Massa encefalica e corporea: una relazione fraintesa?
Uno studio pubblicato su Science Advances mette in discussione l’assunto, ampiamente accettato, che animali con l’encefalo grande rispetto al corpo siano sempre più intelligenti.
Forti del nostro cervello grande e sviluppato, facciamo presto a guardare dall’alto in basso animali che hanno, per così dire, la testa più leggera della nostra. Anche la scienza ci giustificava: per anni abbiamo usato la grandezza del cervello, o per meglio dire dell’encefalo (tutto ciò che è contenuto nella scatola cranica) in relazione alle dimensioni del corpo di un animale per dire se quella specie fosse più o meno intelligente. Stiamo parlando di una misura chiamata EQ (encephalization quotient), che confronta il rapporto tra massa encefalica e corporea di un animale al valore atteso nel suo gruppo. Un encefalo più pesante rispetto al corpo, quindi, vorrebbe dire migliori capacità cognitive. Forse.
Un gruppo di ventidue scienziati, specialisti in varie declinazioni di antropologia, biologia e paleontologia, ha riesaminato l’evoluzione delle dimensioni encefaliche nei mammiferi. Lo studio, pubblicato il 28 aprile su Science Advances, ha come primo autore Jeroen B. Smaers, professore di antropologia alla Stony Brooks University dello Stato di New York. Il gruppo ha usato dati in letteratura su più di 1400 specie di mammiferi, viventi o estinti (per quest’ultimi si considerava non la massa encefalica, ma il volume endocranico), e li ha usati per tracciare i percorsi evolutivi degli encefali di questi mammiferi, ricostruendone la crescita o diminuzione relativa negli anni. Le informazioni raccolte hanno messo in dubbio l’interpretazione accettata del rapporto EQ. Non è detto, infatti, che un encefalo pesante sia stato selezionato per crescere: potrebbe essere stato il corpo, invece, a rimpicciolire.
A ognuno il suo encefalo
Il rapporto EQ ha dei limiti, ma non è senza razionale. Si ritiene che lo sviluppo encefalico sia limitato da requisiti energetici comuni a tutti i vertebrati: la conduzione di impulsi elettrici, principale funzione dei neuroni, costa molta energia. La selezione di un encefalo più grande o più piccolo dipenderà quindi dalle necessità dell’animale e dalle risorse che può dedicare a nutrirlo.
Confrontare gli encefali di animali diversi, poi, ha senso perché la struttura di base è sostanzialmente la stessa. Questo è vero soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo, in cui troviamo le stesse suddivisioni embrionali in tutti i vertebrati; anche ad animale adulto, ogni vertebrato avrà strutture omologhe divise in un tronco encefalico, in diretto collegamento con il midollo spinale, e in centri soprassiali (di cui fa parte il cervello vero e proprio).
L’encefalo di noi mammiferi, oggetto dello studio, ha qualcosa che manca nelle altre classi: una neocorteccia, ben sei strati di neuroni che troviamo nel telencefalo (la sezione dei centri soprassiali dedicata all’integrazione superiore delle funzioni nervose). Ciò non vuol dire che l’encefalo dei mammiferi sia migliore o “più evoluto”, come si credeva un tempo, ma semplicemente che si è sviluppato in questa direzione. Smaers e colleghi hanno ipotizzato che sia proprio questo strato a permettere ai mammiferi la relativa variabilità di dimensioni che troviamo nei vari gruppi, maggiore ad esempio rispetto agli uccelli.
È possibile che il periodo seguito all’estinzione dei dinosauri sia stato fondamentale per l’evoluzione encefalica dei mammiferi. Smaers e colleghi, infatti, hanno trovato in questo lasso di tempo molti cambiamenti relativi tra corpo ed encefalo dei mammiferi, soprattutto in direzione di encefali più grandi; l’espansione verso nuove nicchie ecologiche che avvenne allora sembra avere influito molto sul peso di quel che abbiamo nel cranio, anche se molti fattori possono avere un ruolo.
