Noi siamo la montagna: che cos’è il programma di ricerca “All of Us”

All of Us research program

“All of Us” è un ambizioso progetto che si propone di sequenziare il genoma di un milione di cittadini americani per far avanzare la medicina di precisione

Immaginate di trovarvi alle pendici di una montagna, percorsi tortuosi che si arrampicano fino a vette nascoste tra le nuvole. Ora, immaginate che la montagna non sia fatta di terra e roccia, ma di libri; ciascuno è un tomo imponente, più di tre miliardi di lettere in decine di migliaia di capitoli. Sapete la lingua, ma questo non vuol dire capire sempre il significato del testo: la narrazione è complessa, oscura e piena di rimandi. Da questa montagna, c’è chi cerca di costruire una biblioteca.

Di cosa parliamo, in termini più concreti? Nella nostra metafora, ogni libro è il genoma di una persona, ovvero l’intera sequenza del suo DNA; le lettere sono i nucleotidi, i capitoli geni. Quel qualcuno che cerca di ordinare e catalogare questa mostruosa mole di informazioni è una larga parte della comunità scientifica, attraverso uno sforzo collettivo che dura da decenni. Oggi, però, parleremo di un progetto particolarmente impegnato in questo senso, il progetto All of Us.

Si tratta di un’iniziativa del National Institutes of Health (NIH) americano che si propone di reclutare un milione di partecipanti tra gli abitanti degli Stati Uniti; di ognuno di questi partecipanti, il progetto vuole raccogliere alcuni dati clinici e biometrici e, soprattutto, sequenziare l’intero genoma. Un cardine del progetto è l’intenzione di reclutare individui da tutte le etnie e classi sociali, superando la storica tendenza in medicina a studiare certi gruppi (tipicamente i maschi bianchi) molto più di altri. I dati registrati vengono archiviati in un sistema di cloud online e messi a disposizione della comunità scientifica.

Il progetto, viene da sé, è molto ambizioso, e non ha mancato di suscitare polemiche. Pikaia ne ha parlato con Guido Barbujani, scrittore e professore di Genetica presso l’Università di Ferrara.

Sassi in una montagna

«All’inizio si studiavano decine di individui; sono diventati centinaia, poi migliaia, poi decine di migliaia, e ecco, adesso sono un milione».

Guido Barbujani

Il progetto All of Us nasce nel 2015, sotto il governo Obama, con il nome di “Precision Medicine Initiative Cohort Program”. Nove anni dopo, con l’ultima pubblicazione di dati di questo febbraio, il programma ha sequenziato 245388 partecipanti, quasi un quarto del milione prefissato. La diversità del campione è da sempre una bandiera per il progetto: gli autori comunicano che il 77% dei partecipanti appartengono a comunità storicamente sottorappresentate nella ricerca, e il 46% a una minoranza etnica. Da questa montagna di partecipanti, i ricercatori hanno già minato una grande quantità di dati: un miliardo di varianti genetiche riscontrate, 275 milioni delle quali precedentemente non riportate in letteratura (ma di queste “solo” 3,9 milioni sono varianti codificanti).

Ma è bene fare un passo indietro, e osservare un sasso prima di pensare alla montagna: cosa sono le varianti genetiche? Si tratta, in parole povere, delle tante forme che può avere un gene. In passato chiamavamo “mutazione” ciascun cambiamento rispetto a una sequenza di riferimento; da qualche anno la terminologia è cambiata, e abbiamo cominciato a parlare di varianti. Il motivo è che i termini “mutazione” e “mutante” hanno un’accezione negativa, fanno pensare (almeno a me) a creature strane e paurose, e a tartarughe che diventano grandi come umani e imparano le arti marziali. La variabilità genetica, pur riguardando una percentuale minima del nostro DNA, è normale quanto necessaria. Ognuno di noi ha la propria specifica e unica combinazione di varianti; se così non fosse, per le strade non vedremmo che un noioso panorama di visi uguali.

Alcune varianti, però, hanno effetti negativi sulla salute. Alcune sono sufficienti da sole a causare una patologia, altre rendono una patologia più probabile; i possibili effetti sulla salute sono tanti e diversi quante sono le varianti stesse. Capire il significato delle varianti costituisce gran parte del lavoro di un genetista clinico, e questo lavoro diventa molto più facile se si tratta di varianti già note, già descritte in letteratura e collegate a una determinata patologia. Nella pratica clinica, però, imbattersi in una variante mai descritta è cosa di tutti i giorni. È qui che entrano in gioco progetti come All of Us.

Dati fino alle nuvole

L’idea fondante (il DNA, se vogliamo) di All of Us è, quindi, la raccolta e catalogazione di dati genomici. Il sequenziamento del genoma viene usato molto raramente nella pratica clinica; più usato, ma ancora una rarità, è il sequenziamento dell’esoma, ovvero dei soli esoni e regioni circostanti.

Gli esoni sono quelle parti di DNA che, una volta trascritte, rimangono nelle molecole di RNA maturo, in contrasto con le sequenze introniche, scartate prima che l’RNA venga tradotto in proteine. Gli esoni, pur essendo le sequenze coinvolte più direttamente nei processi di trascrizione e traduzione, sono poco più che l’1% del DNA umano; anche solo questo 1%, l’esoma, richiede molte risorse per essere sequenziato. Ciò è fattibile nella pratica clinica relativamente da poco tempo, grazie all’avvento delle tecnologie di Next Generation Sequencing (NGS). L’esoma, però, rimane una collinetta contro la montagna del genoma; per sequenziare il genoma, le risorse necessarie saranno ancora maggiori, in quanto a tempo, spese economiche, capacità di calcolo e lavoro di interpretazione. Bisogna dire anche che già l’esoma è sufficiente a diagnosticare un gran numero di patologie, proprio perché riguarda le parti più “attive” del DNA.

