Morto e risorto
Morto e risorto. No, non stiamo parlando di un miracolo e di un futuro evento di beatificazione, ma di un diverso caso di “ritorno alla vita” che riguarda…un gene umano. In particolare, facciamo riferimento ad un gene coinvolto nella difesa intracellulare dai patogeni, che la nostra specie condivide con le scimmie antropomorfe. Ecco come una via (genica) che sembrava essersi […]
Morto e risorto. No, non stiamo parlando di un miracolo e di un futuro evento di beatificazione, ma di un diverso caso di “ritorno alla vita” che riguarda…un gene umano. In particolare, facciamo riferimento ad un gene coinvolto nella difesa intracellulare dai patogeni, che la nostra specie condivide con le scimmie antropomorfe. Ecco come una via (genica) che sembrava essersi spenta, ritorna a vivere e a produrre una nuova e funzionante proteina.
Il gene in questione, chiamato IRGM, produce una proteina contribuisce alla distruzione del Mycobacterium bovis, l’agente eziologico che causa la tubercolosi. Questo gene appartiene alla grande famiglia delle IRG (Immunity Related GTPases), coinvolti nella protezione e nella difesa dell’organismo da patogeni batterici. Data la loro importanza, questi geni (e le conseguenti proteine) sono molto conservati nel corso dell’evoluzione dei mammiferi, anche se si confrontano organismi filogeneticamente molto distanti, nonostante vi sia un grande variabilità nel numero di copie presenti nei vari genomi. Nel DNA dei topi, ad esempio, vi sono ben 21 IGR differenti, mentre nella nostra specie solamente due, di cui una sequenza tronca codificante per la proteina IRGM. Nel corso dell’evoluzione e della diversificazione dei diversi gruppi di mammiferi, alcuni di questi sono andati perduti mentre altri sono diventati pseudogeni, sequenze nucleotidiche che, nonostante mantengano ancora elementi tipici dei geni, come i promotori o i siti di splicing, generano spesso trascritti nonsenso.
Il fatto più interessante, messo in luce da un articolo liberamente accessibile sulla rivista PLoS Genetics, è che il gene IRGM sembra essere tronco e inattivato nella maggior parte dei primati, diversamente a quanto avviene negli altri mammiferi. Se le proscimmie possiedono ancora tre copie di cui una funzionante (molto simile alla corrispondente nei topi) e due rese inattive da inserizioni nella sequenza, da una comparazione di sequenze geniche emerge come nelle scimmie platirrine, le “scimmie del Nuovo Mondo”, i geni IGRM siano silenziati, resi dunque inattivi e non in grado di produrre una proteina funzionante. In particolare, a causa di alcune inserzioni nella sequenza di lettura, l’unica copia rimasta è diventata uno pseudogene. Lo stesso accade anche per primati filogeneticamente più vicini a noi, come macachi e babbuini (Famiglia Cercopithecidae). Questo risultato suggerisce che le mutazioni che hanno silenziato questi geni siano avvenute prima della separazione di questi due gruppi di primati, oltre 40 milioni di anni fa.
Contrariamente a queste specie, il sequenziamento del locus IRGM nell’uomo e nelle scimmie antropomorfe ha invece evidenziato come il corretto funzionamento di questo gene sia stato ristabilito. Lo stesso non si può dire per l’orango, in cui è presente in forma polimorfica: esiste, infatti, una variante funzionante e una che si presenta ancora sotto forma di pseudogene, ad indicare come il primo passo verso la riattivazione sia avvenuto in un progenitore comune tra la nostra specie e le grandi scimmie antropomorfe, ma che la fissazione definitiva della variante favorevole ha invece avuto luogo nell’antenato comune tra uomo, gorilla e scimpanzè.
Nel corso dell’evoluzione, dunque, il cluster di geni IGRM si è ridotto da numerose copie ad una sola, fino ad essere completamente eliminato negli antenati comuni tra le scimmie del Nuovo e del Vecchio Mondo, anche se poi è stato riattivato prima della separazione tra ominidi bipedi e scimmie antropomorfe. Ma in che modo si è ristabilita la funzione del gene IGRM? Secondo le analisi, l’elemento retrovirale ERV9 si sarebbe inserito nella sequenza codificante e, insieme ad una mutazione di una singola base, avrebbe ripristinato la corretta lettura degli aminoacidi e favorito la produzione di una proteina funzionante ed ancora molto importante per la nostra specie. E’ infatti noto che una delezione in questa sequenza comporta l’insorgenza del morbo di Crohn, una patologia che causa una grave infiammazione cronica dell’apparato digerente.
La resurrezione di interi organismi non è ancora stata scoperta e probabilmente mai lo sarà, ma ora sappiamo che parte di noi è rinata, non grazie a miracoli ma solo mediante il potere dell’evoluzione guidata dalla selezione naturale.
Andrea Romano
Riferimeti:
Bekpen C, Marques-Bonet T, Alkan C, Antonacci F, Leogrande MB, et al. Death and Resurrection of the Human IRGM Gene. PLoS Genet, 5(3): e1000403 DOI: 10.1371/journal.pgen.1000403
Ecologo e docente di Etologia e Comportamento Animale presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università di Milano. Ha scritto di animali ed evoluzione su Le Scienze, Mente e Cervello, Oggiscienza e Focus D&R . Collabora con Pikaia, di cui è stato caporedattore dal lontano 2007 al 2020.