Mosaico predatore

Dopo ormai 100 anni dalla loro scoperta da parte di Charles Walcott nel 1909, i fossili provenienti dalle argilloscisti di Burgess fanno ancora parlare di sè, fornendo sempre nuovi spunti di dibattito alla comunità scientifica. Molte delle specie rinvenute non appartengono agli attuali phyla animali, ad indicare una rapida diversificazione iniziale (l’esplosione del Cambriano) degli organismi pluricellulari seguita dalla decimazione

Dopo ormai 100 anni dalla loro scoperta da parte di Charles Walcott nel 1909, i fossili provenienti dalle argilloscisti di Burgess fanno ancora parlare di sè, fornendo sempre nuovi spunti di dibattito alla comunità scientifica. Molte delle specie rinvenute non appartengono agli attuali phyla animali, ad indicare una rapida diversificazione iniziale (l’esplosione del Cambriano) degli organismi pluricellulari seguita dalla decimazione della maggior parte di essi, che non lasciarono alcuna discendenza fino ai giorni nostri.

Tra questi, figura un lontano parente degli artropodi, l’Anomalocaris (si conoscono due specie: A. nathorsti e A. canadensis), un grosso predatore marino con una bocca radiata, la cui scoperta fu molto particolare, in quanto la sua struttura corporea fu ricostruita mediante la connessione di fossili che si riteneva appartenessero a più organismi. Così S.J.Gould lo descrive così nel suo libro “La vita meravigliosa”: “Ora, chi si sarebbe mai sognato una connessione tra l’estremità posteriore del corpo di un gambero, l’appendice masticatoria della Sidneya, un cetriolo di mare spiaccicato e una medusa con un foro in centro? Ovviamente nessuno. La combinazione di questi quattro oggetti nell’Anomalocaris venne come una sorpresa del tutto imprevista” (pag 200).

Dopo l’Anomalocaris, decine di anni più tardi, su Science arriva la descrizione di un organismo ad esso strettamente imparentato e denominato Hurdia victoria. Come Anomalocaris anche Hurdia era un temibile predatore in grado di nuotare e di nutrirsi di un ampio spettro di prede e come Anomalocaris anche Hurdia è stato ricostruito come una sorta di puzzle, mediante la combinazione di strutture che si riteneva appartenessero ad altre specie. Anche Hurdia presenta, infatti, un corpo segmentato su cui si inseriscono le branchie e due appendici cefaliche in prossimità di una struttura boccale di forma di circolare (simile ad una fetta di ananas) in cui si dispongono numerosi denti. Ma la struttura certamente più interessante, che la differenzia da Anomalocaris, è un grosso carapace frontale di forma appuntita, che occupa quasi la metà della lunghezza dell’organismo. Mancano le evidenze sulla funzione di questa struttura, anche se, essendo rigida e robusta, si crede potesse avere un ruolo di protezione delle parti molli del corpo.

Questa specie, sebbene i resti fossero stati rinvenuti fin dal 1912, non era ancora stata riconosciuta, in quanto alcuni fossili erano stati confusi con quelli di Anomalocaris disseminati nei musei di tutto il mondo.

Lo studio ha anche evidenziato le relazioni filogenetiche di questo strano organismo, che, con Anomalocaris e Laggania, costituisce il clade dei Radiodonti, gruppo fratello degli artropodi, il phylum di invertebrati cui appartengono crostacei, insetti, ragni e millepiedi. Le somiglianze riguardano soprattutto le strutture respiratorie di questi due gruppi fratelli, che gli autori dello studio considerano omologhe.

La caccia agli artropodi primitivi è aperta…chissà che questi predatori Cambriani diano un’importante mano nella comprensione delle origini del gruppo di animali più diffuso e numeroso del nostro pianeta.

Andrea Romano

Riferimenti:
Allison Daley, Graham Budd, Jean-Bernard Caron, Gregory Edgecombe and Desmond Collins. The Burgess Shale anomalocaridid Hurdia and its significance for early euarthropod evolution. Science 323: 1597-1600.