Che si tratti di esoma o genoma, in medicina il sequenziamento del DNA non basta da solo. Il dato genetico, infatti, va sempre collegato a quello clinico; tra questi dati c’è una differenza simile a quella che c’è tra leggere sul vocabolario “rilievo della superficie terrestre, che in genere differisce dalla collina per maggiore altitudine e per differenti caratteri morfologici […]”, e vedere davanti a sé una montagna. Per questo motivo, il progetto raccoglie molte informazioni sui partecipanti oltre a quelle genetiche, tramite questionari, misurazioni (altezza, peso, pressione arteriosa), raccolta di campioni biologici e accesso alle cartelle cliniche.

Con i dati di sequenziamento dei genomi, si viene a formare una mole davvero mostruosa di informazioni; queste vengono immagazzinate in un sistema di cloud, con l’obiettivo di facilitarne l’accesso ai ricercatori. Non che i dati sensibili dei partecipanti siano disponibili a chiunque: i dati riassuntivi sono disponibili al pubblico, mentre l’accesso completo è consentito ai ricercatori degli enti convenzionati. Se è encomiabile l’intenzione di mettere i dati a disposizione dei ricercatori di tutto il mondo, è anche vero che la lista delle istituzioni convenzionate comprende in massima parte Università americane, almeno per il momento.

Il panorama dall’alto

Dove porta tutto questo lavoro? L’ampia casistica di All of Us è già stata usata da diversi gruppi di ricerca, per gli studi più disparati; al momento della scrittura di questo articolo, le pubblicazioni scientifiche che hanno fatto uso dei dati di All of Us sono 349, ma aumentano quasi di giorno in giorno.

Non sono solo i ricercatori a beneficiare delle informazioni raccolte: il progetto informa i partecipanti che lo desiderano di eventuali varianti trovate nei geni “actionable”. Si tratta di geni correlati a predisposizioni patologiche con un impatto reale sul percorso terapeutico del paziente; predisposizioni a patologie che è utile riconoscere in tempo, per cui ha senso fare qualche esame in più, perché fare un esame in più o uno in meno può davvero fare la differenza. Al momento, i geni riconosciuti come actionable riguardano patologie cardiache e oncologiche. All of Us, quindi, organizza incontri con medici genetisti per informare i pazienti di eventuali predisposizioni di questo genere riscontrate (come regola generale, non è mai una buona idea restituire risultati genetici a un paziente senza un professionista a commentarli).

Nonostante questi risultati, non tutti sono convinti del merito del progetto.

«È senz’altro interessante che il progetto All of us si proponga di coinvolgere anche chi, per ragioni diverse, è stato in precedenza trascurato», ha commentato Barbujani, prima di aggiungere: «Non sono sicuro che, per identificare le cause delle malattie complesse (e quindi diagnosticarle precocemente, e quindi, se possibile, curarle), la corsa a campioni sempre più grandi sia veramente utile. I costi di questi studi sono astronomici; i benefici, al momento, piccoli o minimi.»

Secondo Barbujani, allargare il campione studiato potrebbe non portare i benefici sperati. «Il motivo è semplice», spiega il genetista: «ogni popolazione contiene un campionario, se non completo, molto ampio, della diversità genetica umana, intorno all’85% del totale secondo i calcoli di Richard Lewontin e del mio gruppo». L’uomo è un animale cosmopolita, così le sue discendenze, e così le sue varianti genetiche. «Siccome gran parte delle varianti del DNA sono cosmopolite (cioè presenti, a frequenze diverse, in tutto il mondo) ci siamo fatti un quadro complessivo che regge».

È giusto e dovuto che nessuno sia escluso dagli studi (come da qualunque cosa); bisogna riconoscere che un tale cosmopolitismo genetico ha portato ad abolire lo stesso concetto di razza umana. Proprio a questo proposito, il progetto era stato criticato all’uscita degli ultimi dati per aver rappresentato le etnie dei partecipanti in un’immagine che, secondo alcuni genetisti, rinforzava vecchie idee delle razze come categorie separate e distinte, invece del continuum di variabilità che oggi sappiamo essere.

«Intendiamoci, tantissime cose non le sappiamo, specie per quanto riguarda le basi genetiche delle malattie complesse: diabete, molti cancri, Alzheimer e Parkinson, malattie cardiocircolatorie», continua Barbujani. «Sono malattie provocate dall’interazione fra tanti geni e fattori ambientali, in cui il contributo di ciascun gene è piccolo, e quindi difficile da identificare. Per saperne di più, bisognerà continuare a far ricerca. La domanda è: che tipo di ricerca? Grazie agli straordinari progressi delle tecnologie genomiche, oggi produciamo quantità di informazioni genetiche che solo dieci anni fa sarebbero sembrate inverosimili; ma sotto questa montagna di dati ci sono meccanismi biologici che ancora ci sfuggono, e non so se serva davvero rendere la montagna sempre più gigantesca, come stiamo facendo».

Il progetto All of Us ha davanti ancora molta strada in salita prima di raggiungere il suo obiettivo di un milione di genomi sequenziati; soltanto in cima potremo capire se la scalata sarà valsa la fatica.

Riferimenti:

The All of Us Research Program Genomics Investigators. Genomic data in the All of Us Research Program. Nature 627, 340–346 (2024). https://doi.org/10.1038/s41586-023-06957-x

All of Us Research Program Overview | All of Us Research Program | NIH. (2023, October 18). Retrieved from https://allofus.nih.gov/about/program-overview

Immagine: All of Us Research Program, NIH