Molli e resilienti: nuovi dati sui sopravvissuti all’estinzione del Permiano
Nuove analisi delle tracce fossili indicano che gli animali detritivori, come vermi o gamberetti, sono stati le specie più resilienti e capaci di recupero dopo la terribile estinzione del Permiano
Alcuni invertebrati marini detritivori prevalentemente a corpo molle, come i vermi che scavano nei fondali marini, hanno ripopolato rapidamente l’ecosistema dopo la devastante estinzione del Permiano, che 252 milioni di anni cancellò dalla faccia della Terra il 90% circa delle specie conosciute, più rapidamente rispetto agli animali sospensivori e sessili. Lo ha stabilito un gruppo internazionale di ricerca guidato da Xueqian Feng della China University of Geosciences interpretando un corposo set di dati fossili.
L’importanza dell’icnologia
Il gruppo di ricerca è partito dalla differenza di abbondanza di dati, per questa estinzione, tra animali dotati di una struttura di sostegno del corpo, come uno scheletro (interno o esterno), e quelli che ne sono privi parzialmente o del tutto. I primi, che tendono a fossilizzare con più facilità, sono senz’altro più studiati rispetto ad animali come i vermi che ci hanno lasciato prevalentemente solo le tracce della loro interazione col fondale anziché una fossilizzazione del loro corpo. Per questa ragione Feng e il suo gruppo si sono concentrati su questi animali “molli” e detritivori e ne hanno studiato il destino lungo la frattura Permiano-Triassico attraverso lo studio di 400 orizzonti paleontologici da 26 sezioni geologiche differenti, tutti provenienti dai mari della Cina meridionale. La disciplina che studia le interazioni tra un organismo e il suo substrato è detta icnologia. Per animali di questo tipo, è soprattutto lo studio delle tracce lasciate dal movimento e dalle attività di scavo del suolo marino. Gli autori hanno individuato quattro criteri per valutare e interpretare il record icnologico. Icnodisparità e icnodiversità delle tracce fossili registrano la varietà delle innovazioni strutturali e delle caratteristiche locomotorie. Sono quindi un metro indiretto del comportamento di questi animali. Oltre a questi, gli altri due criteri scelti sono stati l’ampiezza della distribuzione areale e le tracce che possono indicare innovazioni di tipo ingegneristico. I risultati raccolti dagli autori mostrano innanzitutto che i quattro criteri declinano complessivamente man mano che ci avviciniamo alla linea dell’estinzione Permiano-Triassico, variando in modo abbastanza uniforme prima e dopo l’estinzione. Per gli autori è un indizio che le strategie ecologiche dei gruppi animali presi in esame rispondono in modo coerente alle condizioni ecologiche del primo Triassico. Infatti la distribuzione delle tracce fossili sembra segnare un andamento a “W”, dove al declino a livello dell’estinzione del Permiano segue una ripresa nel primo Triassico fino a una successiva ulteriore stabilizzazione e riduzione.
Detritivori contro sospensivori
Per gli autori, questo andamento potrebbe suggerire un fenomeno di amensalismo, ossia quella relazione ecologica tra due specie o gruppi per cui l’affermazione dell’una ostacola l’emergere dell’altra. I ricercatori hanno quindi cercato di indagare se l’attività di rimescolamento del fondo marino ad opera di questi detritivori sia stata determinante per il ritardo nella ripresa ecologica di altri gruppi marini. Infatti, specificamente all’estinzione del Permiano-Triassico, secondo gli autori è ancora poco compreso quando e dove l’infauna, cioè la fauna che vive nei sedimenti, cominciò a rifiorire durante il Triassico.
Turbando l’ambiente e la disponibilità di particelle di cibo con una costante risospensione del fondale, questa attività di rimescolamento del terreno degli animali detritivori potrebbe essere alla base delle differenze di ripresa di questi animali scavatori rispetto ad animali sospensivori, prevalentemente sessili. I dati sembrerebbero confermarlo: dove gli animali detritivori recuperano, dopo la linea di estinzione, per diversità e frequenza, altri gruppi animali sono per lo più assenti. Gli autori puntualizzano che i dati sembrano indicare che la ripresa dell’infauna considerata sia complessivamente avvenuta circa 3 milioni di anni dopo l’estinzione Permiano-Triassico. Estinzioni di ieri e di oggi
C’è ancora molto da studiare, conclude lo studio. Come fanno notare gli autori, le ricerche che cercano di qualificare le cause di questa devastante estinzione individuano nell’aumento della temperatura atmosferica e dell’acidificazione delle acque marine le cause fondamentali della cancellazione di oltre il 90% delle specie viventi. Non sfugge il parallelo con gli effetti, sempre più evidenti, dell’attuale surriscaldamento climatico. Questa ricerca può fornire spunti sulle caratteristiche delle specie che meglio riuscirono a sopravvivere all’estinzione del Permiano, forse suggerendo qualche correlazione anche per le specie che stanno ora fronteggiando le conseguenze del global warming. Riferimenti: I, Zhong-Qiang Chen, Michael J. Benton, Chunmei Su, David J. Bottjer, Alison T. Cribb, Ziheng Li, Laishi Zhao, Guangyou Zhu, Yuangeng Huang, Zhen Guo. Resilience of infaunal ecosystems during the Early Triassic greenhouse Earth. Science Advances, 2022; 8 (26) DOI: 10.1126/sciadv.abo0597 Immagine: da Wikimedia Commons
