespan lungo come la condizione di partenza, sulla quale, poi, un ambiente particolarmente cangiante avrebbe favorito l’evoluzione della plasticità fenotipica reversibile.
Un recente studio pubblicato su Nature Communications cerca di rispondere alla domanda: può la plasticità fenotipica reversibile promuovere l’evoluzione di lifespan più lunghi, e quindi di organismi più longevi? Secondo quanto emerge dallo studio in questione, la risposta risulta essere affermativa. Per comprendere ciò che i ricercatori hanno fatto, è necessario analizzare gli assunti sui quali hanno modellato la simulazione.
Si è partiti da una popolazione di individui che si riproducono asessualmente, e di ognuno di essi si conosceva il fenotipo, il genotipo e il successo riproduttivo. E’ stato poi generato un ambiente, chiamato E, che subiva delle fluttuazioni climatiche (e non) di entità e con velocità diverse (il parametro p, indicato nello studio, è una misura di quanto prevedibile sia l’ambiente: un alto valore di p indica un ambiente estremamente prevedibile, e viceversa). Ogni individuo possedeva due geni: u e r. Il primo stabiliva quante volte il fenotipo avrebbe subito modificazioni nel corso della vita dell’organismo; il secondo, invece, indicava le energie devolute alla riproduzione. Poiché la quantità di energia disponibile per ogni individuo è limitata, esiste un compromesso tra plasticità (u) e riproduzione (r), che dipenderà dall’ambiente e dalle sue caratteristiche. Inoltre, gli autori sono stati in grado di inserire una vera e propria forma di senescenza nella simulazione: più tempo trascorreva dall’ultima modifica fenotipica, più aumentava il mismatch (o non corrispondenza) tra individuo e ambiente, conducendo ad un invecchiamento dell’organismo.
Ogni individuo poteva, allo step temporale successivo, decidere se cambiare o meno il proprio fenotipo, pagando un prezzo. Una quantità, definita come ε, forniva una misura dell’errore del cambiamento fenotipico, ovvero la probabilità di modificare le proprie sembianze in modo non adeguato – il che, ovviamente, conduceva ad una riduzione della fitness. La simulazione è stata fatta proseguire per 50.000 generazioni, al termine delle quali sono stati analizzati tutti gli individui presenti, decifrandone genotipo (u e r), età massima raggiunta e dimensione della covata (che fornisce una misura di successo riproduttivo). Un esempio, questo, di evoluzione in silico.
I risultati sembrano dar man forte all’ipotesi iniziale dei ricercatori: in determinate circostanze ambientali, la plasticità fenotipica reversibile promuove un aumento della longevità degli organismi. Come si evince dallo studio, infatti, quando un ambiente è molto prevedibile (p elevato), gli organismi evolvono poca o nulla plasticità fenotipica. Tuttavia, poiché il mismatch con l’ambiente aumenta con il passare del tempo, questi organismi, nelle loro fasi più avanzate di vita, risulterebbero poco adeguati all’ambiente. Per far fronte a questo problema, evolvono lifespan più corti e un impegno riproduttivo concentrato nelle prime fasi della loro vita, quando ancora sono ben adeguati alle circostanze ambientali. Si parla di short life histories, in questo caso. Quando l’ambiente, invece, è estremamente imprevedibile (ridotti valori di p), è più vantaggioso per gli organismi allocare maggiori risorse energetiche alla plasticità fenotipica, cambiando ripetutamente fenotipo (purché l’errore di questo cambiamento, cioè ε, sia sufficientemente basso). Ovviamente questi organismi rimangono con meno energie da riservare alla riproduzione. Evolvono di conseguenza dei lifespan più lunghi, diventano più longevi, e producono generalmente meno prole.
Nonostante le eccezioni e i casi particolari di questa simulazione siano numerosi (si pensi, ad esempio, agli effetti che ha l’errore di cambiamento nel quadro generale, per cui si rimanda all’articolo originale), è interessante concepire la possibilità almeno teorica che la longevità degli organismi non sia solo il punto di partenza per evolvere (o meno) la plasticità fenotipica, ma che sia possibile anche il contrario. Le frecce causali tra longevità e plasticità fenotipica puntano in entrambe le direzioni: è certo vero che lifespan lunghi permattono l’evoluzione di plasticità fenotipica reversibile, ma è anche vero che le pressioni selettive a favore della plasticità fenotipica reversibile possano comportare una modificazione dell’orologio della vita degli organismi. Il tutto, ovviamente, dipende sia dalle specifiche condizioni ambientali che dalle caratteristiche genotipiche/fenotipiche degli organismi stessi.
Fonte:
Irja I. Ratikainen, Hanna Kokko. The coevolution of lifespan and reversible plasticity, Nature Communications. 2019, 10: 538.