Perché non possiamo non dirci humboldtiani
Recensione di “L’invenzione della natura: Le avventure di Alexander von Humboldt, l’eroe perduto della scienza” di Andrea Wulf edito da LUISS University Press
Alexander von Humboldt (1769-1859), oggi figura da noi quasi del tutto dimenticata, fu l’indiscusso «Monarca della scienza» del XIX secolo, o «l’Aristotele moderno», come venne salutato dall’Accademia delle Scienze di Parigi. Amico di Goethe, Schiller, Gay-Lussac, Volta, Gauss, Simón Bolívar e del presidente degli Stati Uniti Jefferson, Humboldt fu per tutti lo scienziato per antonomasia e, per due generazioni di naturalisti, modello inarrivabile e invidiato per la sua vita avventurosa sia dal punto di vista umano che intellettuale.
Nato in una ricca famiglia berlinese all’epoca di Federico il Grande, Humboldt, non ebbe un infanzia felice. Dall’indole malinconica e sognatrice Alexander, che già in tenera età mostrava un vivo interesse per la storia naturale e la geografia, mal sopportava la dura educazione calvinista voluta dalla fredda e inflessibile madre, che aveva già deciso per lui una carriera da funzionario nell’amministrazione prussiana. Solo all’età di ventisette anni, con la scomparsa della madre, Humboldt potè finalmente dare libero sfogo alla sua passione per l’esplorazione e la ricerca scientifica, nelle quali investirà tutta la ricca eredità.
Dal 1799 al 1804, in compagnia dell’amico Aimé Bonpland, esplorò il bacino dell’Orinoco alla ricerca del mitico canale naturale Casiquiare, varcò la Cordigliera andina, scalandone i principali vulcani, tra i quali il Chimborazo (all’epoca considerata la più alta montagna del mondo), e visitò il Messico e Cuba descrivendone gli aspetti storici, naturalistici, economici e politici. Tornato in Europa da eroe – la sua fama all’epoca era seconda solo a quella di Napoleone – pubblicò le sue ricerche compiute nel nuovo continente in Voyage aux régiones équinoxiales du Nouveau Continent, una monumentale opera in più di trenta volumi, con la quale gettò le basi delle moderne scienze naturali, e soprattutto dell’ecologia e dell’americanistica. Insofferente della vita sedentaria, dopo aver inutilmente sperato per anni di fare un viaggio esplorativo nella regione himalayana, nel 1829, a sessant’anni, organizzò una spedizione scientifica nella Russia asiatica, oltre gli Urali, fino alla frontiera con la Mongolia.
Con Humboldt, per la prima volta nella storia, la ricerca naturalistica si focalizzò non tanto sulla sterile classificazione del vivente, quanto piuttosto sull’individuazione dei rapporti, delle influenze e delle reciproche interazioni di tutte le forze della natura che contribuiscono a creare l’unità del cosmo. Per inciso, sarà proprio applicando tale «scienza humboldtiana» che Darwin e Wallace giungeranno alla scoperta del meccanismo responsabile dell’evoluzione dei viventi: la selezione naturale. In effetti, l’opera di Humboldt fu «galeotta» sia per Darwin che per Wallace, i quali si imbarcheranno per i tropici proprio perché sedotti dalla sua prosa entusiasmante e suggestiva. In particolare, Charles Darwin, a bordo del Beagle, in attesa di raggiungere le coste del Brasile leggeva e rileggeva «le sublimi descrizioni di Humboldt» e più volte ebbe parole di elogio per «il più grande esploratore di tutti i tempi». Scriverà alla famiglia da un porto del Sudamerica: «Se proprio volete avere un’idea dei paesi tropicali studiate Humboldt […]. Più lo leggo e più i miei sentimenti si tramutano in vera ammirazione».