L’importanza dell’icnologia
Il gruppo di ricerca è partito dalla differenza di abbondanza di dati, per questa estinzione, tra animali dotati di una struttura di sostegno del corpo, come uno scheletro (interno o esterno), e quelli che ne sono privi parzialmente o del tutto. I primi, che tendono a fossilizzare con più facilità, sono senz’altro più studiati rispetto ad animali come i vermi che ci hanno lasciato prevalentemente solo le tracce della loro interazione col fondale anziché una fossilizzazione del loro corpo. Per questa ragione Feng e il suo gruppo si sono concentrati su questi animali “molli” e detritivori e ne hanno studiato il destino lungo la frattura Permiano-Triassico attraverso lo studio di 400 orizzonti paleontologici da 26 sezioni geologiche differenti, tutti provenienti dai mari della Cina meridionale. La disciplina che studia le interazioni tra un organismo e il suo substrato è detta icnologia. Per animali di questo tipo, è soprattutto lo studio delle tracce lasciate dal movimento e dalle attività di scavo del suolo marino. Gli autori hanno individuato quattro criteri per valutare e interpretare il record icnologico. Icnodisparità e icnodiversità delle tracce fossili registrano la varietà delle innovazioni strutturali e delle caratteristiche locomotorie. Sono quindi un metro indiretto del comportamento di questi animali. Oltre a questi, gli altri due criteri scelti sono stati l’ampiezza della distribuzione areale e le tracce che possono indicare innovazioni di tipo ingegneristico. I risultati raccolti dagli autori mostrano innanzitutto che i quattro criteri declinano complessivamente man mano che ci avviciniamo alla linea dell’estinzione Permiano-Triassico, variando in modo abbastanza uniforme prima e dopo l’estinzione. Per gli autori è un indizio che le strategie ecologiche dei gruppi animali presi in esame rispondono in modo coerente alle condizioni ecologiche del primo Triassico. Infatti la distribuzione delle tracce fossili sembra segnare un andamento a “W”, dove al declino a livello dell’estinzione del Permiano segue una ripresa nel primo Triassico fino a una successiva ulteriore stabilizzazione e riduzione.
Detritivori contro sospensivori
Per gli autori, questo andamento potrebbe suggerire un fenomeno di amensalismo, ossia quella relazione ecologica tra due specie o gruppi per cui l’affermazione dell’una ostacola l’emergere dell’altra. I ricercatori hanno quindi cercato di indagare se l’attività di rimescolamento del fondo marino ad opera di questi detritivori sia stata determinante per il ritardo nella ripresa ecologica di altri gruppi marini. Infatti, specificamente all’estinzione del Permiano-Triassico, secondo gli autori è ancora poco compreso quando e dove l’infauna, cioè la fauna che vive nei sedimenti, cominciò a rifiorire durante il Triassico.
Turbando l’ambiente e la disponibilità di particelle di cibo con una costante risospensione del fondale, questa attività di rimescolamento del terreno degli animali detritivori potrebbe essere alla base delle differenze di ripresa di questi animali scavatori rispetto ad animali sospensivori, prevalentemente sessili. I dati sembrerebbero confermarlo: dove gli animali detritivori recuperano, dopo la linea di estinzione, per diversità e frequenza, altri gruppi animali sono per lo più assenti. Gli autori puntualizzano che i dati sembrano indicare che la ripresa dell’infauna considerata sia complessivamente avvenuta circa 3 milioni di anni dopo l’estinzione Permiano-Triassico. Estinzioni di ieri e di oggi
C’è ancora molto da studiare, conclude lo studio. Come fanno notare gli autori, le ricerche che cercano di qualificare le cause di questa devastante estinzione individuano nell’aumento della temperatura atmosferica e dell’acidificazione delle acque marine le cause fondamentali della cancellazione di oltre il 90% delle specie viventi. Non sfugge il parallelo con gli effetti, sempre più evidenti, dell’attuale surriscaldamento climatico. Questa ricerca può fornire spunti sulle caratteristiche delle specie che meglio riuscirono a sopravvivere all’estinzione del Permiano, forse suggerendo qualche correlazione anche per le specie che stanno ora fronteggiando le conseguenze del global warming. Riferimenti: I, Zhong-Qiang Chen, Michael J. Benton, Chunmei Su, David J. Bottjer, Alison T. Cribb, Ziheng Li, Laishi Zhao, Guangyou Zhu, Yuangeng Huang, Zhen Guo. Resilience of infaunal ecosystems during the Early Triassic greenhouse Earth. Science Advances, 2022; 8 (26) DOI: 10.1126/sciadv.abo0597 Immagine: da Wikimedia Commons
Mi sono laureato in Biodiversità ed evoluzione biologica all’Università degli Studi di Milano ed ho conseguito un master in Giornalismo scientifico e comunicazione istituzionale della scienza all’Università degli studi di Ferrara. Mi appassiona la divulgazione e lo studio della storia delle idee scientifiche.