Origine di Homo sapiens: punteggiatura o gradualismo filetico?

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In “Punctuated equilibria: an alternative to phyletic gradualism” (1972), Eldredge e Gould sostengono che spesso le teorie dominanti cambiano la percezione dei fatti e il modo in cui questi vengono letti. Oggi la teoria dominante per la macroevoluzione in paleoantropologia è proprio quella proposta nell’articolo citato sopra: gli equilibri intermittenti. Infatti, quasi tutte le specie di ominidi appaiono improvvisamente nella […]


In “Punctuated equilibria: an alternative to phyletic gradualism” (1972), Eldredge e Gould sostengono che spesso le teorie dominanti cambiano la percezione dei fatti e il modo in cui questi vengono letti. Oggi la teoria dominante per la macroevoluzione in paleoantropologia è proprio quella proposta nell’articolo citato sopra: gli equilibri intermittenti.

Infatti, quasi tutte le specie di ominidi appaiono improvvisamente nella sequenza stratigrafica e, durante la loro esistenza, i cambiamenti morfologici sono minimi o comunque riconducibili a fluttuazioni intorno alla media. I Neandertal, in questo panorama, sono un’eccezione, poiché la teoria che va per la maggiore (accretion model, vedi Hublin 2009) indica un’acquisizione dei caratteri tipici neandertaliani nel corso di qualche centinaio di migliaio di anni, in seguito a isolamento ed espansioni delle popolazioni, con un pattern di evoluzione a mosaico, ma graduale.

Per la nostra specie, invece, tutti i dati sembrano indicare un evento di speciazione in Africa datato tra i 200mila e i 100mila anni fa, quindi una comparsa improvvisa della specie, compatibile con il modello degli equilibri intermittenti. Infatti la coalescenza del dna mitocondriale è databile a circa 200mila anni fa (la famosa teoria dell’eva mitocondriale degli anni ’80) e i reperti fossili più antichi riferibili alla nostra specie sono intorno ai 160mila anni. Come potrebbe essere più chiaro di così?

Timothy Weaver, un ricercatore dell’Università della California, in un articolo pubblicato sul Journal of Human Evolution, mostra come i dati che abbiamo appena citato siano compatibili anche con un modello di evoluzione graduale, in cui Homo sapiens acquisisce i suoi caratteri specifici lentamente, a partire dalla divergenza con la linea neandertaliana circa 400mila anni fa, ovvero in uno scenario di gradualismo filetico.

In particolare, il fatto che la diversità del dna mitocondriale nelle popolazioni moderne risalga a 200mila anni fa può essere dovuto ad un evento demografico come un collo di bottiglia concomitante ad una speciazione (interpretazione canonica), ma può anche risultare da una popolazione effettiva (quella che si riproduce) costante. Infatti, il tempo di coalescenza dipende dalla popolazione effettiva e cambiando questo parametro il tempo di coalescenza può variare enormemente.

Inoltre, anche il fatto che i ritrovamenti più antichi di Uomo moderno siano datati a 160mila anni fa, a ben guardare, è conciliabile con un gradualismo filetico cominciato 250mila anni prima. Per capire come ciò sia possibile dobbiamo prima fare un passo indietro: quando si trova un fossile, come si fa a decidere se appartiene o meno alla nostra specie? Weaver nota come in genere i ricercatori si basino su un insieme di misure: se queste misure rientrano nella variabilità della nostra specie (non si allontanano più di una deviazione standard dalla media attuale) allora l’individuo è un rappresentante della nostra specie.

Ma in un contesto di gradualismo filetico man mano che ci allontaniamo dal presente i tratti metrici dovrebbero cambiare sempre di più e, nel modello sviluppato dal ricercatore statunitense, raggiungono una differenza di una deviazione standard proprio 165mila anni fa. Vale a dire che in un contesto del genere il riconoscimento come Homo sapiens potrebbe essere semplicemente un costrutto statistico.

Come uscire da questa impasse? La soluzione ottimale sarebbe riuscire ad incrementare il record fossile africano tra 400mila e 200mila anni fa per capire se effettivamente c’è stata un’accelerazione nell’evoluzione morfologica oppure i cambiamenti sono stati graduali. Nel frattempo non ci resta che prendere in considerazione entrambe le ipotesi, senza lasciarsi entusiasmare troppo dalla facile corrispondenza dei dati con le attese delle teorie predominanti.

Alessandro Riga


Riferimenti:
N. Eldredge & S.J. Gould 1972. Punctuated equilibria: an alternative to phyletic gradualism. In “Models in paleobiology”, edited by Schopf, TJM Freeman, Cooper & Co, San Francisco, pp 82-115.

J.J. Hublin 2009. The origin of Neandertals. Proc. Natl. Acad. Sci. 106, 16022-16027. T.D. Weaver 2012. Did a discrete event 200,000-100,000 years ago produce modern humans? J.Hum.Evo. 63, 121-126.