Nuovi dati supportano l’ipotesi della “scimmia ubriaca”
Un recente studio pubblicato su Royal Society Open Science supporta l’ipotesi della scimmia ubriaca: il consumo di alcol da parte dell’uomo non sarebbe un prodotto culturale, ma piuttosto una propensione naturale riconducibile alle abitudini alimentari dei primati frugivori
L’ipotesi della scimmia ubriaca, questo è il suo nome, fu teorizzata per la prima volta da Robert Dudley, coautore di questa ricerca e autore del libro The Drunken Monkey: Why We Drink and Abuse Alcohol, pubblicato nel 2014. Secondo Dudley, professore di Biologia integrativa all’Università della California Berkeley, la nostra attrazione per l’alcol ha origini profonde, ed è legata ai vantaggi che derivano dal consumo di frutta contente zucchero fermentato. Oltre a un beneficio energetico, dovuto all’alto contenuto calorico dell’etanolo, essa potrebbe offrire un beneficio antimicrobico, anche se questa per il momento resta solo un’ipotesi.
Ora le osservazioni del gruppo di ricerca coordinato da Christina J. Campbell, Aleksey Maro, Victoria Weaver e dallo stesso Dudley, sembrano confermare che tra i primati c’è una spiccata predilezione per i frutti che hanno maturato, in seguito all’attività metabolica dei lieviti fermentanti, una percentuale variabile di etanolo. I risultati sono appena stati pubblicati sulla rivista Royal Society Open Science.
Le scimmie ubriache
Un caso studio del 2015, ripreso in questa ricerca, aveva già avuto come protagonista il nostro più stretto parente, lo scimpanzé comune (Pan troglodytes). In quell’occasione un gruppo di scimpanzé a Bossou, in Guinea, era stato ripetutamente sorpreso a saccheggiare la linfa fermentata che le persone estraggono dalle palme di rafia. Gli animali sfruttavano ingegnosamente la spugnosità di alcune foglie per prelevare e consumare la bevanda alcolica (in alcuni casi fino all’ebrezza). Il nuovo studio integra queste osservazioni con quelle effettuate su altre specie di primati. I lori lenti (Nycticebus coucang), diffusi nell’area occidentale dell’arcipelago malese, consumano regolarmente etanolo sotto forma di nettare fermentato della Eugeissona (Eugeissona tristis). I cercopitechi grigioverde (Chlorocebus aethiops), stanziali in Africa orientale e introdotti in alcune zone caraibiche, sono stati osservati consumare alcol di origine antropica sotto forma di bevande. Anche la scimmia ragno alza il gomito
La ricerca si è però focalizzata sulle abitudini alimentari delle scimmie ragno di Geoffrey (Ateles geoffroyi), sull’isola di Barro Colorado, a Panama. Questa specie di scimmia frugivora è il candidato ideale per testare, in assenza di interferenze antropiche, l’esposizione naturale dei primati all’etanolo. Si nutre dei frutti della palma Astrocaryum standleyanum, che grazie all’elevata concentrazione di zuccheri nella polpa sono propensi a sviluppare etanolo. Dalle analisi dei frutti consumati dalle scimmie e lasciati cadere è emerso che la presenza di etanolo variava tra l’1 e il 2%. Sono poi stati analizzati campioni di urina per verificare la presenza di metaboliti dell’etanolo, biomarcatori dell’abuso di alcol. Su sei campioni, cinque sono risultati positivi all’etilglucuronide e all’etilsolfato. Alcuni frutti, osservano i ricercatori, sono stati ispezionati e poi scartati, probabilmente per l’odore, la consistenza o l’aspetto. Sono molti, dunque, i fattori che hanno portato gli individui di scimmia ragno a selezionare alcuni frutti rispetto ad altri. Un dato incontrovertibile è però che tutti i frutti consumati contenevano un dose naturale in etanolo, relativamente bassa ma allo stesso tempo determinante per il foraggiamento. L’evoluzione del gusto per l’alcol
I risultati della ricerca hanno spinto Dudley e colleghi ad affermare che “gli antenati dell’uomo potrebbero aver selezionato preferenzialmente frutta carica di etanolo per il consumo (tramite olfatto a corto raggio e attraverso la gustazione), dato che la sua presenza indica necessariamente la co-occorrenza di precursori dello zucchero semplice”.