Storie di encefali
Attualmente, i mammiferi con gli encefali più grandi rispetto al corpo sono elefanti, odontoceti e ominidi. Secondo Smaers e colleghi, nessuno di questi gruppi è arrivato a questo rapporto allo stesso modo, con ulteriori differenze tra delfini e altri odontoceti e tra hominini (genere Homo e scimpanzé) e altri ominidi. Gli elefanti hanno avuto il percorso più semplice, aumentando negli anni la massa corporea e ancor più quella encefalica; gli altri gruppi hanno evoluto il rapporto meno linearmente. Hominini e delfini, oltre ad avere in relazione gli encefali più pesanti tra le specie dall’encefalo pesante, sono stati gli unici a vedere il proprio corpo rimpicciolire mentre l’encefalo cresceva. Ciò che accomuna tutti questi gruppi è che sembrano essersi originati nel periodo del Neogene. Ancora una volta, un periodo di grandi cambiamenti come una transizione tra periodi geologici (stavolta, Paleogene-Neogene) potrebbe aver indirizzato le evoluzioni encefaliche.
Gli animali con gli encefali piccoli rispetto al corpo (soprattutto animali di piccole dimensioni, tra cui roditori e pipistrelli) sembrano aver seguito percorsi speculari, più uniformi rispetto a quelli con l’encefalo grande. In generale, questi gruppi avrebbero diminuito la massa di corpo ed encefalo, ma più velocemente quella encefalica. Questo fa ritenere che sia più problematico rimpicciolire oltre un certo punto il corpo rispetto all’encefalo.
Un futuro diverso per EQ
Secondo Smaers e colleghi, spesso è l’adozione di un nuovo modo di muoversi che fa variare il rapporto, cosa vista ad esempio nei pinnipedi (foche, otarie e trichechi): quando hanno cambiato le loro zampe in pinne, adattandosi alla vita semiacquatica, i loro corpi hanno registrato una nuova variabilità di dimensioni, che si è riflessa nei rapporti dimensionali tra corpo ed encefalo. Al contrario, il gruppo critica l’utilizzo di EQ per valutare le funzioni cognitive: le pressioni selettive che influenzano il rapporto sarebbero troppo varie tra i vari gruppi, e non agirebbero solo sull’encefalo ma anche sul corpo dei mammiferi. In più, diverse regioni dell’encefalo si sviluppano diversamente nei vari animali; considerare soltanto la massa totale sarebbe riduttivo.
Con questo studio, Smaers e colleghi non intendono rendere EQ, e in generale lo studio delle dimensioni relative di corpo ed encefalo, obsoleti; al contrario, propongono che questa misura, se usata correttamente, possa darci informazioni non solo sulla cognizione, ma in generale sugli adattamenti che hanno causato le differenze relative. Per misurare le abilità cognitive, dovremmo invece considerare che regioni encefaliche diverse controllano diverse funzioni, e quindi confrontare quali regioni (e quindi, quali funzioni) sono sviluppate più o meno in diverse specie.
Nella scienza, fare nuove scoperte è importante quanto verificare le vecchie nozioni: la conoscenza è un edificio che si costruisce negli anni con il contributo di molti, e dobbiamo stare attenti a non incorporare “mattoni scadenti”. In alcuni casi, come in questo, è necessario andare oltre il sapere accettato, e spremerci di più le meningi.
Riferimenti: Smaers, J. B., et al. “The evolution of mammalian brain size.” Science Advances, vol. 7, no. 18, 1 Apr. 2021, p. eabe2101, doi:10.1126/sciadv.abe2101.
Immagine: di Gordon Johnson da Pixabay
Ho un master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara, e ho scritto per le riviste online Il Tascabile e Agenda17, oltre che per Pikaia. Sono medico e lavoro come specializzando in Genetica medica con l’Università di Pavia. Scrivo anche narrativa, e ho pubblicato due racconti nelle raccolte dei concorsi Caratteri di uomo e di donna del 2018 e Oltre il velo del reale del 2022.