Migrare 70 milioni di anni fa: scoperto il più antico sito di nidificazione polare degli uccelli

La straordinaria scoperta del più antico sito di nidificazione di avifauna cretacica a latitudini polari getta una nuova luce sia sull’evoluzione degli uccelli sia sull’evoluzione della loro strategia migratoria che osserviamo ancora oggi
All’arrivo della bella stagione nell’emisfero boreale, una moltitudine di uccelli raggiunge dopo voli di migliaia (o decine di migliaia) di chilometri le latitudini artiche. Le elegantissime oche delle nevi, le instancabili sterne artiche, gli imperscrutabili albatros, persino i chiassosissimi combattenti, tutti accomunati dalla stessa strategia: migrare in primavera al circolo polare artico per accoppiarsi e nidificare.
Qui, infatti, approfitteranno dell’abbondanza data da 6 mesi ininterrotti di luce che farà crescere la vegetazione, riempirà l’aria di succosi insetti e garantirà le migliori condizioni per i nasciutri. Uno spettacolo magnifico (purtroppo sempre più intralciato dalle nostre svariate attività di disturbo degli ecosistemi e, ovviamente, dal riscaldamento globale) che ora sappiamo essere parecchio antico.
Su Science, infatti, è da poco uscito un articolo che parla di una scoperta sorprendente: il sito di nidificazione polare di uccelli più antico mai scoperto.
Gli scienziati hanno analizzato il ricco giacimento fossile di Prince Creek Formation in Alaska, a 70° latitudine Nord, trovando non solo molte ossa fossili riconducibili ad uccelli di circa 70 milioni di anni fa, ma anche diversi frammenti fossili dei loro pulcini e, addirittura, di piccoli mai schiusi. Infatti, alcuni fossili di ossa particolarmente porose sulla superficie esterna, rivelano un processo di vascolarizzazione tipico delle prime fasi di sviluppo dei pulcini. Gli scienziati quindi non hanno avuto dubbi nel determinare la presenza di individui nati sul posto e quindi conseguenza di una nidificazione.
I fossili rinvenuti sono riconducibili a tre gruppi di Euorniti (il gruppo al quale appartengono anche gli uccelli moderni) e, in particolare, a Esperorniti, Ictiorniti e ad uccelli a metà strada tra questi gruppi e i più familiari Neorniti (gli uccelli odierni). Proprio questi fossili particolari hanno sorpreso i ricercatori. Presentano, infatti, caratteristiche transizionali da gruppi più arcaici come appunto Ictiorniti ed Esperorniti a i più derivati Neorniti, che gli scienziati hanno ricondotto a probabili Neorniti basali, appena prima dei Galloanseri, gruppo comprendente gli antenati in comune di Galliformi e Anseriformi odierni. Scoperta che va a riempire uno spazio vuoto nella nostra conoscenza dell’evoluzione proprio degli uccelli.
Uguali ma diversi
Per i non addetti ai lavori (tipo il sottoscritto) i nomi possono disorientare ma credetemi se vi dico che a vederli tutti insieme a volare, immergersi in acqua e starnazzare con i vicini, gli esponenti di questi tre gruppi vi sarebbero sembrati tutti solamente degli uccelli e non sareste stati in grado di dire con facilità chi tra questi sia un “uccello in divenire” e chi, invece, sia un “dinosauro con le piume”. In effetti il confine non solo è sottile ma proprio non esiste. Questi tre gruppi sono di fatto dinosauri aviani e l’unico che sopravviverà all’estinzione di fine Cretaceo sarà quello che darà origine a quella radiazione adattativa di dinosauri che noi (arrivati dopo e senza aver mai visto vivo un tirannosauro) abbiamo chiamato uccelli. Anche se, nel caos di piume e penne, potreste notare un paio di differenze: Esperorniti e Ictiorniti hanno si il becco ma irto ancora di denti. Questo li rende un po’ diversi e forse anche un po’ più inquietanti rispetto ai nostri sdentati e rassicuranti Neorniti. Inoltre, questi due gruppi non hanno il pigostilo, cioè la parte terminale della colonna vertebrale fusa in modo molto simile al nostro coccige ma, anzi, hanno ancora una piccola coda da rettile.
Polo Nord “mite”
La scoperta eccezionale non sta solo nella ricchezza di avifauna ritrovata ma anche nelle sue implicazioni etologiche: già nel tardo Cretaceo gli uccelli (o dinosauri volanti) nidificavano al circolo polare artico. All’epoca la Prince Creek Formation si trovava decisamente più a Nord, a circa 80-85°, ma nonostante ciò a noi sarebbe sembrato di essere decisamente più in basso. Il clima più caldo di quello odierno (l’Antartide non era ancora scivolato al polo Sud e tanto meno era ricoperto da ghiacci perenni) faceva registrare a queste latitudini delle temperature invernali che nei momenti peggiori raggiungevano un paio di gradi sotto zero e potevano causare qualche sporadica nevicata. Per noi un inverno del tutto mite. Ma per i grandi rettili del passato una sfida tutt’altro che banale. Eppure da altri ricchi giacimenti fossili sappiamo che a queste latitudini molti dinosauri erano stanziali come i grandi erbivori capaci di trattenere calore e di sfamarsi con cibo di scarsa qualità anche in inverno, cosi come i piccoli erbivori che probabilmente si ritiravano in qualche rifugio sotterraneo nei mesi più freddi. Ora sappiamo che anche gli uccelli raggiungevano queste latitudini anche se, per via delle loro piccole dimensioni (che male si addicono a trattenere il calore corporeo) e per la loro capacità di volare, gli scienziati sono abbastanza sicuri nel proporre l’ipotesi che questi animali, ed in particolare i Neorniti basali scoperti, venissero a nidificare nei mesi estivi, migrando come fanno oggi i loro discendenti.
Migrare per sopravvivere
Questo ci dice che non solo questo comportamento è molto antico ma anche che può essere stato un ulteriore elemento discriminante nella sopravvivenza dei Neorniti durante l’estinzione di fine Cretaceo, che invece vede sparire i cugini Esperorniti e Ictiorniti. Questi due gruppi, per quello che ne sappiamo, avevano una crescita più lenta nella fase embrionale ed erano anche meno adatti al volo, soprattutto quello a lunga gittata che è la chiave per un comportamento molto dispendioso da un punto di vista energetico come la migrazione.
Nella grave crisi climatica conseguente all’impatto dell’asteroide avvenuto circa 66-65 milioni di anni fa, la capacità di alzarsi in volo e cavalcare le correnti per decine di migliaia di chilometri alla ricerca di poche oasi in grado di fornire sussistenza, avrebbe fatto la differenza tra il grande successo adattativo degli uccelli e l’estinzione degli altri gruppi di dinosauri aviani.
Riferimenti:
Wilson, L. N., Ksepka, D. T., Wilson, J. P., Gardner, J. D., Erickson, G. M., Brinkman, D., …Druckenmiller, P. S. (2025). Arctic bird nesting traces back to the Cretaceous. Science, 388(6750), 974–978. Retrieved from https://www.science.org/doi/10.1126/science.adt5189
Immagine in apertura: da Science

Mi sono laureato in Biologia Evoluzionistica all’Università degli Studi di Padova. Ho scritto per OggiScienza e sono attivo nel campo della divulgazione scientifica. Ho creato e dirigo il progetto di divulgazione scientifica multipiattaforma “Just a Story”