Non era uno squalo bianco gigante: il vero volto del Megalodon

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Per anni è stato immaginato come una versione gigantesca dello squalo bianco, ma nuove scoperte suggeriscono che il Megalodonte fosse molto diverso: più agile e ancora più imponente

Da molti anni si tenta di ricostruire uno squalo gigante vissuto circa quindici milioni di anni fa: Otodus megalodon, il Megalodonte. Lo conosciamo quasi solo attraverso i suoi denti, perché lo scheletro cartilagineo non si fossilizza…salvo qualche raro caso.

Nel 1996 è stata trovata in Belgio una colonna vertebrale incompleta, lunga circa 11 metri: un ritrovamento eccezionale. Da qui, una serie di studi ha cercato di ricostruire con più precisione come doveva essere il Megalodonte, incluse le sue dimensioni. Ma secondo uno studio recentemente pubblicato su Paleontologia Electronica queste ricostruzioni sono da rivedere.

“Circa trent’anni fa si pensava che il bianco fosse una versione miniaturizzata del Megalodon. Oggi sappiamo che non è così” spiega il dottor Alberto Collareta dell’università di Pisa, unico italiano a far parte del team di 26 scienziati internazionali autori della ricerca.

Un modello sbagliato

Nei decenni i paleontologi hanno tentato di ricavare le dimensioni del Megalodon sulla base della taglia dei denti e delle poche vertebre isolate che sono giunte fino ai nostri giorni, ma lo hanno fatto prendendo a modello lo squalo bianco. Il Megalodon fa parte dello stesso ordine, ma non sono parenti molto stretti e appartengono a due famiglie diverse.

Spiega Collareta:

“Non c’è ragione di pensare che il Megalodon fosse particolarmente simile allo squalo bianco: la stima della lunghezza totale dell’esemplare belga sulla base del diametro delle vertebre e del ‘modello squalo bianco’, ha restituito una lunghezza totale di soli 9,2 metri – un valore molto minore della lunghezza della sola colonna vertebrale incompleta!”

Entrambe le specie presentano grandi denti triangolari, compressi, dai margini taglienti denticolati, e questo ha portato in passato a classificare il Megalodonte nello stesso genere dello squalo bianco (Carcharodon). Ma ricostruire il Megalodon come una specie di squalo bianco gigante restituirebbe un predatore goffo, lento, idrodinamicamente svantaggiato. Lo studio propone una nuova ricostruzione.

“Abbiamo abbandonato il modello squalo bianco e abbiamo provato a ricostruire il Megalodon come un lamniforme generico, escludendo piani corporei molto peculiari come quello dello squalo volpe, caratterizzato da una coda molto allungata. Ne abbiamo ottenuto un animale slanciato, che nel caso dell’esemplare belga avrebbe potuto raggiungere i 16 metri di lunghezza. Gli individui più grandi, le cui dimensioni sono state stimate sulla base di grandi vertebre isolate rinvenute in Danimarca, avrebbero potuto superare i 24 metri di lunghezza, corrispondenti a una massa corporea di 94 tonnellate.”

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Abitudini cruente ed estinzione misteriosa

Dalle radiografie sulle vertebre dell’esemplare belga i ricercatori hanno potuto contare le bande di accrescimento, che funzionano un po’ come gli anelli degli alberi, stabilendo che l’animale aveva 46 anni. Da qui, hanno tentato di estrapolare la relazione tra età e taglia del Megalodon. In base a questi calcoli, alla nascita i piccoli misuravano già tre metri e mezzo, come squali bianchi adolescenti. Questa taglia suggerisce una modalità di riproduzione ovovivipara e fenomeni di cannibalismo intrauterino, in cui gli embrioni più sviluppati si nutrivano dei fratelli non ancora nati.

“Anche se molto diverso dallo squalo bianco nella taglia e nella forma corporea, il Megalodonte avrebbe potuto occupare una nicchia trofica sovrapponibile in parte a quella propria dello squalo bianco” sottolinea il ricercatore. Ci fu anche un breve periodo di convivenza tra le due specie intorno a circa cinque milioni di anni fa. La somiglianza tra i loro denti è un caso di convergenza evolutiva risposta a pressioni selettive simili.”

Dopo questa breve convivenza, del Megalodonte non si ha più nessuna traccia. Possiamo solo ipotizzare quali siano state le cause dell’estinzione di questo gigante del passato: competizione con lo squalo bianco, cambiamenti climatici, turnover faunistico tra i principali gruppi di prede… Capire le cause dell’estinzione, individuare i momenti di speciazione, correlare, raggruppare e confrontare le specie di squali passate e presenti resta ancora molto complesso. Forse, grazie all’applicazione di nuove tecnologie, sarà possibile svelare ciò che al momento resta incerto.

Conclude il prof. Collareta:

“Con qualche rara eccezione, degli squali del passato possiamo soltanto seguire l’evoluzione della dentatura. Immaginate di dover ricostruire la storia evolutiva dell’uomo esclusivamente sulla base dei denti!”