Pochi maschi per tante femmine
A differenza dei mammiferi e degli uccelli (con poche eccezioni), la maggior parte dei rettili non ha una determinazione del sesso cromosomica. In questi vertebrati, infatti, il sesso dei nascituri non viene determinato geneticamente dalla presenza di cromosomi sessuali, ma dipende strettamente dalla temperatura a cui gli embrioni sono sottoposti durante lo sviluppo (determinazione del sesso temperatura-dipendente). In queste specie […]
A differenza dei mammiferi e degli uccelli (con poche eccezioni), la maggior parte dei rettili non ha una determinazione del sesso cromosomica. In questi vertebrati, infatti, il sesso dei nascituri non viene determinato geneticamente dalla presenza di cromosomi sessuali, ma dipende strettamente dalla temperatura a cui gli embrioni sono sottoposti durante lo sviluppo (determinazione del sesso temperatura-dipendente).
In queste specie è dunque comune trovare casi di scostamento del rapporto tra sessi nella popolazione (sex-ratio), che nelle specie a determinazione cromosomiche si attesta intorno ad 1:1 (1 maschio, 1 femmina), anche molto accentuati. Questo fenomeno può essere incrementato dal continuo aumento delle temperature a livello globale, che, a meno dell’evoluzione di adattamenti comportamentali e/o fisiologici, potrebbe portare all’estinzione di numerose specie, semplicemente eliminando gli individui di uno dei due sessi dalla popolazione.
In alcune specie, infatti, la sex-ratio delle popolazioni è già estremamente sbilanciata, come nel caso della tartaruga verde (Chelonia mydas) nel Mediterraneo, di cui il 95% della prole è di sesso femminile. Nonostante ciò, sulla rivista Proceedings of the Royal Society B, un’analisi genetica ha dimostrato che per ogni femmina riproduttiva (fondatrice di un nido) hanno contribuito alla fecondazione delle uova almeno 1,4 maschi, risultato totalmente in contrasto con le attese.
Certamente, sostengono i ricercatori, c’è la possibilità che i maschi sopravvivano di più delle femmine nelle prima fasi di vita e che questo risultato sia anche influenzato dalla capacità femminile di incamerare lo sperma anche per diversi mesi, ma le principali cause di una tale discrepanza andrebbero ricercate altrove. In primo luogo, è possibile che gli intervalli riproduttivi dei maschi si siano accorciati rispetto ai 2-4 anni tipici delle femmine, fenomeno già documentato in altre specie di tartarughe acquatiche.
Inoltre, è possibile che i maschi abbiamo modificato il proprio comportamento, spingendosi a distanze considerevoli dal luogo di nascita e fecondando le femmine provenienti da aree lontane del bacino del Mediterraneo. Questa ipotesi sembrerebbe avallata da alcuni rilevamenti di satellite tracking, che ha consentito di tracciare gli spostamenti di alcuni individui a lunghissime distanze e di osservare l’effettivo avvicinamento dei maschi a diverse colonie riproduttive.
In condizioni di bassa densità di competitori (per l’accoppiamento), la selezione naturale avrebbe dunque favorito quei maschi in grado di spingersi lontano dalle rotte abituali della sua popolazione, aumentando le loro chances di accoppiamento e quindi il loro successo riproduttivo. A lungo termine, questa modificazione comportamentale potrebbe essere fondamentale per la sopravvivenza della specie.
Andrea Romano
Riferimenti:
Lucy I. Wright, Kimberley L. Stokes, Wayne J. Fuller, Brendan J. Godley, Andrew McGowan, Robin Snape, Tom Tregenza, Annette C. Broderick. Turtle mating patterns buffer against disruptive effects of climate change. Proc. R. Soc. B. Published online before print January 25, 2012, doi: 10.1098/rspb.2011.2285
Immagine da Wikipedia
Ecologo e docente di Etologia e Comportamento Animale presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università di Milano. Ha scritto di animali ed evoluzione su Le Scienze, Mente e Cervello, Oggiscienza e Focus D&R . Collabora con Pikaia, di cui è stato caporedattore dal lontano 2007 al 2020.