In tarda età, Humboldt pubblicherà Kosmos, «l’opera della mia vita», nella quale, come in un grandioso affresco, descriverà «Tutto il mondo fisico, tutto ciò che sappiamo dei fenomeni celesti e terrestri, dalle nebulose fino alla distribuzione geografica del muschio che cresce sul granito: ecco cosa ho pazzamente pensato di condensare in un’unica opera che per vivacità di stile dovrà catturare sia il cuore sia la mente». Certo, il cuore e la mente. Infatti, leggendo Kosmos apare evidente che per Humboldt l’intima conoscenza del mondo si può ottenere non tanto attraverso la semplice classificazione o la raccolta di dati, quanto piuttosto dal felice connubio tra esprit de geomètriè ed esprit de finesse: tra ragione e sentimento. La ragione senza il sentimento non può che condurre ad un sapere zoppo o cieco.
Un giorno Goethe disse che un’ora di conversazione con Humboldt era più utile di una settimana sui libri. Solo chi ha letto Humboldt può comprendere appieno e condividere questo entusiastico giudizio.
Fortunatamente, in questi ultimi anni, anche in Italia si assiste alla riscoperta di questo eroe del pensiero scientifico, grazie alla pubblicazione di un paio di biografie e la riedizione di alcune sue opere. Ultima in ordine cronologico (marzo 2017) è la traduzione di L. Berti del libro di Andrea Wulf L’invenzione della natura: Le avventure di Alexander von Humboldt, l’eroe perduto della scienza, per i tipi LUISS University Press. Scritta con contagioso entusiasmo, questa biografia, che presenta al vasto pubblico la figura poliedrica del grande esploratore-scienziato, dedica particolare attenzione al ruolo giocato dalla sua originale concezione del mondo nella fondazione dell’odierno pensiero ecologista e ambientalista: un Tutto unitario e strettamente interconnesso. Come giustamente sottolinea l’autrice «Ambientalisti, ecologisti e quanti scrivono sulla natura oggi restano saldamente legati alla visione di Humboldt – benché molti non ne abbiano mai sentito neanche parlare […]. Ora che gli scienziati cercano di capire e fare previsioni sulle conseguenze globali del cambiamento climatico, l’approccio interdisciplinare di Humboldt alla scienza e alla natura acquista più rilevanza che mai. I principi in cui credeva, come il libero scambio di informazioni, la necessità di unire gli scienziati e intensificare la comunicazione tra le diverse discipline, oggi sono i capisaldi della scienza e il suo concetto di natura come sistema globale è alla base del nostro pensiero». Ecco perché non possiamo non dirci tutti humboldtiani.
Andrea Wulf, che nella preparazione dell’opera ha visitato molti dei luoghi in cui visse Humboldt e ha esaminato numerosi documenti, scrive un’opera assai scorrevole e di piacevole lettura. Sorprende tuttavia un po’ il fatto che, a scapito di una più ampia e contestualizzata presentazione dell’uomo, dello scienziato e delle sue opere, più di un quarto del volume sia dedicato a brevi ritratti delle persone che subirono il fascino del grande berlinese, o furono suoi debitori di buona parte della loro formazione scientifica o culturale (Simón Bolívar, Darwin, John Muir, Henry David Thoreau e altri).
Al termine della lettura, sempre avvincente, un solo vero rammarico: non aver sentito direttamente la “voce” di Humboldt. Abituati alla scarna e arida letteratura scientifica dei nostri giorni, i testi di Humboldt si leggono oggi con una punta di rimpianto e vera emozione, ed è quindi un vero peccato che il libro non riporti qualche breve, ma significativo frammento della sua splendida prosa scientifica. L’opera del grande naturalista tedesco è infatti un inno all’estetica della conoscenza, al gusto del conoscere, e a volte dispiace leggere la semplice parafrasi dei testi di Humboldt in luogo delle parole originali. Se mi è concesso avanzare una similitudine televisiva, ci sono pagine del libro in cui sembra di ascoltare una voce fuori campo sintetizzare con poche parole il discorso complesso di una grande personalità che vediamo sì sullo schermo muovere le labbra… ma purtroppo davanti a un microfono spento.
Scheda del libro
Autore: Andrea Wulf
Titolo: L’invenzione della natura. Le avventure di Alexander von Humboldt, l’eroe perduto della scienza
Editore: LUISS University Press (Collana Pensiero libero)
Pagine: 533
Prezzo: 22,00 €