Selezione rilassata
La teoria dell’evoluzione per selezione naturale è in grado di spiegare in modo esaustivo la formazione delle strutture bizzarre e gli organi rudimentali che si trovano in natura, oltre agli adattamenti più o meno “perfetti”. Come sottolineato da svariati autori, è forse proprio questo uno dei punti di maggior forza della teoria, considerando che gli adattamenti perfetti (si pensi alla […]
La teoria dell’evoluzione per selezione naturale è in grado di spiegare in modo esaustivo la formazione delle strutture bizzarre e gli organi rudimentali che si trovano in natura, oltre agli adattamenti più o meno “perfetti”. Come sottolineato da svariati autori, è forse proprio questo uno dei punti di maggior forza della teoria, considerando che gli adattamenti perfetti (si pensi alla famosa orchidea Angraecum sesquipedale che viene impollinata da una falena con una spiritromba di 25-30 cm) possono essere spiegati altrettanto bene dalle teorie creazioniste, che fanno leva sulla perfezione presente in natura. Ma la natura, come sappiamo bene, non è perfetta e le strutture incomplete o inutili e gli organi rudimentali si ritrovano in tutti i gruppi di organismi viventi.
E proprio su questo tipo di strutture è stata dedicata un’interessante review che ha meritato la divertente copertina (nell’immagine) dell’ultimo numero della rivista Trends in Ecology and Evolution. Quando in un contesto ambientale vengono a mancare le pressioni selettive che tendono a mantenere una struttura o un comportamento, l’azione della selezione naturale si indebolisce: con il passare del tempo, queste stesse strutture (e comportamenti) divengno sempre meno importanti per la sopravvivenza, fino ad essere perduti. Sono noti molti esempi di questo tipo in natura: la colonizzazione dell’ambiente sotterraneo o delle cavità delle caverne ha comportato in molte specie la perdita della vista, incentivando contemporaneamente lo sviluppo di altri sistemi sensoriali (come questa talpa). O, ancora, il passaggio da un ambiente ricco di predatori ad uno che ne è privo può comportare la graduale perdita di alcune specifiche strutture difensive (come le spine di questi spinarelli o le ali di questo pappagallo attero neozelandese) e dei comportamenti antipredatori. E che dire della transizione tra l’ambiente subaereo e quello acquatico, che ha reso vano il funzionamento delle strutture fondamentali per la deambulazione sulla terraferma nel nuovo sustrato?
Oltre a citare casi specifici, lo studio approfondisce un altro aspetto legato al “rilassamento della selezione naturale”, quello legato al tempo impiegato ad una struttura divenuta inutile per scomparire o, comunque, per diventare un organo vestigiale. In primo luogo, le strutture costose, quelle che impongono grossi sacrifici metabolici e fisiologici per la loro produzione, sono le prime a scomparire. In quesi casi, anzi, si potrebbe anche parlare di strutture controselezionate, in quanto oltre a non conferire più un beneficio al possessore impongono un costo. In secondo luogo, la perdita in tempi rapidi è più probabile che interessi caratteri il cui sviluppo è regolato da un limitato numero di geni: in questo modo, saranno necessarie solo poche mutazioni affinchè la scomparsa sia definitiva. Le strutture più complesse, invece, frutto di processi selettivi durati milioni di anni, hanno più difficoltà ad essere perduti: è il caso dei cetacei che, nonostante si siano svincolati dall’ambiente terrestre decine di milioni di anni fa, presentano ancora un cinto pelvico e piccoli arti inferiori, ormai vestigiali, a testimonianza del passato da tetrapodi.
Andrea Romano
Riferimenti:
Lahti, D. C., N. A. Johnson, et al. Relaxed selection in the wild. Trends in Ecology and Evolution, 2009; 24(9): 487-496 DOI: 10.1016/j.tree.2009.03.010
E proprio su questo tipo di strutture è stata dedicata un’interessante review che ha meritato la divertente copertina (nell’immagine) dell’ultimo numero della rivista Trends in Ecology and Evolution. Quando in un contesto ambientale vengono a mancare le pressioni selettive che tendono a mantenere una struttura o un comportamento, l’azione della selezione naturale si indebolisce: con il passare del tempo, queste stesse strutture (e comportamenti) divengno sempre meno importanti per la sopravvivenza, fino ad essere perduti. Sono noti molti esempi di questo tipo in natura: la colonizzazione dell’ambiente sotterraneo o delle cavità delle caverne ha comportato in molte specie la perdita della vista, incentivando contemporaneamente lo sviluppo di altri sistemi sensoriali (come questa talpa). O, ancora, il passaggio da un ambiente ricco di predatori ad uno che ne è privo può comportare la graduale perdita di alcune specifiche strutture difensive (come le spine di questi spinarelli o le ali di questo pappagallo attero neozelandese) e dei comportamenti antipredatori. E che dire della transizione tra l’ambiente subaereo e quello acquatico, che ha reso vano il funzionamento delle strutture fondamentali per la deambulazione sulla terraferma nel nuovo sustrato?
Oltre a citare casi specifici, lo studio approfondisce un altro aspetto legato al “rilassamento della selezione naturale”, quello legato al tempo impiegato ad una struttura divenuta inutile per scomparire o, comunque, per diventare un organo vestigiale. In primo luogo, le strutture costose, quelle che impongono grossi sacrifici metabolici e fisiologici per la loro produzione, sono le prime a scomparire. In quesi casi, anzi, si potrebbe anche parlare di strutture controselezionate, in quanto oltre a non conferire più un beneficio al possessore impongono un costo. In secondo luogo, la perdita in tempi rapidi è più probabile che interessi caratteri il cui sviluppo è regolato da un limitato numero di geni: in questo modo, saranno necessarie solo poche mutazioni affinchè la scomparsa sia definitiva. Le strutture più complesse, invece, frutto di processi selettivi durati milioni di anni, hanno più difficoltà ad essere perduti: è il caso dei cetacei che, nonostante si siano svincolati dall’ambiente terrestre decine di milioni di anni fa, presentano ancora un cinto pelvico e piccoli arti inferiori, ormai vestigiali, a testimonianza del passato da tetrapodi.
Andrea Romano
Riferimenti:
Lahti, D. C., N. A. Johnson, et al. Relaxed selection in the wild. Trends in Ecology and Evolution, 2009; 24(9): 487-496 DOI: 10.1016/j.tree.2009.03.010
Ecologo e docente di Etologia e Comportamento Animale presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università di Milano. Ha scritto di animali ed evoluzione su Le Scienze, Mente e Cervello, Oggiscienza e Focus D&R . Collabora con Pikaia, di cui è stato caporedattore dal lontano 2007 al 2020.