La stimolazione olfattiva esercitata dalla molecola volatile di etanolo, avrebbe favorito, in passato come ora, l’individuazione della frutta e il conseguente reperimento degli zuccheri di cui abbiamo bisogno. Questa scelta preferenziale sarebbe poi stata incentivata da una forma di meccanismo edonico, un rinforzo positivo dovuto principalmente agli effetti psicoattivi dell’etanolo e alla ricompensa nutrizionale che deriva dal suo alto valore calorico. Il gruppo di ricerca della Berkeley fa infine un’osservazione importante, che lascia aperta la strada a nuove ricerche: “dato che la selezione positiva sui geni che codificano per il catabolismo dell’etanolo è stata sostanziale tra le specie di mammiferi che consumano frutta e nettare in generale, è probabile che il consumo naturale di carboidrati fermentati sia più diffuso di quanto si pensi attualmente”. L’ipotesi della scimmia ubriaca è ancora lontana dal trovare una vera e propria conferma, ma i dati a disposizione sembrano suggerire una serie di implicazioni che coinvolgono non solo i primati, ma tutti i frugivori. Questa associazione ancestrale tra il consumo di alcol e il suo valore calorico ha anche risvolti sulla salute umana. Il consumo eccessivo di alcol, osservato esclusivamente negli esseri umani o nei primati nelle sfere di influenza antropiche (come gli scimpanzé di cui abbiamo parlato), potrebbe essere inquadrato come eccesso nutrizionale cronico al pari del diabete e dell’obesità. Riferimenti:
Campbell, C. J., Maro, A., Weaver, V., & Dudley, R. (2022). Dietary ethanol ingestion by free-ranging spider monkeys (Ateles geoffroyi). Royal Society Open Science, 9(3), 211729. doi: 10.1098/rsos.211729
Immagine: pubblico dominio via piqsels
Un caso studio del 2015, ripreso in questa ricerca, aveva già avuto come protagonista il nostro più stretto parente, lo scimpanzé comune (Pan troglodytes). In quell’occasione un gruppo di scimpanzé a Bossou, in Guinea, era stato ripetutamente sorpreso a saccheggiare la linfa fermentata che le persone estraggono dalle palme di rafia. Gli animali sfruttavano ingegnosamente la spugnosità di alcune foglie per prelevare e consumare la bevanda alcolica (in alcuni casi fino all’ebrezza). Il nuovo studio integra queste osservazioni con quelle effettuate su altre specie di primati. I lori lenti (Nycticebus coucang), diffusi nell’area occidentale dell’arcipelago malese, consumano regolarmente etanolo sotto forma di nettare fermentato della Eugeissona (Eugeissona tristis). I cercopitechi grigioverde (Chlorocebus aethiops), stanziali in Africa orientale e introdotti in alcune zone caraibiche, sono stati osservati consumare alcol di origine antropica sotto forma di bevande. Anche la scimmia ragno alza il gomito
La ricerca si è però focalizzata sulle abitudini alimentari delle scimmie ragno di Geoffrey (Ateles geoffroyi), sull’isola di Barro Colorado, a Panama. Questa specie di scimmia frugivora è il candidato ideale per testare, in assenza di interferenze antropiche, l’esposizione naturale dei primati all’etanolo. Si nutre dei frutti della palma Astrocaryum standleyanum, che grazie all’elevata concentrazione di zuccheri nella polpa sono propensi a sviluppare etanolo. Dalle analisi dei frutti consumati dalle scimmie e lasciati cadere è emerso che la presenza di etanolo variava tra l’1 e il 2%. Sono poi stati analizzati campioni di urina per verificare la presenza di metaboliti dell’etanolo, biomarcatori dell’abuso di alcol. Su sei campioni, cinque sono risultati positivi all’etilglucuronide e all’etilsolfato. Alcuni frutti, osservano i ricercatori, sono stati ispezionati e poi scartati, probabilmente per l’odore, la consistenza o l’aspetto. Sono molti, dunque, i fattori che hanno portato gli individui di scimmia ragno a selezionare alcuni frutti rispetto ad altri. Un dato incontrovertibile è però che tutti i frutti consumati contenevano un dose naturale in etanolo, relativamente bassa ma allo stesso tempo determinante per il foraggiamento. L’evoluzione del gusto per l’alcol
I risultati della ricerca hanno spinto Dudley e colleghi ad affermare che “gli antenati dell’uomo potrebbero aver selezionato preferenzialmente frutta carica di etanolo per il consumo (tramite olfatto a corto raggio e attraverso la gustazione), dato che la sua presenza indica necessariamente la co-occorrenza di precursori dello zucchero semplice”.
La stimolazione olfattiva esercitata dalla molecola volatile di etanolo, avrebbe favorito, in passato come ora, l’individuazione della frutta e il conseguente reperimento degli zuccheri di cui abbiamo bisogno. Questa scelta preferenziale sarebbe poi stata incentivata da una forma di meccanismo edonico, un rinforzo positivo dovuto principalmente agli effetti psicoattivi dell’etanolo e alla ricompensa nutrizionale che deriva dal suo alto valore calorico. Il gruppo di ricerca della Berkeley fa infine un’osservazione importante, che lascia aperta la strada a nuove ricerche: “dato che la selezione positiva sui geni che codificano per il catabolismo dell’etanolo è stata sostanziale tra le specie di mammiferi che consumano frutta e nettare in generale, è probabile che il consumo naturale di carboidrati fermentati sia più diffuso di quanto si pensi attualmente”. L’ipotesi della scimmia ubriaca è ancora lontana dal trovare una vera e propria conferma, ma i dati a disposizione sembrano suggerire una serie di implicazioni che coinvolgono non solo i primati, ma tutti i frugivori. Questa associazione ancestrale tra il consumo di alcol e il suo valore calorico ha anche risvolti sulla salute umana. Il consumo eccessivo di alcol, osservato esclusivamente negli esseri umani o nei primati nelle sfere di influenza antropiche (come gli scimpanzé di cui abbiamo parlato), potrebbe essere inquadrato come eccesso nutrizionale cronico al pari del diabete e dell’obesità. Riferimenti:
Campbell, C. J., Maro, A., Weaver, V., & Dudley, R. (2022). Dietary ethanol ingestion by free-ranging spider monkeys (Ateles geoffroyi). Royal Society Open Science, 9(3), 211729. doi: 10.1098/rsos.211729
Immagine: pubblico dominio via piqsels
Laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, sto completando un Master in comunicazione ambientale presso l’Università degli Studi dell’Insubria. Il mio interesse è rivolto alla filosofia della biologia, all’ambiente e alla filosofia della mente in riferimento alle questioni neuroscientifiche.