Quando a Roma vivevano gli elefanti

Elephas antiquus

Un’importante scoperta paleontologica e archeologica, pubblicata sulla rivista scientifica Plos One, rivela interazioni Homo-elefante (Palaeoloxodon antiquus) nell’area di Casal Lumbroso a Roma

Nel 2017, durante i lavori di costruzione di un nuovo edificio lungo Via Casal Lumbroso, nella zona nord-ovest di Roma, una ruspa espose accidentalmente una zanna di elefante. Questa scoperta inattesa portò alla luce un vasto giacimento archeologico e paleontologico.

Il ritrovamento si è rivelato di enorme importanza perché conferma il ruolo che l’area attorno a Roma (la “Campagna romana”) ha negli studi sul Pleistocene Medio. Questo territorio aveva già restituito altri siti chiave, come Castel di Guido e La Polledrara di Cecanibbio, anch’essi legati allo sfruttamento di elefanti da parte degli antichi gruppi umani.

Le prime indagini preventive si sono svolte tra il 2017 e il 2019, per poi riprendere in modo sistematico nel 2023, grazie alla collaborazione tra la Sapienza Università di Roma, il Museo delle Civiltà (MUCIV), il CNR e la Soprintendenza Speciale. Lo studio sul sito è stato recentemente pubblicato su Plos one.

Viaggio indietro di 400.000 anni

Attraverso l’analisi dei sedimenti vulcanici, chiamati tefra, i ricercatori hanno potuto datare il sito con precisione a circa 404.000 anni fa. Questa datazione lo colloca nel Pleistocene Medio, in particolare durante l’interglaciale MIS 11c, un periodo caldo e umido, riconosciuto come uno dei più lunghi e anomali degli ultimi 800.000 anni.

I reperti si trovavano sul fondo di quello che un tempo era il letto di un piccolo corso d’acqua. L’analisi chimica (isotopica) condotta sullo smalto di un molare di elefante ha permesso di ricostruire l’ambiente di allora: un paesaggio caratterizzato da zone boschive e un clima caldo-umido.

Il ricco ecosistema, oggi perduto, comprendeva, oltre all’elefante, anche rinoceronti (Stephanorhinus sp.), bovini (Bovinae), cervidi, daini (Dama sp.), caprioli (Capreolus capreolus), e lupi (Canis sp.). L’analisi dei palchi di cervidi, persi stagionalmente, ha permesso di stabilire che l’evento di macellazione e deposizione sia avvenuto in un periodo relativamente breve, probabilmente verso la fine della primavera.

L’elefante come magazzino di risorse

La maggior parte dei resti fossili appartiene a un unico esemplare adulto di elefante dalle zanne dritte (Palaeoloxodon antiquus), estinto in Europa. L’elefante, stimato di circa 45-49 anni, giaceva in un’area limitata, e le sue ossa non mostravano segni di lungo trasporto da parte dell’acqua. Il sito documenta che gli ominini sfruttarono questa carcassa in modo intensivo: non solo come fonte di cibo (carne, grasso e midollo), ma anche come materia prima per la produzione di utensili.

Anche se mancano le tracce di taglio sulle ossa, la prova del coinvolgimento umano è data dalle ossa intenzionalmente fratturate quando erano ancora fresche. Sedici frammenti di ossa di elefante mostrano segni di questa rottura. Ancora più significativo è che 13 di questi frammenti presentano anche tracce di usura concentrate sulla punta, indicando che furono usati come strumenti ossei. Almeno due ossa furono modellate o scheggiate dagli ominini per ottenere strumenti più rifiniti.

Gli strumenti in pietra (industria litica)

Insieme ai resti dell’elefante, è stato trovato un ricco campionario di utensili in pietra, tipico del tardo Acheuleano. Gli ominini utilizzarono selce locale, disponibile sotto forma di piccoli ciottoli. Per lavorare questa materia prima di dimensioni ridotte, la tecnica di scheggiatura più comune era la percussione bipolare su incudine.

Il kit di strumenti era dominato da piccole schegge, che costituivano la maggior parte del campione. L’analisi delle tracce d’usura ha rivelato che questi strumenti erano usati per raschiare e tagliare materiali di consistenza morbida o medio-morbida, attività compatibili con la macellazione. È stato rinvenuto anche un singolo strumento in calcare di grandi dimensioni, un bifacciale (una pietra lavorata su due lati), a circa 15 metri dalla carcassa.

Un modello di adattamento

Il sito di Casal Lumbroso, con la sua chiara evidenza stratigrafica e l’associazione tra la carcassa di elefante, gli strumenti in pietra e gli strumenti ricavati dall’osso, conferma le capacità umane di adattamento nella regione. La presenza di siti simili nel Lazio suggerisce che i gruppi umani pre-neanderthaliani sfruttassero al massimo le carcasse di grandi mammiferi, ottenendo non solo risorse alimentari, ma anche una fonte abbondante di materia prima ossea per fabbricare strumenti, necessari in un territorio dove le pietre locali erano spesso piccole.

Riferimenti:

Mecozzi B, Fiore I, Giaccio B, Giustini F, Mercurio S, Monaco L, et al. (2025) From meat to raw material: the Middle Pleistocene elephant butchery site of Casal Lumbroso (Rome, central Italy). PLoS One 20(10): e0328840. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0328840

Fonte: comunicato stampa Università Sapienza

Immagine in apertura: Di José-Manuel Benito – Opera propria, Pubblico dominio, Collegamento